Nazionalisti da bar e affari internazionali

  Nell’arco degli ultimi due mesi tre gruppi industriali importanti sono stati venduti. A fine settembre la cinese Haier per 475 milioni di euro si è comprata gli elettrodomestici Candy dagli storici proprietari, i fratelli Fumagalli. A fine ottobre è invece la famiglia Agnelli-Elkann che si vende per 6,2 miliardi di euro la Magneti Marelli a KKR, un fondo di capitali statunitensi. Il terzo gruppo è nientemeno che Ansaldo Sts, che con questa operazione annunciata settimana scorsa, valore 875 milioni di euro, passerà definitivamente e al 100% nelle mani della giapponese Hitachi. A far cassa questa volta è il […]
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Nell’arco degli ultimi due mesi tre gruppi industriali importanti sono stati venduti. A fine settembre la cinese Haier per 475 milioni di euro si è comprata gli elettrodomestici Candy dagli storici proprietari, i fratelli Fumagalli. A fine ottobre è invece la famiglia Agnelli-Elkann che si vende per 6,2 miliardi di euro la Magneti Marelli a KKR, un fondo di capitali statunitensi. Il terzo gruppo è nientemeno che Ansaldo Sts, che con questa operazione annunciata settimana scorsa, valore 875 milioni di euro, passerà definitivamente e al 100% nelle mani della giapponese Hitachi. A far cassa questa volta è il fondo avvoltoio Elliot che con questa operazione è riuscito a farsi pagare profumatamente dai giapponesi l’ultimo pezzo (il 30%) di Ansaldo Sts, venduta insieme ad Ansaldo Breda nel 2015 da Finmeccanica. In quest’ultimo caso una vendita del patrimonio industriale della borghesia italiana avvenuta a rate, con una coda giudiziaria durata due anni .

A seguito dei tre episodi e della loro cadenza ravvicinata ci saremmo aspettati da parte degli esponenti di governo almeno dei roboanti richiami alla salvaguardia dei posti di lavoro in Italia. Se non peggio, una chiamata alle armi contro le vendite al capitale straniero. In fin dei conti non è stato forse Matteo Salvini che neanche 5 mesi fa inveiva contro Mattarella dicendo: “ha rappresentato gli interessi di altri paesi, non degli italiani. Siamo una colonia tedesca o francese”. Ora non è preoccupato di essere una colonia americana, giapponese, cinese!?

Non ci poteva invece essere silenzio più assordante, non una parola, un commento, una dichiarazione, o come ci ha abituato Salvini un video su Facebook che trasudi tutta la sua arroganza. Niente di niente. Quasi non fosse successo nulla o riguardasse la vendita dell’ultima, insignificante fabbrichetta di provincia.

È vero che questi tre esempi sono solo gli ultimi di una lunga serie, ma sono avvenuti adesso con il governo Lega-5S, di Salvini e Di Maio che non si sono certo risparmiati nell’additare un nemico presunto in “chi ci porta via il lavoro”, in “chi è contro il popolo lavoratore italiano”.

E’ stato naturale per loro farsi paladini della “difesa della nazione italiana”, e “del popolo italiano”, dire “prima gli italiani”, quando nel mirino è stato messo il povero immigrato. In quel caso odio e paura sono stati distribuiti senza remore. Anche contro altri politici e funzionari europei non si sono troppo trattenuti, seppur i toni fossero già diversi. Di Maio, preso dalla foga nel difendere il suo “reddito di povertà”, si è spinto fino ad attaccare il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, colpevole a suo dire di scarso patriottismo con i suoi avvertimenti sullo spread.

Ma contro i padroni Fumagalli della Brianza, o gli Agnelli-Elkan, che si son venduti le fabbriche per realizzare altri e nuovi profitti, nemmeno mezza parola. Per Salvini “prima vengono gli italiani, il loro diritto al lavoro, alla felicità”, per Di Maio “Lo Stato è dalla parte di chi non delocalizza, e fa di tutto per mantenere i posti di lavoro in Italia”, ma quando sono gli stessi padroni italiani a fare operazioni industriali con capitalisti giapponesi, cinesi, tedeschi come la mettono? Le parole a questi parolai allora gli mancano. Nazionaliste e razziste le loro dichiarazioni, per la pancia flaccida degli ignorantoni, contro poveri cristi che non possiedono più nulla, ma silenziosi e riverenti nei confronti del medio-grande capitale industriale.

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