Il governo Meloni ha sgomberato con la forza militare tre centri sociali a cui da tempo aveva dichiarato guerra. Si illude di zittire la lotta politica e sociale nella città, ma non ha fatto i conti con l’insorgenza delle classi subalterne
Prima il Leoncavallo di Milano, dopo il Bocciodromo di Vicenza, adesso l’Askatasuna di Torino. Il governo Meloni ha dispiegato la forza repressiva dello stato borghese di cui è zelante servo, con l’ausilio di un numero enorme di forze di polizia antisommossa, contro tre centri sociali a cui da tempo aveva dichiarato guerra. Il “soldato di un’idea”, come la presidente del consiglio si definisce per esplicitare la militanza della sua azione politica fascistoide al servizio dei padroni, pensa, facendo sgomberare, chiudere e sequestrare o demolire i centri sociali, di mettere la museruola al dissenso e all’opposizione contro il suo governo e contro la funzione materiale e ideologica che esso esprime. Ma è solo una sciocca pretesa, come voler fermare il vento con una mano.
A Milano il 21 agosto il Leoncavallo è stato sgomberato dalla polizia approfittando della piena estate e, perciò, dell’assenza di qualsivoglia forma di resistenza, chiudendo il centro sociale più longevo e simbolico d’Italia con 50 anni di storia e restituendo l’ex cartiera di via Watteau ai noti immobiliaristi e speculatori della famiglia Cabassi.
A Vicenza il 15 dicembre la polizia ha prima sgomberato e poi demolito con le ruspe le parti in muratura del centgro sociale Bocciodromo. Gli attivisti hanno tentato di resistere pur se in numero impari.
A Torino il 18 dicembre centinaia di poliziotti hanno occupato militarmente il quartiere Borgo Vanchiglia, vietando agli abitanti di muoversi, hanno assaltato il centro sociale Askatasuna, occupato dal 1996, e, dopo aver distrutto tubature e impianti per impedirne l’uso, lo hanno chiuso e murato in modo da precluderne la rioccupazione; poi il centro è stato sottoposto a sequestro. Contro i resistenti manganelli, lacrimogeni e idranti.
La chiusura del Leoncavallo ha rappresentato una decisione apertamente politica. Il centro sociale di Milano, benché da tempo non fosse più un luogo di ribellione giovanile e lotta politica come era riconosciuto negli anni 80 e 90 del secolo scorso, costituiva comunque un simbolo: bastava citarne il nome per richiamare ed esprimere rabbia sociale e orgoglio proletario. Chiuderlo è stato una vendetta ideologica e politica voluta da chi in quei decenni organizzava scorribande fasciste nel capoluogo milanese e le prendeva dai leoncavallini e adesso siede sulle poltrone del parlamento e del governo.
La chiusura del Bocciodromo e quella dell’Askatasuna costituiscono non solo una chiara vendetta per la lotta politica e sociale che questi centri sociali hanno espresso nella loro ultradecennale storia, ma anche, in particolare, una dura ritorsione per le continue azioni di protesta contro la Tav e, più recentemente, contro il genocidio del popolo palestinese da parte del governo Netanyahu e, soprattutto, la complicità e l’appoggio del governo Meloni a tale scempio disumano.
La repressione dei centri sociali è per il governo Meloni una rappresaglia studiata e pianificata da tempo. Per decenni questi centri hanno espresso, pur con limiti e contraddizioni, un’opposizione reale alla politica e alla cultura borghesi, al modello economico, sociale e culturale capitalistico che nelle grandi città emerge con più viva evidenza che altrove. Non sono stati solo luoghi di aggregazione giovanile, hanno funzionato da strutture alternative al poco o al nulla concesso dalla società capitalista alle classi popolari: hanno organizzato mense, asili nido, doposcuola, cineforum, mostre, ritrovi, feste e tanto altro, sono diventati luoghi di discussione, critica e azione collettiva, hanno appoggiato rivendicazioni operaie, si sono mobilitati contro le guerre che le potenze imperialiste grandi e piccole producono in continuazione. Sono stati al fianco dei proletari non con il falso spirito umanitario che muove associazioni benefiche religiose o laiche, ma sempre con una chiara denuncia del capitalismo che nega tutto a chi non può permetterselo pagando in denaro sonante. Nel deserto di città con sempre meno fabbriche e operai che possano coalizzare intorno a loro gli strati sociali popolari e poveri, hanno avuto la forza di unire proletari giovani, adulti e anziani, hanno allargato l’orizzonte a questioni economiche e politiche di più ampio respiro, hanno rappresentato una spina nel fianco dei governi locali e nazionali.
Con gli sgomberi militarizzati il governo Meloni ha mostrato tutta la forza organizzata dello Stato che rappresenta: magistrati che hanno firmato gli ordini di sgombero, poliziotti che li hanno eseguiti, giornalisti che hanno plaudito, politici di ogni colore che hanno prima aizzato e poi gongolato agli sgomberi come Salvini e Tajani, per citarne solo due, o che li hanno favoriti e giustificati, come a Torino il sindaco Pd Lo Russo e l’ex sindaca M5S Appendino. E lo ha fatto con l’illusione di zittire la protesta contro le politiche del governo stesso e contro la politica di ieri e di oggi dello stato borghese. Sciocca pretesa! Gli zelanti servi del capitalismo possono chiudere tutti i centri sociali che vogliono, ma non possono tappare la bocca di chi grida, si unisce e si organizza contro di loro e i padroni che gli concedono spazio governativo per ripagarli di tanto servilismo.
L.R.