POTRÀ MAI UN POPOLO ESSERE LIBERO SE NE OPPRIME UN ALTRO?

Le potenti manifestazioni contro il governo in Israele apriranno la strada ad una  solidarietà militante con il popolo palestinese?  Questa è la sola garanzia di uno sviluppo antiborghese del movimento.
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Le potenti manifestazioni contro il governo in Israele apriranno la strada ad una solidarietà militante con il popolo palestinese? Questa è la sola garanzia di uno sviluppo antiborghese del movimento.


 

Le recenti manifestazioni di piazza hanno visto quelle israeliane come le uniche dove sono presenti in maniera massiccia ed esclusiva le bandiere nazionali. Istintivamente basterebbe solo questo per essere tentati di liquidarle come mera espressione nazionalistica. Senza collocarle sullo stesso piano degli scioperi operai contro l’innalzamento dell’età pensionabile in Francia, gli scioperi in UK e in Germania, le manifestazioni israeliane anche se guidate e ispirate da influenti uomini e donne della borghesia Israeliana H. Barack (ex capo di stato maggiore, primo ministro, ministro della difesa ecc.) e da Tzipi Livni (ex Mossad, ex ministra della Giustizia e degli esteri), tuttavia, sono un segnale della instabilità profonda e senza uscita in cui si dibattono, nella crisi, le democrazie borghesi. La società israeliana in particolare ha finora dato all’esterno una compattezza unica, come se non esistessero al proprio interno le contraddizioni tipiche delle società dominate dai padroni e dai loro interessi di classe. Nonostante le evidenti peculiarità dello stato israeliano, l’instabilità e le prime cariche poliziesche in assoluto, per tentare di disperdere i manifestanti in piazza, rappresentano un segno evidente che qualcosa si è incrinato nella artificiosa compattezza della società.
La crisi economica mette anche qui in movimento le classi sociali, amplificando le contraddizioni e costringendo per ora le classi intermedie rovinate a scompaginare le fila anche nelle realtà apparentemente più coese.
Nonostante tutte le divisioni create dai padroni la crisi potrebbe mettere in movimento anche gli operai, palestinesi, asiatici presenti in Israele che partendo dalla loro condizione comuni di sfruttati, potrebbero sperimentare una piattaforma comune contro i propri padroni, spingendo anche gli operai di origine ebraica ad aderirvi.

Proteste antigovernative e limiti esterni: i territori occupati
Lo stato di Israele, che come vedremo in seguito può essere definito un regime di apartheid, è protagonista della più lunga occupazione militare della storia moderna (Territori palestinesi dal 1967). Occupazione militare caratterizzata da ininterrotte pratiche illegali (deportazioni, omicidi mirati, punizioni collettive, rappresaglie, detenzioni collettive, nei confronti della popolazione palestinese, insediamenti ebraici) in aperto contrasto con le tutte le attuali convenzioni internazionali. I crimini commessi nei territori occupati non escludono i minori, 700 dei 9.000 palestinesi arrestati nel 2013 erano bambini tra gli 11 e i 12 anni (BBC News 06/08/2014). Secondo le Nazioni Unite il 2022 è stato l’anno, per i palestinesi, con il numero di morti più alto dal 2006. L’esercito dei padroni israeliani ne ha infatti ucciso 224 di cui oltre 30 erano bambini.

Dagli scontri fra frazioni di borghesi alle proteste di massa e alla lotta di strada
Negli ultimi 4 anni lo stato di Israele ha passato un periodo di forte instabilità, quattro elezioni politiche non sono riuscite a determinare un vincitore che potesse formare un governo con una solida maggioranza. Solo nel novembre del 2022, al quinto appuntamento elettorale consecutivo, B. Netanyahu diventa per la sesta volta primo ministro anche se il suo partito (Likud) da solo non ottiene la maggioranza. Governare diventa possibile solo con il sostegno di alcuni partiti suprematisti: Sionismo religioso di Bezalel Smotrich, Potere ebraico di Itamar Ben-Gvir e Noam di Avi Maoz a cui si aggiungono altri due partiti ultraortodossi: Shas, guidato dal pregiudicato Arye Dery e Ebraismo unito della Torah.
A gennaio 2023 questo nuovo esecutivo presenta un progetto per “riformare” la Corte Suprema Israeliana. In pratica la nuova legge subordinerebbe il potere legislativo al governo. Israele non ha una formale costituzione scritta, sono i 15 giudici della Corte Suprema nominati a vita, che legiferano e dirimono le questioni più importanti.
Netanyahu, il primo ministro e la moglie sono sotto inchiesta per corruzione, mentre Il leader del Partito Shas, Arye Dery, è stato condannato per corruzione ed evasione fiscale, quest’ultimo non potrebbe diventare membro dell’esecutivo, secondo le attuali direttive della Corte Suprema. L’attuale primo ministro in carica non potendo prescindere dai voti dei partiti religiosi e nazionalisti ha dovuto concedere al suprematista Itmar Ben Gvir (Jewsih Power) la possibilità di formare una propria milizia, “La guardia nazionale”, destinata a sedare le manifestazioni di solidarietà dei palestinesi residenti in Israele, con i palestinesi di Gaza e Cisgiordania. Ben Gvir è stato condannato in precedenza per incitamento al razzismo e sostegno al terrorismo antiarabo.
Al partito di maggioranza relativa, Likud, sono andati 18 ministeri tra cui il primo ministro. I partiti suprematisti e ultrareligiosi ne hanno ottenuti 14.
I partiti religiosi e suprematisti hanno una forte caratterizzazione omofoba e misogina, Le donne non hanno posto in nessuna delle loro liste. I partiti religiosi che rappresentano il 10% della popolazione, hanno da sempre rifiutato il servizio militare. Nel 2017 la Corte Suprema Israeliana ha ritenuto questa eccezione in contrasto con il principio di uguaglianza, chiedendo che fosse revocata.
Inoltre, la piena annessione della Cisgiordania occupata, il ritiro della legislazione pro-LGBTQ+, l’abolizione delle leggi a tutela dei diritti delle donne e delle minoranze e l’allentamento delle regole di ingaggio per la polizia e i soldati israeliani sono tutti all’ordine del giorno nell’agenda della coalizione.

I contrasti fra frazioni dominanti lasciano emergere classi sociali schiacciate dalla crisi che prendono il sopravvento nelle piazze e per le strade.
Con queste premesse il tentativo di subordinazione della Corte Suprema all’esecutivo ha polarizzato la “società civile” israeliana mobilitata da figure storiche dell’opposizione, ex giudici della Corte Suprema, alti gradi dell’esercito.
La risposta della classe media, allarmata dalla prospettiva di veder ridotti il proprio tenore di vita oltre ai propri diritti civili, di genere e libertà sessuale da un esecutivo di religiosi bigotti e razzisti, è stata massiccia. Gli alti gradi dell’esercito si sono da subito schierati con la piazza. I padroni israeliani, di solito formalmente neutrali rispetto alle polemiche politiche, spaventati dal crollo di febbraio della moneta israeliana e dalla fuga di capitali all’estero (20 miliardi di Euro tra gennaio e febbraio 2023, The Guardian Mc Kerman 09/03/23), si sono uniti alle proteste. Gli industriali del potente settore tecnologico hi-tech (15% del Pil) hanno apertamente criticato il governo schierandosi con i manifestanti. Eynat Guez, CEO e co-fondatore di Papaya Global e leader del settore software (fatturato oltre 1 miliardo di dollari), è stato il primo a farlo pubblicamente a gennaio di quest’anno. “Questo è al di là di sinistra o destra, le riforme sono semplicemente presa di potere”, ha detto. “Viviamo in un paese instabile, pericoloso e nonostante ciò abbiamo costruito questo settore e guadagnato la fiducia degli investitori esteri” (The Guardian 09/03/23). L’attuale ministro della difesa Galant (Likud) ha duramente criticato la proposta di “riforma” giudiziaria rifiutando di dimettersi, come chiesto da Netanyahu il 27 marzo e portando ampi settori della classe media del Likud a scendere in piazza.
La sera del 27 marzo il primo ministro sospende temporaneamente la riforma!

La presenza operaia
La forza lavoro israeliana e stimata in circa 3,5 milioni (Fonte Kav La Oved 2023). Alla forza lavoro autoctona bisogna aggiungere decine di migliaia di operai asiatici (tutti a contatto a termine) e le migliaia di operai palestinesi, frontalieri che ogni giorno escono e rientrano dai territori occupati. Considerando la natura discriminatoria della “democrazia israeliana” non si capisce se nella forza lavoro israeliana citata, siano inclusi anche i palestinesi cittadini israeliani. Lo sfruttamento degli operai, in ogni caso presenta le stesse caratteristiche di qualsiasi altro paese in mano ai padroni, nel settore edile, per fare un esempio concreto, il numero di morti sul lavoro è 2,5 volte quello dell’unione europea. Rimandiamo ad un’altra occasione una indagine approfondita sulla condizione e la composizione operaia nello stato di Israele.

La lettura dei progressisti israeliani “ tentativo di colpo di stato e svolta fascista…”
Molti commentatori e intellettuali progressisti israeliani denunciano un tentativo di colpo di stato e una svolta fascista (Y Klein Haaretz del 04/10/22) invitando le piazze a rovesciare il governo che mette in pericolo la democrazia israeliana (ex primo ministro Yair Lapid, Jews News Sindacate 04/04/23 M. Phillips). Tutti uniti nel difendere l’attuale ruolo istituzionale della Corte Suprema, identificandola come un baluardo insostituibile della democrazia e della libertà in Israele. L’attuale governo farebbe precipitare il paese nei peggiori incubi a cui i padroni europei hanno dato vita nei secoli passati: razzismo istituzionalizzato, segregazione e apartheid!

Ma rimane la domanda: la Corte Suprema è stata un campione di democrazia ? La risposta alla popolazione palestinese.
Il 19 luglio del 2018 il parlamento israeliano approva la legge sulla nazionalità (Nation State Bill), in essa si definisce Israele come “la patria storica della nazione ebraica, che solo il popolo ebraico ha diritto esclusivo all’autodeterminazione”. Decreta l’ebraico come unica lingua ufficiale e ritiene sia nell’interesse nazionale la creazione di insediamenti per soli ebrei. Nonostante che la popolazione palestinese residente in Israele rappresenti oltre il 20% dei 9 milioni di abitanti, l’otto luglio del 2021 la Corte Suprema Israeliana conferma la costituzionalità, con un solo voto contrario, del Nation State Bill del 2018. Introducendo un sistema di segregazione razziale, di apartheid e quindi formalmente la nascita di uno stato che vorrebbero basato sulla predominanza etnica degli ebrei.
Il 21 luglio 2022 la Corte Suprema ribadisce la legittimità della legge “Sulla violazione del rapporto di lealtà allo stato”, una legge unica al mondo, che prevede la revoca della nazionalità israeliana e la riduzione ad apolide a quei cittadini che si macchiano di atti terroristici. Nei 31 casi finora presi in considerazione si è sempre trattato di cittadini palestinesi con cittadinanza israeliana, nonostante che diversi ebrei israeliani siano stati condannati per attentati terroristici. La legge secondo alcune organizzazioni umanitarie potrebbe essere applicata per accelerare la pulizia etnica soprattutto a Gerusalemme.
I pronunciamenti della Corte Suprema anche nel passato hanno sempre decretato, con rarissime eccezioni, la supremazia della etnia ebraica. Nel libro “Pulizia etnica della Palestina” (ed. one world, Oxford 2006) lo storico israeliano I. Pappe ha segnalato un ricorso alla Corte Suprema da parte dei parlamentari palestinesi eletti al parlamento israeliano(Knesset). Nel 2006 l’esercito dei padroni israeliani sigillò un villaggio palestinese in Israele, Jaljulya, perquisendo tutte le abitazioni e concentrando 36 donne nella piazza principale. Otto delle donne sposate con palestinesi residenti in Israele furono immediatamente espulse in Cisgiordania di cui erano originarie. L’espulsione si basò su una legge votata dalla Knesset nel 2003 (solo 25 voti contrari), in cui si proibiva la concessione della cittadinanza israeliana, permesso di soggiorno permanente o anche residenza temporanea a uomini e donne palestinesi che avessero sposato un cittadino israeliano. La Corte Suprema rigettò come irrilevante il ricorso di illegittimità della legge palesemente razzista descritta dal relatore, Poraz un sionista liberale, come una misura di “legittima difesa” contro il “pericolo demografico” rappresentato dalla popolazione palestinese.

Il governo Netanyahu ha per ora, come detto in precedenza, sospeso temporaneamente il progetto di riforma. Nel caso l’inchiesta per corruzione su Netanyahu venisse formalizzata, il rischio che venga arrestato sarebbe molto alto e farebbe sicuramente cadere l’attuale governo. Per cercare di ricompattare la società e neutralizzare le crepe che si sono aperte nella granitica società israeliana, l’attuale primo ministro potrebbe giocare la carta “del terrorismo arabo” in questo senso vanno lette la recente provocatoria irruzione nella moschea di Al aqsa a Gerusalemme e le festa per il “ritorno” all’insediamento di Evitar (Nablus) (sgombrato nel 2021) promosse dai coloni alla presenza di 7 ministri del governo Netanyahu e costato la vita ad un palestinese ucciso dall’esercito (10/04/2023).

Anche in Israele le classi sono in movimento, chi ha protestato si accontenterà di difendere l’istituzione della Corte Suprema come tale o ne scoprirà il carattere reazionario e andrà oltre grazie anche alla radicalità che porteranno gli operai di tutte le nazionalità che compongono la società israeliana?
M. C.

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