LA RESISTENZA PALESTINESE

La storia delle origini della lotta di resistenza palestinese ci fa comprendere la natura della politica coloniale israeliana e come le forze di resistenza siano così fortemente legate alla popolazione

La storia delle origini della lotta di resistenza palestinese ci fa comprendere la natura della politica coloniale israeliana e come le forze di resistenza siano così fortemente legate alla popolazione

La segregazione degli arabi e il suprematismo ebraico caratterizzarono da subito i gruppi di ebrei sionisti che in diverse ondate tra la fine del XIX secolo e il dissolvimento dell’impero ottomano si insediarono nella Palestina. Già ne 1923 ottennero dal governo mandatario britannico l’assenso a “legalizzare l’unità educativa sionista” che di fatto stabiliva una istruzione segregata su base confessionale, da cui i palestinesi, cristiani o mussulmani, erano esclusi. L’odierna narrazione dei palestinesi fondamentalisti, fanatici e settari risulta strumentale propaganda, infatti tra il 1919 e il 1928 una vasta rete di palestinesi, mussulmani e cristiani, formarono gruppi di lavoro comuni.
Una Palestina araba e indipendente, il rifiuto della dichiarazione di Balfour (Ministro degli esteri Britannico nel 1917) che appoggiava la nascita di uno stato ebreo nella Palestina storica, la fine di una immigrazione ebrea incontrollata, la fine dell’accaparramento delle terre e governo di maggioranza, queste le loro richieste inoltrate inutilmente alla Conferenza di Pace di Parigi, alla Società delle Nazioni (oggi ONU) e al governo Britannico. Le élite palestinesi dell’epoca sprecarono il loro tempo in azioni legalitarie e formali che non portarono da nessuna parte. Le organizzazioni sioniste diventavano sempre più aggressive, con proprie bande armate e arroganti, nell’aprile del 1920 in occasione di una festa comune, Pasqua per i cristiani, Nabi Musa per i mussulmani e la Pasqua ebraica, scoppiarono gli scontri. Gruppi di ebrei sionisti dell’organizzazione suprematista Beitar marciarono provocatoriamente nella Gerusalemme araba. Gli scontri durarono per diversi giorni con 5 morti tra gli ebrei, 4 tra gli arabi e diverse centinaia di feriti da entrambe le parti. La prima azione di resistenza dei palestinesi alla colonizzazione strisciante della loro terra risale quindi ad oltre un secolo fa. La Palestina in quel periodo era composta principalmente da contadini e braccianti poveri (50% della popolazione) dove la coscienza nazionale era assente.Un predicatore e nazionalista siriano che si stabilì a Rafah attorno al 1925, percorse in lungo e in largo tutta la Palestina predicando i dogmi del Corano e l’ideologia nazionalista. Non ebbe seguito nelle campagne in una società arretrata e feudale, ma si radicò tra i poveri urbanizzati e i sottoproletari che vivevano nelle periferie delle città. Il suo nome è Izz al Din al Qassam, fu ucciso dai soldati britannici nel 1935. Aveva, al Qassam, dato inizio alla rivolta con connotazioni di liberazione nazionale che crearono i presupposti dei moti generalizzati del 1936/39.Divenne un martire ed un eroe, da lui prende il nome il principale gruppo della odierna resistenza palestinese “Le Brigate Ezzedin al Qassam”. Il contesto sociale, le forze in campo e le contraddizioni interne nel campo palestinese in quel periodo vengono esaurientemente analizzate da Ghassan Kanafani in “La rivolta Palestinese del 1936-1939” pubblicato in italiano dal Centro di Documentazione Palestinese. Una analisi indispensabile per capire l’evoluzione dello scontro e l’affermarsi del sionismo in quegli anni. Questa premessa per chiarire tre aspetti determinanti della odierna narrazione dell’imperialismo occidentale:
Primo, il progetto di colonizzazione, pulizia etnica e apartheid sionista nasce ben prima della Shoa, cioè dello sterminio scientificamente programmato di circa sei milioni di ebrei che vivevano in Europa ad opera della Germania hitleriana.
Secondo, il progetto sionista ha avuto successo perché si è legato all’imperialismo occidentale per tutelarne gli interessi in un’area strategica importante. Prima con l’imperialismo britannico, poi, tramontato questo, con l’imperialismo targato USA e i suoi vassalli. Questo legame rimane ad oggi determinante per la continuità del moderno stato ebraico come potenza politico-militare regionale.
Terzo, la comunità ebrea dal XIX secolo rimane all’interno della Palestina storica in minoranza rispetto alla popolazione araba fino alla Nabka. Su questo gli storici sia ebrei che arabi concordano. Prima dell’inizio del progetto di colonizzazione sionista le comunità ebraiche rappresentavano il 5% circa della popolazione totale, nel 1920 questa percentuale raddoppiava in conseguenza del forte impulso migratorio dall’Est Europa. Nel 1932 raggiunge il 31% su una popolazione totale di circa un milione di abitanti. Questa la composizione della popolazione di Israele nel 2019: ebrei 6.700.000, non ebrei (palestinesi con cittadinanza israeliana) 2.340.000. Nella West Bank e a Gaza vivono 3.700.000 palestinesi. Nonostante le campagne di pulizia etnica e sterminio, il numero degli ebrei all’interno della Palestina storica è di poco superiore a quello dei non ebrei.
Ad oltre un secolo dalla prima rivolta ha quindi ancora senso opporsi con le armi allo stato di Israele? Ha la resistenza palestinese nelle forme attuali a Gaza, nella West Bank e all’interno dei confini dello stato ebraico, la legittimità di un movimento di liberazione nazionale? Ha la resistenza palestinese il sostegno della popolazione che afferma di voler rappresentare?
Dall’inizio, dagli anni ’20 del secolo scorso, attraverso la pulizia etnica e deportazione (Nakba per gli arabi) prima e dopo il 1948 lo “stato ebraico” ha costantemente ridotto, manu militari, la presenza della popolazione araba erodendone contemporaneamente il territorio. Nella West Bank e Gaza la pulizia etnica ha assunto, durante i vari conflitti, le dimensioni dell’esodo biblico, con i profughi obbligati a rifugiarsi nei paesi vicini, Egitto, Libano, Giordania e Siria. Israele è l’unico stato che non riconosce “il diritto al ritorno” dei rifugiati. La maggioranza degli abitanti di Gaza sono rifugiati o discendono dalle pulizie etniche precedenti. Negli ultimi 32 anni, dopo gli “accordi di pace di Oslo” del 1993, oltre 700 mila coloni ebrei si sono insediati, con il beneplacito dei vari governi israeliani ed il silenzio delle complici democrazie occidentali, nella West Bank. Gli assalti dei coloni, spalleggiati e protetti da l’IDF (l’esercito israeliano), ai villaggi palestinesi e la deportazione di chi resiste sono cronaca di tutti i giorni. Solo la resistenza armata palestinese ha costretto Israele al ritiro dalle colonie da Gaza.
Lo stato di Israele si definisce “uno stato ebraico” eppure dentro ai suoi confini, esclusi i territori palestinesi di West Bank e Gaza, il 21% (dati 2022) del totale della sua popolazione sono arabi palestinesi con cittadinanza israeliana. Questi oltre due milioni di palestinesi vivono una forma di segregazione, di apartheid. Non possono frequentare le scuole per ebrei, né possono accedere a diversi impieghi. Per quasi 20 anni sono stati sottoposti alla legge marziale. L’utilizzo e la proprietà delle terre dichiarate statali per legge sono precluse ai non ebrei. Per i palestinesi che vivono a Gerusalemme est (annessa ad Israele come capitale ma riconosciuta solo dagli Usa) e nella West Bank rimane in vigore l’arresto amministrativo indefinito e senza processo, la demolizione della propria abitazione per il solo sospetto di attività antisraeliane.
Le politiche dei governi che si sono succeduti dal 1948 in Israele hanno una linea costante: l’espulsione e l’annientamento delle popolazioni autoctone con l’illusorio obbiettivo che uno stato basato sull’appartenenza etnica possa eliminare le contraddizioni di genere e sociali. Anche quando le corrotte elite palestinesi si sono illuse di poter trattare con Israele, la risposta è stata sempre la stessa. Al ritiro dell’OLP dal Libano nel 1982, è seguita la strage di Sabra e Chatila, oltre 3000 profughi disarmati sgozzati a sangue freddo. Al trattato di Oslo è seguita una bantustanizzazione della West Bank, con strade vietate ai palestinesi, nuovi insediamenti, un controllo tecnologico militare capillare solo per i palestinesi. Centinaia di migliaia di nuovi coloni sulle colline che controllano le terre migliori e le risorse idriche. Questo in barba al cosiddetto “diritto internazionale” che, come è evidente, serve solo quando a infrangerlo sono i nemici e/o i concorrenti dell’imperialismo a guida USA. All’occasione, se non hanno un motivo valido, se lo inventano, vedi Iraq, Afghanistan e Iran. In questo contesto come negare al popolo oppresso palestinese il diritto a resistere armi in pugno all’occupante? Cosa altro potrebbero fare?
Il codardo e vigliacco esercito dei padroni israeliani dopo aver raso al suolo, dai loro jet, una delle aree più altamente popolate del pianeta, non riesce dopo quasi due anni a sottomettere un movimento di liberazione senza contraerea e scarsamente armato. Hanno massacrato e mutilato centinaia di migliaia di civili nella speranza che si rivoltassero contro la resistenza. Violando qualsiasi regola umanitaria, che evidentemente per loro non valgono, li hanno affamati, assetati, costretti a spostarsi continuamente. Dichiarando il 90% di Gaza “shoot to kill areas”(zone di combattimento dove si spara a tutto ciò che si muove). Un massacro dal punto di vista militare completamente inutile e che non è servito a rompere il legame tra la resistenza e la popolazione. Anzi negli ultimi tempi la resistenza ha inflitto pesanti perdite a IDF, emergendo dai tunnel e coraggiosamente rispedendo al mittente, dentro i loro Merkava, molte delle bombe inesplose sganciate dai Jet di fabbricazione USA. Una resistenza senza retrovie, impossibilitata a ritirate tattiche, che nei giorno scorsi ha tentato di sequestrare diversi soldati, quanti giorni sopravvivrebbe senza il sostegno della popolazione martoriata e affamata?
Ma anche nel campo israeliano in una società solo apparentemente granitica le forze sono in movimento. Le manifestazioni per la liberazione degli ostaggi, e per un cessate il fuoco e uno scambio di prigionieri, stanno con nuovo vigore riprendendosi le piazze contro la politica di Netanyahu. Sul fronte della West Bank l’azione dei coloni israeliani apre contraddizioni sempre più violente all’interno delle forze in campo. Circa un anno fa, il 30 luglio 2024, un nutrito gruppo di coloni e suprematisti ebrei diedero l’assalto a due basi militari IDF per ottenere la liberazione di alcuni soldati arrestati con l’accusa di aver torturato e stuprato prigionieri palestinesi. Consideravano senza senso l’accusa ai soldati. Nelle scorse settimane la situazione di scontro interno è sembrato precipitare, gruppi di coloni armati hanno assaltato diverse caserme dell’IDF .
Apparentemente i tempi della pulizia etnica di IDF non coincidono con l’urgenza dei coloni di distruggere e sterminare i palestinesi della West Bank. La versione della realtà, amplificata dai media borghesi delle “povere vittime innocenti israeliane” ha fatto proseliti anche nella sinistra massimalista italiana, pochi in verità! Scrivono del “pogrom antisemita del 7/10” ad opera di fanatici religiosi mussulmani. Non arrivano a “rivendere” completamente, ma ci manca davvero poco, la propaganda di Netanyahu sugli stupri di massa e i bambini sgozzati ormai negati anche dall’ONU. Si dimenticano che una buona parte dei morti sono stati soldati di IDF (329 secondo Times of Israel), molti dei civili erano riservisti incaricati della difesa dei kibbutz, poliziotti e guardie armate private, il numero dei morti dovuti al fuoco amico della “direttiva Hannibal” non sarà mai verificato, considerando che IDF ha distrutto tutte le prove. L’azione della resistenza palestinese del 7/10, non ha tenuto in conto la disparità di forze tra uno degli eserciti più potenti e tecnologici del pianeta e le forze della resistenza stessa, subendo in seguito l’azione di annientamento totale da parte di IDF con la complicità attiva di tutte le forze imperialiste. Tuttavia, il 7/10 non può certamente essere paragonato al massacro di Sabra e Chatila dove in un campo profughi furono massacrati migliaia di civili completamente disarmati, né può essere paragonata ai pogrom antisemiti che sono un appannaggio esclusivo delle civilizzate e cristiane borghesie europee. Il 7 ottobre ha riportato la Palestina fuori dall’oblio. Ha stanato le elite, i padroni, le classi dominanti che non hanno potuto più evitare di schierarsi palesemente con l’oppressore. Ma hanno anche costretto le classi subalterne, gli operai e i movimenti giovanili a schierarsi, solidarizzando con la resistenza armata dei palestinesi. Non è poca cosa!
M. C.


Fonti Ghassan Kanafani,La Rivolta del 1936-1939 (contesto, dettagli, analisi), edizione Centro Doc Palestinese
Ilan Pappe Storia della Palestina moderna, edizione Einaudi
Ilan Pappe The forgotten Palestinians, edizione Yale
Rashid Khalidi The Hundred years’war on Palestine, edizione Profile Books

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