CONTRATTO DEI METALMECCANICI: UN BIDONE

Sbandierato un aumento di 205,32 euro. Ripreso da tutti come un buon risultato, si rivela per i diretti interessati, gli operai metalmeccanici, un bidone: gli aumenti scaglionati in quattro anni, l’ultima trance a giugno 2028 e nemmeno un euro fino a giugno dell’anno prossimo.

Sbandierato un aumento di 205,32 euro. Ripreso da tutti come un buon risultato, si rivela per i diretti interessati, gli operai metalmeccanici, un bidone: gli aumenti scaglionati in quattro anni, l’ultima trance a giugno 2028 e nemmeno un euro fino a giugno dell’anno prossimo.

Come ormai sappiamo da un po’ di anni alla firma di ogni contratto nazionale segue la solita litania, i capi sindacali si dicono soddisfatti e gli industriali fanno finta di aver fatto uno sforzo sovrumano per venire incontro alle richieste della controparte. Si contano le ore di sciopero che sono state necessarie, si racconta di manifestazioni partecipate e il risultato acquista più valore se confrontato con lo sforzo per ottenerlo. A pochi viene in mente che con la forza messa in campo il risultato poteva essere più sostanzioso. Alla fine per farlo percepire comunque come un risultato passabile si ricorre al vecchio detto “meglio che niente”. Naturalmente nel presentare le cifre si ricorre ai trucchi da prestigiatori, e cosa c’è di meglio che sparare la cifra totale dell’aumento senza specificare quando e dove saranno i “205, 32 euro di aumento”, basta ripeterla ovunque, dai giornali alle TV, nei siti di area sindacale.
Sappiamo che i padroni organizzati, la Federmeccanica, avevano calcolato in 173 euro la copertura dell’inflazione ricavandola dai dati truccati dell’istituto IPCA. 280 euro invece la richiesta del sindacato. Ebbene il risultato di 205,32 non è nemmeno l’equilibrio fra i due punti di partenza che di solito si realizza nella contrattazione. Saremmo arrivati a 225,5 euro. Ma Federmeccanica ha tenuto duro e si è spostata solo di 30 euro mentre i nostri baldanzosi rappresentanti sindacali sono scesi di 75 euro. Ma hanno il coraggio di presentare l’ aumento di 205,5 euro, senza specificare i tempi e i modi, come una ragionevole difesa del salario a fronte dell’inflazione prevista e mettere così a posto la coscienza di tutti quelli che denunciavano bassi salari nell’industria, bloccati da decine d’anni.
Basta leggere l’accordo nello specifico capitolo sugli aumenti per scoprire il bidone, dalla firma del contratto il 22 novembre al giugno dell’anno prossimo nemmeno un euro. I padroni hanno messo nel conteggio generale 27,70 euro erogati a giugno come copertura della vacanza contrattuale. Poi il primo aumento scatta il primo giugno del 2026 ed è di 53,17 euro. Dobbiamo aspettare il giugno del 2027 per un’altra trance di 59,58 euro, ed infine nel giugno del 2028 l’ultima di 64,87.
Se si tiene conto che queste sono cifre lorde da tassare più o meno dal 25 al 30% ci si rende conto di quanto siano lontane da una vera politica di difesa dei salari. Nel racconto dei prestigiatori seduti attorno al tavolo delle trattative c’è la favola che questi aumenti saranno del 9,4% mentre l’inflazione prevista è del 7,2. Già il calcolo percentuale sul lordo è molto diverso che sul netto e l’inflazione fa i conti col netto, e poi sappiamo bene che chi calcola il livello di inflazione previsto e dà la misura di quello reale sa “giocare” bene con i dati per far comparire i salari e gli stipendi adeguati all’aumento dei prezzi.
Ultima notazione, le cifre delle quali stiamo scrivendo si riferiscono ad un livello medio alto delle categorie operaie, per cui, per quelli appena assunti o per quelli impiegati direttamente nella produzione di massa, le cifre in questione si riducono ulteriormente. Alla fine di questo “buon risultato” un milione e mezzo di metalmeccanici si ritroveranno, fra quattro anni, ad essere più immiseriti rispetto ad oggi. Eppure, dopo aver messo in campo 40 ore di sciopero, con punte alte di iniziative operaie di protesta, si doveva e poteva puntare ad un vero recupero salariale. Insomma, non è un caso che, con questi gruppi dirigenti sindacali, siamo in Europa gli operai con i salari più bassi. E’ ormai da decine di anni che in ogni contratto viene sacrificato una quota di salario in cambio di promesse di investimenti, di sviluppo industriale e di ogni invenzione sul welfare aziendale.
La condizione operaia si misura su quanti operai perdono la vita lavorando sotto padrone e qui i capi sindacali hanno fallito nel fronteggiare la situazione pur sprecandosi in belle e commoventi parole.
La condizione operaia si misura sui salari reali che gli operai portano a casa per mantenersi e riprodursi e qui è chiaro che sono diminuiti, un fallimento della politica salariale dei dirigenti confederali ai quali prima o poi bisogna chiedere il conto. Ma non per altro, per affrontare una controparte, quella Confindustriale con i suoi associati, che credono di averci definitivamente messo sotto i piedi.
E. A.

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