Il quorum non è stato raggiunto, i votanti fermi al 30%. Comunque 14 milioni non sono pochi. Tre milioni di voti in più di tutto lo schieramento progressista vengono dall’astensionismo operaio. Far votare tutte le classi sociali sui problemi operai e pensare di vincere è un’illusione che si paga.
Il quorum non è stato raggiunto, i votanti si sono fermati al 30%. Il povero Landini, capo del sindacato, la CGIL che ha promosso i 4 referendum sul lavoro è messo in croce dalla destra politica e mal visto dai suoi oppositori interni. Non ci uniremo al coro. La scelta di far votare tutte le classi su quesiti che riguardano i rapporti fra i dipendenti ed i loro “datori di lavoro” e più specificamente fra operai e padroni era rischiosa. Lo sapevamo. Ora chi è soddisfatto del fallimento referendario sono le parti padronali: è confermata la non reintegra del Jobs Act, le imprese sotto i 15 dipendenti in caso di licenziamento illegittimo hanno un misero tetto al risarcimento, continua il via libera sui contratti precari ed infine la responsabilità delle morti sul lavoro rimane a capo di miserabili sub appaltatori. Sulla cittadinanza potranno per dieci anni tenere nel limbo operai e lavoratori immigrati ricattandoli.
La sconfitta dei referendum non pesa su Landini e i capi politici che lo hanno sostenuto ma sugli operai. D’altronde che i capi sindacali ci abbiano spinto, compromesso dopo compromesso, alla sottomissione completa alle necessità dell’impresa, il modo moderno di definire i padroni e i loro interessi, è un dato di fatto innegabile. La situazione salariale e il numero di morti sul lavoro sono una spia evidente del fallimento di un’attività sindacale che fosse degna di questo nome. Landini e tutto il quadro sindacale che fa a lui riferimento, sono incapaci di una visione della struttura sociale con le classi, con diversi interessi contrapposti, vengono dalla tradizione della politica come confronto di programmi tutti legittimi, ma che tuttavia contengono misure per tenere inchiodati al lavoro per un misero salario milioni di persone. Pensavano che il contenuto di civiltà sociale dei quesiti spingesse la maggioranza dei cittadini al voto, si sono dimenticati che la massa dei padroncini, artigiani, dei bottegai, dei manager, degli avvocaticchi al seguito delle imprese, ha scelto di non votare seguendo la potente propaganda dei loro rappresentanti politici. Ma il bicchiere è mezzo vuoto, non è vuoto.
Hanno votato quasi 14 milioni di aventi diritto, una concentrazione di forze su un solo obiettivo: andare alle urne. La destra che canta vittoria sta nascosta dietro al cartellone dove è scritto a grandi lettere niente quorum, ma ricordiamo che nel 2022 votarono per tutto il blocco 12 milioni e trecentomila elettori. Tre milioni in meno di quelli che hanno votato ai referendum. I loro elettori disciplinati hanno disertato le urne, sono diventati all’uso astensionisti dell’ultima ora. Gli elettori delle forze progressiste nel 2022 raccolsero più o meno 11 milioni di voti.
Ora la domanda spontanea è da dove vengono i 3 milioni di votanti in più. E la risposta non può che essere dal grande esercito degli astensionisti, dagli operai, e se si studiano i risultati delle cittadelle operaie ancora esistenti non possono esserci dubbi. Tre milioni di persone che hanno ben compreso la differenza fra votare un partito che non li rappresenta e votare ad un referendum su quesiti del lavoro che riguardano direttamente il rapporto con il padrone che li impiega.
Gli altri due dati da rilevare.
Il primo, il peso dei NO sui quesiti del lavoro, non è difficile immaginare da che parte arrivino. Il PD fu l’artefice del Jobs Act e ha dei degni rappresentanti fra i manager d’impresa illuminati, i Renzi e Calenda hanno votato, ma hanno fatto appello ai NO.
L’altro dato da rilevare è il peso del NO al quesito sulla cittadinanza, il paladino di questo residuo di razzismo va cercato nella scelta di Conte, dei 5 stelle di lasciare libertà di scelta alla piccola borghesia impiegatizia e artigiana che lo segue. I tre milioni di votanti in più che vengono dagli astensionisti storici sono la prova che nell’ambito di quelli che non votano per i partiti tradizionali c’è una tensione ad agire politicamente per altre strade, con altre alternative.
E.A.
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