RISPOSTA DI MIMMO MIGNANO A PINO IL FERROVIERE

Rispondo a Pino il ferroviere con qualche riflessione. Prima di tutto: perché gli operai non devono partecipare alle elezioni con una propria lista e un proprio programma? Non andare a votare per principio secondo me è sbagliato. Noi non proponiamo di cambiare il sistema dall’interno, non siamo riformisti, non pensiamo che possa cambiare. Noi abbiamo cercato di utilizzare le elezioni comunali di Napoli per diventare visibili dopo che ci hanno resi invisibili, FIAT giudici, stampa e società civile. Il solo tentativo di fare una lista operaia, di raccogliere le firme per presentarla, di definire il nostro programma elettorale è […]
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Rispondo a Pino il ferroviere con qualche riflessione.

Prima di tutto: perché gli operai non devono partecipare alle elezioni con una propria lista e un proprio programma? Non andare a votare per principio secondo me è sbagliato. Noi non proponiamo di cambiare il sistema dall’interno, non siamo riformisti, non pensiamo che possa cambiare. Noi abbiamo cercato di utilizzare le elezioni comunali di Napoli per diventare visibili dopo che ci hanno resi invisibili, FIAT giudici, stampa e società civile.

Il solo tentativo di fare una lista operaia, di raccogliere le firme per presentarla, di definire il nostro programma elettorale è stata un’esperienza che ci ha chiarito molte cose.

A Napoli ci conoscono tutti. Alle nostre iniziative fuori ai cancelli della FIAT hanno partecipato molti compagni. Nei cortei ci è stato sempre dato il posto più visibile. Nelle assemblee siamo sempre stati invitati.

Ebbene, quando abbiamo detto che volevamo presentare una lista operaia alle comunali, intorno a noi si è creato il deserto. Quasi tutto l’antagonismo sociale ci ha fatto capire di non essere d’accordo.

Una lista alle elezioni? Tutti si giravano dall’altra parte: un fatto elettorale, di per se riformista. Quasi tutti quelli che si sono dimostrati indisponibili, o per meglio dire che hanno confessato la loro indisponibilità, l’hanno fatto con la motivazione ufficiale personale che erano astensionisti. Intanto le organizzazioni di riferimento degli antagonisti astensionisti di Napoli appoggiano De Magistris, il sindaco ormai rosso per tutti.

Riflettere sul programma elettorale, su quali erano realmente gli interessi degli operai, su quali obiettivi gli operai si devono dare, ci ha fatto misurare la differenza profonda tra noi operai e tutti coloro che vedono nella città giardino proposta da De Magistris la risposta giusta ai loro problemi.

La differenza profonda tra chi lavora negli stabilimenti, negli scantinati, nelle piccole officine per buona parte della sua vita, a quattro soldi e non ha il tempo neanche di vederla la città giardino, e chi invece la può vivere, vi vede anche l’occasione di trovare un lavoro, chiaramente non operaio, chi individua nel programma del sindaco di Napoli il suo programma.

Abbiamo capito chi sono i veri amici e cosa è il riformismo sul serio. Forse la lista non riusciremo a presentarla perché gli operai non sono ancora organizzati adeguatamente, noi siamo presi da mille battaglie non ultima quella per sopravvivere e perché ci sono compagni operai come te Pino che certe iniziative pensano che non facciano parte della battaglia politica degli operai contro i padroni, però è stata una buona lezione non solo per noi ma per tutti gli operai.

Ti allego il nostro programma e spero che il giornale lo pubblichi perché chiarisce molte cose sul nostro rapporto con le elezioni.

Mimmo Mignano

PROGRAMMA ELETTORALE

 

La nostra lista è composta da operai, della FIAT in modo particolare, operai licenziati per motivi politici, operai precari e disoccupati.

Noi operai siamo una classe sociale ben definita. Lavoriamo fino a quando serviamo per arricchire i padroni. Diventiamo disoccupati quando il nostro lavoro non serve più.

Quelli tra noi che hanno il “privilegio” di lavorare negli stabilimenti più grandi, sono completamente asserviti ai macchinari. Il tempo della nostra vita è scandito dai turni di lavoro e dai ritmi della catena di montaggio. Ci alziamo la mattina quando tutti gli appartenenti alle altre classi ancora dormono, oppure andiamo a dormire quando gli altri si svegliano, e lavoriamo con pause minime per otto ore filate e più. Il nostro lavoro è ripetitivo, faticoso e alienante. Facciamo sempre gli stessi gesti per tutto il turno di lavoro, e, se ci va bene, per oltre quarant’anni.

Quelli tra noi che lavorano nelle piccole officine stanno ancora peggio. La nostra giornata lavorativa la decide direttamente il padrone. Spesso il lavoro è “a nero” e veniamo licenziati quando non serviamo più per arricchire il padrone. I salari sono minimi, spesso non superano i mille euro al mese.

Quelli tra noi che sono disoccupati sono fuori dal processo produttivo. Non servono per arricchire il padrone e allora vengono lasciati “inattivi”. Sempre costretti tra l’arte di “arrangiarsi” e la galera.

La nostra vita media dura meno degli altri perché la fabbrica e le condizioni che viviamo ci “consumano” prima degli altri lavoratori. Tutte le sostanze tossiche che vengono utilizzate nella produzione di beni colpiscono per primi gli operai, ma per la “società civile” tutto questo sembra “normale”. L’amianto ha sterminato migliaia di operai e sta continuando la sua opera e solo pochi imprenditori sono stati condannati a pene di pochi mesi, e mai scontate, per questa strage. Non stiamo parlando di mondi lontani, stiamo parlando, per fare solo qualche esempio, della Sofer, dell’Eternit, dell’Ansaldo, fabbriche della nostra zona.

Non abbiamo diritti. La fabbrica è un terreno fuori dalle regole della società cosiddetta “civile”.

I rapporti con il padrone sono scanditi dalla forza. Se siamo capaci di organizzarci e lottare riusciamo temporaneamente ad avere qualcosa, altrimenti siamo completamente asserviti alle decisioni del padrone.

In fabbrica non c’è libertà, né democrazia. Il regime di fabbrica è la dittatura del padrone.

Chi si ribella viene licenziato. Chi esprime un’opinione contraria al padrone viene licenziato. Chi non sostiene i ritmi di lavoro viene licenziato.

 

Le elezioni, grande mistificazione delle classi benestanti, nella concorrenza tra gli stessi padroni, servono per eleggere il comitato d’affari che per cinque anni dovrà gestire quella parte di ricchezza sociale che noi operai produciamo direttamente e che apparentemente è “pubblica”.

Nella crisi economica questa realtà è ancora più visibile. Questi comitati d’affari stanno tagliando tutto quello che rappresentava “spesa sociale”, sanità, scuola, servizi, e di cui usufruivano anche gli operai e le altre classi inferiori, e stanno dirottando queste “risorse” completamente nelle tasche dei padroni. Finanziamenti diretti, sgravi fiscali, la rottamazione per la FIAT, la stessa cassa integrazione per noi, rappresentano tutte operazioni per arricchire ancora di più i padroni.

Nessuna forza politica attualmente rappresentativa denuncia questa situazione.

Nelle elezioni comunali a Napoli, gli argomenti della campagna elettorale sotto cui si nascondono i veri obiettivi della politica, l’arricchimento ulteriore delle classi possidenti, sono la “legalità”, la “vivibilità della città”, la valorizzazione del “bello”, le vie cittadine, il centro storico, i monumenti.

Il grande affare della bonifica di Bagnoli è il centro principale della contesa dove i comitati d’affare nazionali cercano di emarginare i comitati d’affare cittadini. Gireranno un bel po’ di soldi e ci sarà molto lavoro operaio non pagato da intascare nella bonifica prima e nell’attuazione dei progetti dopo.

In queste contese gli operai sono gli agnelli sacrificali. Chiunque vincerà, saranno gli operai a valorizzare i capitali investiti a Bagnoli e agli operai toccherà, per un tempo determinato un misero salario.

I monumenti, la cultura, il “bello”, una città a misura d’uomo sono cose che ci piacciono, ma per noi, comunque vada, rimarranno solo delle lontane illusioni.

Per chi lavora per intere giornate sotto padrone, negli scantinati, nelle botteghe, negli stabilimenti queste cose non potrebbe mai viverle in pieno. Le potrà vedere da lontano, come in televisione, nel poco tempo libero che gli rimane. La stessa cosa vale per i disoccupati alle prese con l’arte difficile di sopravvivere.

Questi argomenti possono essere accattivanti per le altre classi, non per gli operai. Anche se fosse realizzato il miglior programma elettorale, noi ne rimarremmo esclusi.

Presentiamo  una “lista operaia” perché abbiamo imparato dopo anni di illusioni che nessuno ci rappresenta. Non c’è nessun partito che rappresenta i nostri interessi e il nostro punto di vista.

Nella lista molti sono operai FIAT, il nucleo promotore della lista è composto dai cinque licenziati FIAT.

La FIAT di Pomigliano è un simbolo in Italia. E’ qui che il padronato ha inaugurato la nuova politica di dominio sugli operai nella crisi: “Confinando” in un ghetto esterno, il “polo logistico di Nola”, gli operai combattivi e quelli che il processo di produzione aveva distrutto fisicamente e psicologicamente. Azzerando le organizzazioni sindacali non filo aziendali. Annullando qualsiasi diritto di critica e di opinione. Licenziando quelli che non si sono piegati a queste regole, in questo aiutata da sentenze compiacenti del tribunale di Nola.

Noi operai sappiamo che le “Istituzioni democratiche” sono organismi che servono alle altre classi, ma non servono a noi.

Le elezioni, politiche ed amministrative, devono solo decidere chi, ogni cinque anni deve governare lo Stato per assicurare i privilegi e il potere alle classi benestanti.

Ci presentiamo alle elezioni comunali di Napoli perché vogliamo dimostrare, se eletti, che questo “teatrino” delle classi benestanti non serve agli operai ed è contro gli operai.

Noi saremo il megafono di tutti gli esclusi di questa società.

Noi utilizziamo le elezioni per avere la visibilità che di solito ci viene negata sui mezzi di comunicazione, nella politica, nella società.

Il nostro programma non propone una città più vivibile, non propone il paradiso perché in questa società queste cose sono concesse solo a quelli che appartengono alle classi alte che costantemente vivono bene in belle case, in bei quartieri, frequentando la cultura e il divertimento.

Noi promettiamo una sola cosa: il nostro impegno contro l’ingiustizia sociale. La nostra presenza accanto a chi lotta.

La nostra voce per denunciare il dramma che gli operai, i disoccupati e tutti i diseredati di questa società vivono costantemente sulla loro pelle.

 

 

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1 Comment

  1. alanza53

    Mimmo: Quelli che chiami “antagonismo sociale” non hanno mai visto un lager dall’interno: oggi come ieri le fabbriche sono dei veri e propri lager. Presentare una lista di operai, con gli obbiettivi che vi siete dati, per me è una proposta politicamente condivisibile. Chi vive sulla propria pelle lo sfruttamento, i licenziamenti, minacce e salari di merda e ha portato avanti delle lotte, pagando un prezzo altissimo in prima persona, va non solo rispettato ma anche sostenuto; non credo che i compagni di Napoli (e il sottoscritto, che ne condivide la scelta) devino dalla lotta di classe e non abbiano chiaro che lo scontro tra sfruttati e sfruttatori non si esaurisce in una cabina elettorale, ma si realizza creando rapporti di forza che ci permettono di liberarci dal dominio della dittatura capitalista che si basa sulla schiavitù del lavoro salariato. Non ho mai partecipato al voto, tranne una sola volta quanto ho compiuto i 18 anni. Io mi incazzo se qualcuno mi chiama riformista, non voglio riformare uno stato al servizio dei padroni che mi ha segnato per tutta la vita uccidendo sul lavoro mio padre per il profitto e io avevo solo 4 anni. Mimmo, da che pulpito viene la predica! Viene dalla piccola borghesia parolaia, che non avendo mai vissuto in una fabbrica, per anni ci ha fiaccato il cazzo con parole d’ordine riformiste e conservatrici come “Contropotere Operaio”, confondendo cosi le nostre lotte economiche come lotte politiche; a noi quelle lotte servivano per conquistare la fiducia degli operai e insieme crescere a livello teorico, ci impegnavamo a leggere nelle nostre sedi Marx e Lenin per renderci indipendenti dalla piccola borghesia rivoluzionaria, e da intellettuali rivoluzionari funzionali al sistema; un’altra parola d’ordine degli antagonisti rivoluzionari di allora era: “a salario di merda lavoro di merda”. Non condivido: anche con un buon salario, gli operai vengono sfruttati e rimangono schiavi; “salario minimo garantito”? Scusatemi rivoluzionari, ma da chi vengono presi i soldi per dare un salario minimo a tutti, se non dallo sfruttamento selvaggio degli operai? E con quali risultati politici? Lotto per una organizzazione indipendente degli operai, lotto per liberarmi dalla schiavitù del lavoro salariato, lotto per impedire una guerra fratricida che i padroni stanno preparando con l’appoggio dei politicanti asserviti, lotto per il PARTITO DEGLI OPERAI, appoggio la scelta fatta dai compagni di Napoli, se questo è riformismo sono un riformista. “L’ESTREMISMO MALATTIA INFANTILE DEL COMUNISMO”.