UNA LEZIONE DAGLI OPERAI DELL’INDIA

250 milioni di operai e lavoratori indiani hanno paralizzato il subcontinente, per gli operai italiani un grande insegnamento.

250 milioni di operai e lavoratori indiani hanno paralizzato il subcontinente, per gli operai italiani un grande insegnamento.

Mercoledì 9 luglio 2025, 250 milioni di persone sono scese in piazza, l’India si è fermata. Lo sciopero generale è stato indetto dal CTU una piattaforma che riunisce le principali federazioni sindacali (Center for Indian Trade Unions (CITU), l’All India Trade Union Congress (AITUC), l’Indian National Trade Union Congress (INTUC) e molte altre) che rappresentano operai delle industrie e del settore minerario, agricoltori, impiegati pubblici e privati sia nei settori organizzati che in quelli non organizzati.
Lo sciopero è stato fatto contro il governo di estrema destra del paese per le politiche anti-operaie adottate. Gli operai e i lavoratori chiedono il ritiro immediato dei quattro codici in materia di lavoro, emanati dal governo Modi, che mirano tra le tante cose alla riduzione della contrattazione collettiva, ottenuto attraverso una lunga e dura lotta e all’allungamento e flessibilità degli orari di lavoro per favorire le grandi imprese, aumentando la precarietà, riducendo le tutele e limitando il diritto di sciopero. Le richieste oltre al mantenimento dei diritti acquisiti puntano alla fine della privatizzazione e della contrattualizzazione dei posti di lavoro ad un salario minimo nazionale di 26.000 rupie (303 dollari) ad un minimo pensionistico, a miglioramenti delle condizioni di lavoro in tutti i settori e per tutti i tipi di lavoratori, per un prezzo minimo legale di sostegno per tutti i prodotti agricoli, la cancellazione dei prestiti per gli agricoltori e la fine di tutte le acquisizioni forzate di terreni e migliori opportunità di lavoro. La partecipazione è stata massiccia, pari a circa il 35% della popolazione attiva che conta più di 700 milioni di individui, pari al 50% di tutta la popolazione, 1 miliardo e 400 milioni. Questi numeri ci fanno capire che da un lato è stato un intero continente a mobilitarsi, una grande capacità organizzativa e soprattutto che gli operai e i lavoratori hanno compreso che solo attraverso una voce unica, forte e compatta è possibile far sentire le proprie rivendicazioni ad un governo che tenta con ogni azione di annichilire e ridurre alla fame operai e lavoratori. Un capitalismo relativamente giovane che per accumulare deve estorcere quanto più plusvalore è possibile, spremendo all’osso gli operai. Il percorso però è iniziato, certo non è l’emancipazione di una classe ma un passo importante che non può rimanere lettera morta. Una mobilitazione che è stata una lezione fondamentale: primo perché ha messo in evidenza, non che ce ne fosse bisogno, un disagio di tutta la società indiana, tipico in verità di tutta la società mondiale, ossia della enorme sproporzione tra chi vive del lavoro altrui e chi invece sopravvive vendendo le proprie braccia; secondo perché con questo passo ha mostrato la grande forza delle classi schiacciate dal capitale che in movimento sono state capaci di paralizzare un intero continente.
Giusto per fare un raffronto è come se in Italia il 35% della popolazione attiva ossia 13 milioni tra operai e lavoratori su 37 milioni (popolazione attiva) aderisse ad uno sciopero generale, una prova di forza sconvolgente di cui non si può non tenere conto. Ma in Italia, per ora, non succede non perché sia un capitalismo maturo in cui manchino le condizioni di sfruttamento che hanno mobilitato gli operai indiani.
Nel solo 2024 ci sono stati circa 680.000 licenziamenti e sulle condizioni di lavoro degli occupati assistiamo a continui peggioramenti. Circa tre milioni di lavoratori sono precari e quindi significa bassi salari, scarsi diritti e senza prospettiva. Per gli operai con contratti a tempo indeterminato, spessissimo in cassa integrazione (si parla di ben 44,9 milioni di ore di cassa fatte nel 2024) significa vivere con un salario ridotto e quindi miseria e sacrifici. Il carovita, poi, inarrestabile, rende sempre più difficile riuscire a sopravvivere di salario.
La mobilitazione va costruita e per prima cosa gli operai devono comprendere che è possibile difendersi solo diventando attori del proprio destino. L’azione deleteria dei sindacati collaborazionisti, che nelle economie sviluppate e “democratiche” annichiliscono e svuotano le lotte operaie, contribuisce in maniera determinate a garantire la passività e la sottomissione degli operai. E’ arrivato il momento di rilanciare il protagonismo operaio, ecco cosa ci può insegnare lo sciopero del 9 luglio in India.
S. C.

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