Castel d’Azzano ora fanno a gara a chi condanna con parole più pesanti quanto è accaduto. Puntare il dito sui tre disperati che dovevano essere sfrattati è facile. Chiedersi invece come si è arrivati a tanto è censurato. Chiedersi come finiranno i 4000 sfratti esecutivi all’anno è proibito.
Nella stessa giornata in cui si è tenuto il consiglio dei ministri per varare la nuova legge finanziaria che prevederà ancora sanatorie per gli evasori fiscali e sostegno alle imprese per 4 miliardi di euro, tre fratelli si erano barricati nel loro casolare fatiscente, di notte, a Castel d’Azzano, per evitare l’ennesima iniziativa di sgombero. Era tutto quello che gli era rimasto. Un casolare dove vivevano in 3, in cui erano nati e cresciuti, l’ultimo posto prima di finire per strada. Una famiglia di allevatori che tirava avanti solo con il latte delle loro mucche. Come si legge dalle cronache, avevano sottoscritto un mutuo (forse per risollevare la loro attività) nel 2014 ipotecando la casa e un appezzamento di terreno. In passato avevano denunciato anche delle irregolarità nella procedura, ma da allora sono finiti nel tritacarne delle ingiunzioni di pagamento, del pignoramento della banca, sotto le esecuzioni forzate di sgombero. Dovevano insomma lasciare la loro casa per restituire i soldi alla banca.
Già lo scorso anno avevano provato a sfrattarli, si erano asserragliati sul tetto della casa, minacciando avvocati e forze dell’ordine, come nell’ultima tragica circostanza, di far esplodere tutto saturando la casa con il gas. Rimasero due giorni e due notti sul tetto. Che fossero disposti a tutto per sopravvivere e difendere quel poco che gli era rimasto lo si era già capito. Questa consapevolezza non ha spinto le autorità a desistere, anzi hanno deciso che serviva un rocambolesco blitz alle tre di notte per sfrattarli da lì, un trattamento che si riserva a pochi criminali. E di certo solo ai criminali che non fanno parte della loro cerchia. Questa volta sono andati fino in fondo, sfondando la porta, con le valvole del gas aperte c’è stata l’esplosione innescata da materiale incendiario, un boato, il crollo della casa, tre carabinieri morti, una decina di militari e agenti feriti. C’era un commando fuori quella casa di notte per portare fuori tre poveri cristi. Lo Stato che usa tutta la sua forza militare per l’esecuzione di un ordine di sfratto. Lo Stato che, fino a questa tragica notte, di misure alternative, per risolvere problemi sociali ormai così diffusi, non ne ha usata neanche una.
Sono anni che la situazione abitativa è diventata incandescente. Appena 20 giorni fa una nota del Ministero dell’Interno informava che vi sono 40.000 sentenze di sfratto all’anno, ogni giorno se ne eseguono 106. Quelle motivate da morosità incolpevole sono il 75%. E i dati del Ministero non tengono conto delle esecuzioni di espropri per mancati pagamenti di mutui per prime case, né degli sgomberi di occupazioni di immobili, né tantomeno rilevano gli sfratti eseguiti senza intervento della forza pubblica perché la famiglia ha lasciato l’alloggio spontaneamente. Quindi i numeri sono ben maggiori nella realtà e vanno letti insieme a quelli che riguardano il caro affitti, aumentati più del doppio rispetto ai prezzi delle case in vendita, 6% in più rispetto all’anno precedente, un segno tangibile della speculazione messa in atto da multiproprietari, rentier e fondi immobiliari. Ci sono state le tende degli universitari nei campus contro il caro affitti che hanno denunciato di essere costretti a pagare anche 150€ in più al mese nelle grandi città. L’edilizia popolare è ferma agli anni ‘80, i piani di investimento per assegnare casa ai nuclei familiari che ne hanno bisogno si sono estinti, non a caso, insieme all’ultima grande stagione di lotte. Circa 320.000 famiglie ogni anno finiscono nelle liste di attesa per un alloggio popolare senza ottenere risposta. E i numeri sono destinati ad aumentare. I salari sono crollati del 7,5% rispetto a soli 4 anni fa, mentre aumentano i numeri degli inoccupati e degli occupati con contratti precari e a tempo determinato. I profitti di azionisti e gli utili delle banche invece fanno numeri record. Introiti mai visti. Mentre esplodeva il caseggiato di Castel d’Azzano venivano diffusi anche i dati dell’Istat sulla povertà generale nel nostro paese: quasi 6 milioni in povertà assoluta e tra questi le famiglie operaie costituiscono il 16%.
È questa società allora che sta esplodendo, con la sua matassa di affari e profitti che si estorce dal lavoro operaio, con le sue diseguaglianze strutturali, con la miseria che aumenta sempre di più e con tutto il carico di promesse tradite da quel capitalismo che doveva invece, a detta dei suoi intellettuali proni e prezzolati, assicurare benessere a tutti. Fino a quanto può tenere una società dove la maggioranza vive sul lastrico, in povertà, facendo i conti con una miseria sempre più nera? Qual è il senso politico della democrazia quando bisogna vivere barricati in casa con le bombole del gas? L’esasperazione sociale sta raggiungendo livelli che destano preoccupazione anche tra i vertici istituzionali, si accorgono che sempre più persone hanno sempre meno da perdere. E temono la rivolta. E temono che i proletari seguiranno ad organizzarsi dietro la spinta delle rivolte. Nonostante gli apprezzamenti di Trump, il governo Meloni ha poco di cui star sereno. Una buona parte di questa umanità immiserita si è buttata nelle piazze italiane per Gaza, che sono diventate non solo l’occasione per manifestare solidarietà alla Palestina ma anche per sperimentare collettivamente, come non si faceva da anni, la protesta che esonda da questo carico di sofferenze sociali, rabbia e frustrazioni.
Come giornale operaio, espressione di una tendenza organizzativa indipendente degli operai, ci sarà concessa un’ultima osservazione: il 14 ottobre non sono morti solo i carabinieri mentre svolgevano il loro lavoro. Anche tre operai. Un uomo di 57 anni, tunisino, non ancora diffuso il suo nome, precipitato da 4 metri da un pavimento sopraelevato, nel catanese. Francesco Broda di 48 anni, sepolto vivo mentre stava lavorando con un escavatore nella zona industriale di Corridonia. Pasquale Iliceto, morto quel giorno in ospedale, dopo essere precipitato da un’impalcatura di un centro commerciale a Nola ben 7 giorni prima. Ogni giorno ne muoiono 3 in media, mentre svolgono il loro lavoro. Per questi 3 operai morti il 14 ottobre, come per gli altri, di tutti gli altri giorni, non ci saranno encomi pubblici e funerali di Stato. Restano pedine sacrificabili e intercambiabili di una società costruita sulla violenza e sul crimine di una classe egemone. Ancora per quanto?
A. B.
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