In tutte le fabbriche di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria le parole d’ordine per cui battersi uniti e senza cedimenti: posto di lavoro assicurato e salario pieno garantito per tutti gli operai. Gli operai che bloccano tutto fanno ancora paura
Il mantenimento del posto di lavoro per tutti gli operai in tutti gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria (AdI) o ex Ilva, solo in subordine cassa integrazione ma a rotazione reale e a salario pieno per tutti. Per gli operai è l’unica risposta possibile al piano industriale presentato e confermato dal governo Meloni per il futuro di AdI. E per darle forza nessuna esitazione a gettare sulla bilancia della trattativa il peso della propria forza numerica con il presidio e l’occupazione di tutte le fabbriche di AdI. Non esistono altre soluzioni praticabili, i dirigenti sindacali che vogliano continuare a gingillarsi in tavoli tecnici con l’obiettivo della nazionalizzazione dell’impresa siderurgica ne risponderanno al giudizio degli operai. Per anni, per decenni gli operai hanno dato moltissimo, in termini di perdita di ore di lavoro falcidiate dalla cassa integrazione, di salari ridotti all’osso, di salute compromessa, di morti, infortuni e malattie professionali. Gli operai non vogliono essere le vittime di una ristrutturazione per garantire un nuovo livello di profitto alla produzione siderurgica dopo che altri (prima i Riva, poi ArcelorMittal) si sono arricchiti sulla loro pelle.
Gli operai della fabbrica di Cornigliano hanno dato l’esempio, occupando e presidiando lo stabilimento genovese. I dirigenti sindacati di ogni livello, che per anni, invece di difendere i reali interessi degli operai con lotte serie per aumentare salari e sicurezza in fabbrica, si sono baloccati prima con la richiesta di far entrare lo Stato nella gestione di Acciaierie d’Italia e poi con l’illusoria bandiera della nazionalizzazione, ora sono costretti a inseguire gli operai e a indire scioperi e a mettersi a capo dei presidi per non perdere la faccia e il controllo della massa operaia. Come abbiamo scritto da tempo, il governo Meloni non ha alcuna intenzione di sobbarcarsi il peso delle perdite economiche accumulate dalla gestione di AdI e ha fretta di passare la patata bollente dagli attuali commissari amministratori a un padrone privato affinché sbrogli lui la matassa necessaria per riprendere ad accumulare profitti ad un saggio sufficiente con meno operai. Sa bene che, stando alle regole del mercato capitalista, l’AdI, per tornare competitiva, cioè per tornare a produrre il profitto adeguato all’investimento, ha bisogno della decarbonizzazione e della conseguente riduzione della forza-lavoro. Il governo Meloni è disposto a favorire la decarbonizzazione, perché la conversione a tecnologie più sostenibili come il Dri, che utilizzeranno gas naturale a prezzi convenienti, è cruciale per mantenere l’ex Ilva competitiva, ma non vuole assumersi la responsabilità diretta di migliaia di licenziamenti. Altrimenti le ciarle della presidente Meloni che il suo governo ha aumentato l’occupazione e i salari si rivelerebbero ancora una volta per quello che sono, spudorate menzogne!
Da più di un anno era chiaro che l’ingresso di un nuovo acquirente, dopo l’abbandono/estromissione di ArcelorMittal, avrebbe comportato l’allontanamento di altri operai, prima con la cassa integrazione, poi con gli incentivi, infine con i licenziamenti. Negli ultimi mesi è diventato ancora più evidente che con le proposte di acquisto da parte di fondi americani come Bedrock Industries e Flacks Group il numero di operai espulsi dal ciclo produttivo aumenterà ulteriormente. Il governo Meloni, senza dirlo apertamente, lo ha assunto come un male necessario, di cui gli operai devono accettare e sopportare le conseguenze. D’altra parte non sarebbe la prima volta che un governo borghese abbandona a un destino di fame gli operai dell’ex Ilva. L’accordo del 6 settembre 2018 voluto dal governo Conte I (Lega-M5S) e firmato da Fiom, Fim, Uilm e Usb, non ha provocato l’esclusione dal ciclo produttivo di circa 3000 operai, di cui 1600 in Ilva in amministrazione straordinaria ancora in cassa integrazione dopo lunghi periodi di inutile formazione? Il governo Meloni ha creato pressoché tutte le condizioni favorevoli per il cambiamento di proprietà, per la cessione di AdI dai commissari straordinari al nuovo acquirente. Il suo obiettivo immediato non è la cessazione definitiva dell’attività di AdI, con la chiusura delle fabbriche, come fanno intendere i sindacati per alzare il polverone e riscuotere un appoggio operaio da spendere al prossimo tavolo tecnico non per difendere gli interessi degli operai ma per valorizzare il ruolo burocratico e decisionale del sindacato. Ne avrebbe un irreparabile danno di immagine che non si può permettere se vuole rimanere in piedi. Il dichiarato proposito del governo è vendere l’AdI nelle migliori condizioni possibili, e quindi più allettanti, a un padrone privato, senza alcuna partecipazione statale attuale o futura. In tale prospettiva, tenendo conto che la produzione è minima e sono necessari lavori per la decarbonizzazione della fabbrica di Taranto, non esita a mettere in cassa integrazione tutti gli operai necessari.
In questa difficile situazione gli operai devono mantenere, dal basso, unità di intenti e organizzativa in ogni fabbrica e fra tutte le fabbriche. Devono quindi opporre un netto rifiuto a proposte come quella ventilata dal presidente leghista della Regione Liguria, Bucci, fatta davanti allo stabilimento di Cornigliano occupato, di una vendita a pezzi delle diverse fabbriche, allo scopo a suo dire di salvaguardare i 1000 posti di lavoro nella fabbrica genovese: il cosiddetto “spezzatino” non è affatto garanzia di mantenimento dei 1000 posti di lavoro a Cornigliano, la divisione delle fabbriche indebolirebbe l’unità degli operai e li porterebbe dovunque più facilmente alla sconfitta e alla perdita del posto di lavoro e del salario. Le parole d’ordine per cui battersi uniti, con forza e senza cedimenti, devono essere: posto di lavoro assicurato per tutti gli operai, salario pieno garantito per tutti gli operai.
L.R.
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