Ogni giorno un annuncio, una minaccia, una retromarcia. L’uso dei dazi per la guerra commerciale è una scelta pericolosa per i capitalisti di tutto il mondo, frena l’espansione dei mercati e produce tensioni sociali con l’aumento dei prezzi, da qui le loro preoccupazioni.
Forse conviene partire dalla Cina per capire e inquadrare la vicenda dei dazi nella guerra commerciale che il Trump appena eletto vuole, in continuità con il Trump della precedente presidenza del 2018, condurre fino alla vittoria dell’America su qualsiasi altro paese concorrente. Queste le parole rilasciate, il 5 marzo 2024, dall’ambasciatore cinese in Usa: “Se ciò che vogliono gli Stati Uniti è la guerra, che si tratti di una guerra tariffaria, commerciale o di qualsiasi altro tipo di guerra, siamo pronti a combattere fino alla fine“. Vale la pena ricordare che l’ambasciatore è colui che rappresenta il capo di Stato del proprio paese presso un altro Stato. E che le dichiarazioni di guerra in passato era d’uso affidarle proprio agli ambasciatori.
Parallelamente alla dichiarazione dell’ambasciatore, il Ministero del Commercio cinese aveva prodotto un lungo elenco di merci made in Usa (carne, pesce, cereali, cotone, frutta, verdura e prodotti caseari) su cui dal 10 marzo verrà applicata una tariffa del 15%. È la risposta arrivata, in meno di 24 ore, agli ulteriori dazi americani del 10% sull’import dalla Cina. Un mese fa si era visto lo stesso scambio di colpi nella guerra commerciale, con Trump che firma dazi sulle merci cinesi del 10% e la Cina che immediatamente risponde con il 15% sull’import dagli Usa di gas naturale liquefatto (Gnl), petrolio, attrezzature agricole e alcune automobili. Trump ha già dichiarato che i paesi che rispondono ai suoi dazi con altrettanti dazi verranno colpiti da tariffe reciproche calcolate dal ministro del commercio Howard Lutnick, incaricato della precisa disamina merce su merce da concludersi entro marzo. Pertanto in due mesi si è già arrivati a un buon 20-30% di aumenti dei prezzi delle merci importate dai rispettivi paesi, con la minaccia di un ulteriore escalation con cadenza mensile.
La guerra di Trump a suon di lancio di dazi, prima ancora della Cina, ha però individuato ben altri due paesi “nemici”, Canada e Messico, colpendo anche questi. Al 25% di Trump sulle merci canadesi, il Canada ha risposto con altrettanto 25% su quelle statunitensi. Lo stesso colpo del 25% è stato lanciato anche contro le merci importate dal Messico. Il Messico ha promesso che darà la sua risposta nei prossimi giorni.
Si aspettano adesso i colpi nei confronti dei paesi europei a cui Trump ha lanciato forti accuse e minacce, perché responsabili, soprattutto la Germania, di essere dei forti concorrenti commerciali e di minacciare la grandezza degli Stati Uniti con l’esportazione delle loro merci sul suolo americano.
Con un cliché già visto e sperimentato, anche nel 2018, al colpo sparato e alla sua risposta spesso segue, talvolta nell’arco di poche ore, un nuovo accordo tra la amministrazione statunitense e il nemico commerciale. Così è successo ai primi di febbraio nei confronti di Canada e Messico, così avviene in queste ore nuovamente al colpo inferto alle merci del Canada con sua immediata risposta: rinvio delle sanzioni americane al prossimo mese, accettazione da parte del Canada di controlli sul fentanyl (la droga che ormai tutti sanno essere la balla con cui Trump accusa Canada e Cina, ma che ormai, in realtà, passa il confine tra i due paesi in quantità pari a milligrammi).
Tuttavia, nel frattempo, sono volate parole pesantissime tra Trump e i capi di governo attaccati, al limite dell’insulto e della denigrazione. I mercati hanno oscillato pericolosamente, gli operatori non sanno a quale dichiarazione bellicosa o meno affidare le proprie scommesse sui mercati. All’industria agroalimentare Trump ha per esempio recentemente detto: “preparatevi a produrre molti prodotti agricoli per la vendita negli Stati Uniti”, promettendo nuovi dazi dal 2 aprile su tutti i prodotti agricoli. Vedremo quante promesse, e annesse illusioni di protezione ai capitalisti americani in crisi, Trump alla fine riuscirà davvero a mantenere, di certo, da marzo, c’è un altro 15% di rincaro messo dalla Cina proprio su cibo e prodotti agricoli americani che attraversano il Pacifico per il primo mercato di vendita per il capitale agroindustriale americano. Come è certo che nel 2024 in quelle vendite c’è stato un calo del 14% sul 2023, con a sua volta un calo del 20% sul 2022.
Per questo dicevamo all’inizio che conviene partire dalla Cina, aiuta a comprendere quali sviluppi la guerra in corso potrà avere. Intanto perché qualora anche per il fronte cinese, dopo la prima sparata di Trump e seguente assertiva risposta della borghesia cinese, possa seguire un eventuale incontro tra Trump e Xi Jimping con apparente attenuazione dei contrasti, i mercati delle merci ne risulteranno comunque scossi. E questo sia sul mercato statunitense che su quello cinese, con in entrambi i paesi un aumento dei prezzi medi delle merci innescato dai dazi, dal protezionismo dei produttori nazionali che si sentono autorizzati a qualsiasi aumento del prezzo di vendita e dal venir meno della concorrenza delle merci importate. Se poi anche per i toni, le minacce, le offese nessun nuovo accordo o incontro ci sarà stato, non solo i fenomeni inflazionistici detti prima si accentueranno maggiormente e la crisi colpirà più pesantemente entrambi i paesi, ma la guerra salirà di un ulteriore gradino con i contendenti “pronti a combattere fino alla fine”, “qualsiasi essa sia”.
R.P.