EX ILVA, O AL LAVORO O IN CASSA AL 100% DEL SALARIO

Non c’è ragione che siano ancora gli operai a pagare per responsabilità di manager e azionisti  privati e pubblici per la crisi dell’ex Ilva e del siderurgico di Taranto in particolare. C’è un solo mezzo per far arrivare questo messaggio: una prova di forza degli operai.

Non c’è ragione che siano ancora gli operai a pagare per responsabilità di manager e azionisti privati e pubblici per la crisi dell’ex Ilva e del siderurgico di Taranto in particolare. C’è un solo mezzo per far arrivare questo messaggio: una prova di forza degli operai

Salario intero per tutti gli operai di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria (AdI as) finché riprenderà la produzione a pieno regime e con occupazione completa. Nessun operaio in cassa integrazione poiché le responsabilità dell’attuale situazione dello stabilimento siderurgico tarantino non sono da addebitare affatto agli operai. Gli operai hanno già dato molto, troppo, in termini di sfruttamento, di morti, infortuni, malattie professionali e cassa integrazione con perdita secca di salario e potere d’acquisto. Solo su queste basi gli operai possono impostare una piattaforma rivendicativa indipendente che faccia realmente i loro interessi e non li leghi al carro perdente dei sindacati compromessi, dei politici opportunisti, del governo interessato a liberarsi in fretta della patata bollente e a scaricare il peso della crisi dell’ex Ilva proprio sugli operai.
È troppo facile per il sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri Alfredo Mantovano, quindi per il governo stesso, sostenere, al tavolo sull’ex Ilva fra ministri, commissari di AdI as e sindacati convocato a Palazzo Chigi dopo il blocco dell’altoforno 1, che “le variabili sono tantissime e una parte dipende dalle scelte del governo: io confido sul fatto che se ciascuno fa la sua parte fino in fondo la situazione non è ancora definitivamente compromessa ma questo deve avvenire da parte di tutti. Il passaggio del tavolo di oggi è importante per intanto condividere come affrontare l’emergenza e condividere una prospettiva possibile con le mille incertezze e le mille variabili”.
Qual è la parte che dovrebbero fare gli operai? Accettare il raddoppio della cassa integrazione già in atto per più di 3000 di essi? Subire oggi il ricatto occupazionale in nome di un presunto futuro rilancio della fabbrica e dell’azienda sotto vecchi o nuovi padroni, pubblici o privati che siano? Acconsentire che un maggior numero di operai scenda più in basso e per più tempo nella scala della miseria materiale sobbarcandosi il peso della crisi di gestione della fabbrica? Tutto questo è esattamente ciò che i dirigenti sindacali hanno costretto gli operai a ingoiare per anni. I risultati si sono visti: maggiori carichi di lavoro e rischi per la salute e la vita per chi è rimasto in fabbrica, come per gli operai esposti qualche giorno fa, senza alcuna protezione, alla pioggia di fuoco scatenata dall’esplosione dell’altoforno 1, maggiore miseria per chi è andato fuori. Perché gli operai dovrebbero continuare a fare la parte dei perdenti a vantaggio di tutti gli altri?
Mantovano remava in questa direzione quando ha sottolineato che “quello che credo di poter dire senza nessuna retorica è di non considerarci reciprocamente parti contrapposte anche se siamo seduti di fronte al tavolo, diciamo questo è un tavolo che ha questa forma ma idealmente è una tavola rotonda per cui le vostre preoccupazioni sono certamente le nostre preoccupazioni, quello che ci anima è non solo la preoccupazione ma anche la non rassegnazione”.
Quelle di Mantovano sono state circonvoluzioni di parole per esortare nei fatti i capi sindacali a continuare a far accettare agli operai le scelte del governo e ad accogliere senza fiatare l’aumento della cassa integrazione. E ha fatto questo mettendo i sindacati nella posizione di alleati del governo e quindi curando di ripulirli dalle responsabilità nella gestione di ArcelorMittal: “Le condizioni dell’altoforno 2 dell’ex Ilva lasciate dalla vecchia proprietà sono peggiori di quanto immaginato. Il percorso è sempre stato particolarmente complicato all’inizio con la necessità di fare i conti con un socio privato che certamente non aveva scelto nessuno di noi, ma che ci ha lasciato un’eredità pesante che stiamo provando a gestire in materia, soprattutto, di sicurezza degli impianti”. Parole false, perché proprio Fiom, Fim, Uilm e Usb firmarono il 6 settembre 2018, insieme con i rappresentanti del governo Conte 1, di cui comunque faceva parte una forza dell’attuale governo, la Lega, l’accordo antioperaio che apriva le porte dell’ex Ilva ad ArcelorMittal, lasciandole mano libera nella gestione della forza lavoro operaia, e poneva 3000 operai in cassa integrazione inglobandoli nell’Ilva in amministrazione straordinaria (Ilva as), con la promessa che presto sarebbero rientrati (mentre oggi gli stessi dirigenti sindacali ammettono che per i 1500 ancora cassintegrati in Ilva as non c’è più alcuna speranza di rientrare!).
Che i sindacati continuino a fare il lavoro sporco, come lo fecero nel 2018, lo dimostra con chiarezza la gestione dell’attuale situazione in fabbrica. Tutto lo “sforzo” di lotta dei dirigenti sindacali è stato impostato esclusivamente sul tavolo aperto nei giorni scorsi con il governo, rivendicato con paroloni sulla “insostenibilità della situazione per tutti i lavoratori”, come a essi piace esprimersi. Sotto la spinta operaia hanno attuato per un’ora e mezza il blocco stradale sulla statale Appia a Taranto, nei pressi del siderurgico, ma solo in segno di protesta per l’impossibilità dei manifestanti di seguire in diretta, su un maxischermo allestito davanti alla portineria della direzione, la riunione con il governo, poiché il link fornito non risultava funzionante! Sicché una volta appresa la conclusione del vertice romano i dirigenti sindacali hanno subito interrotto la mobilitazione per informare gli operai sul nulla di fatto del tavolo governativo. Oggi abbaiano in aria, domani, se gli operai non glielo impediranno con la forza, saranno pronti, come nel 2018, a firmare un nuovo accordo antioperaio nel nome della continuità produttiva dello stabilimento siderurgico, della ripresa della produzione dell’acciaio in Italia e della salvezza dell’economia nazionale, che nella sostanza vuol dire continuare a fare profitto sulla pelle degli operai.
L.R.

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