I vertici dei maggiori sindacati statunitensi si schierano con Trump nella guerra dei dazi. Un nazionalismo industriale che mette operai contro operai nell’interesse dei propri padroni.
La guerra commerciale, latente fino a qualche mese fa tra i paesi capitalisti è stata dichiarata apertamente il primo febbraio 2025 dall’attuale inquilino della Casa Bianca, D. Trump. Non un politico qualunque ma anche un capitalista che ha costruito le proprie fortune nella speculazione immobiliare. Il suo patrimonio individuale è stimato attorno ai 6 miliardi di dollari. Un padrone, quindi Trump, alla guida del paese più potente del pianeta e che apertamente e aggressivamente agisce per tutelare, nel mercato mondiale, gli interessi degli industriali americani. Su questo,” Make America Great Again” e America First”, ha impostato e vinto la campagna presidenziale del 2024.
Come in ogni guerra, quella commerciale non fa eccezione, per i progetti padronali vi sono dei passaggi cruciali. L’individuazione di un formale nemico esterno e la costruzione di un fumoso ma unificante interesse nazionale. Un superiore interesse nazionale che attenui fino a farla scomparire, l’insopportabile divisione in classi sociali.
Una società non conflittuale, anestetizzata e basata sul nazionalismo industriale interclassista.
Nelle loro intenzioni, una alleanza tra padroni e operai per difendere il destino della patria comune.
I padroni continuamente in concorrenza tra di loro per accaparrarsi aree di mercato sempre più ristrette vorrebbero trascinare gli operai sul piano inclinato della concorrenza interna, che li porterebbe solamente alla rovina completa.
Una concorrenza basata sulla artificiale appartenenza nazionale che si tradurrebbe in inimicizia inconciliabile tra operai che vivono le stesse condizioni di vita e sfruttamento, ad esclusivo vantaggio di coloro che sul loro lavoro si arricchiscono.
A vantaggio delle classi superiori e del perpetuarsi del loro dominio.
Appare evidente che se passasse il progetto che la guerra commerciale veicola, saranno principalmente gli operai, in tutti i paesi, a pagarne le conseguenze con un immiserimento ulteriore delle loro condizioni di vita e di lavoro.
Dagli Stati Uniti arrivano notizie che possono aiutare a capire quale possa essere la tendenza dell’aristocrazia operaia inquadrata tra i burocrati sindacali. Riportiamo di seguito alcune delle dichiarazioni dei vertici dei maggiori sindacati statunitensi:
S. Fain, presidente del Sindacato Automotive (UAW): “I dazi sono un mezzo potente a disposizione per rimediare all’ingiustizia degli accordi commerciali antioperai, Siamo lieti di vedere un presidente americano adottare misure concrete per porre fine al disastro del libero scambio che si è abbattuto come una bomba sulla classe operaia USA” (04/03/’25)
David Mc Call, presidente del sindacato Metalmeccanici (USW): “Il nostro sindacato accoglie con favore gli sforzi del presidente Donald Trump, volti a contenere la sovrapproduzione globale che per troppo tempo ha consentito ad attori malvagi come la Cina di inondare il mercato mondiale con prodotti commercializzati in modo sleale, con conseguente aumento delle importazioni negli USA, soprattutto dal Messico.” (comunicato 02/04/’25)
Sean M. O’Brien Presidente Teamsters: “Ringraziamo il Presidente Trump per aver sostenuto con coraggio i buoni posti di lavoro sindacalizzati, mentre altri hanno voltato la testa da un’altra parte. Questo è un passo importante verso la fine della dipendenza antiamericana,” (06/05/’25)
Liz Shuler Presidente ALF-CIO: “L’uso strategico dei dazi può essere uno strumento efficace per sostenere le nostre industrie e proteggere i posti di lavoro in patria. Ma devono essere accompagnati da politiche che investano nella nostra base manifatturiera e da un forte impegno nel promuovere il diritto fondamentale dei lavoratori a organizzare sindacati e a contrattare collettivamente” (02/04/’25)
I sindacalisti compromessi e filo padronali sono a loro modo onesti e conseguenti non provano neanche a mettere in discussione la legittimità della società dei padroni, per loro la ricetta è pronta e vede gli operai e le classi subalterne schierate a fianco della propria borghesia nazionale per perpetuare le proprie catene. Ma non hanno fatto i conti con le contraddizioni sociali sempre più inconciliabili. La crisi che sta inceppando il loro sistema spingerà ineluttabilmente gli operai verso la rivolta organizzata.
MC