IL REGALO DI LANDINI ALLA MELONI

Un’assemblea che non ha fiatato di fronte alle dichiarazioni contro il salario minimo, contro l’abolizione dell’RDC non si può dire che rappresenti gli operai e i lavoratori poveri. Sono solo dei mandarini sindacali capaci di qualunque compromesso per mantenersi la poltrona.
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Un’assemblea che non ha fiatato di fronte alle dichiarazioni contro il salario minimo, contro l’abolizione dell’RDC non si può dire che rappresenti gli operai e i lavoratori poveri. Sono solo dei mandarini sindacali capaci di qualunque compromesso per mantenersi la poltrona.

Bisogna andare indietro di 27 anni per trovare un presidente del consiglio in carica che sia salito sul palco del congresso della Cgil prima della Meloni, tornare all’epoca di Romano Prodi, liquidatore di almeno centomila operai della siderurgia.
A “sdoganare” l’attuale presidente del consiglio, ora ci ha pensato Maurizio Landini che con un assist preciso ha fatto in modo di regalare alla Meloni, che non ne vedeva l’ora, una platea di burocrati sindacali nemmeno tanto perplessi dell’invito.
Nella mente ottusa del segretario Landini l’intenzione, forse, era quella di tentare di riguadagnare i tanti (secondo la sua sciocca logica) lavoratori che hanno votato fratelli d’Italia alle ultime elezioni, dato per altro tutto da dimostrare.
Se questa fosse stata la sua fallimentare idea, il suo ragionamento dimostra ancora una volta che Landini, con tutto il gruppo dirigente della Cgil, sta definitivamente mettendo in soffitta la retorica di una Cgil combattiva, sposando sempre di più l’idea dello sviluppo del produttivismo nazionale.
La capa del governo non attendeva altro per presentarsi all’assemblea per dare un sonoro schiaffo al cavallo di battaglia della Cgil sul taglio delle tasse che, secondo Landini, non basterebbe a riequilibrare la spesa sociale. La Meloni con questo bel regalo da parte di Landini si riscatta almeno in parte dalla fuga vigliacca e ingloriosa fatta di fronte ai parenti delle vittime di Cutro.
Mettendo in fila i piani del governo la Meloni ha esposto al congresso e rivendicato tutti i provvedimenti anti operai che il governo intende portare avanti: un no secco e determinato al salario minimo, una pietra tombale sul reddito di cittadinanza, il taglio delle tasse alle imprese e non ai redditi bassi da lavoro dipendente, l’utilizzo del MES, così come vuole Bonomi presidente di Confindustria, a solo vantaggio delle imprese e dei padroni.
Un pacchetto di provvedimenti che deride le attese della Cgil.
La sorniona Meloni porta a casa la legittimazione dell’assemblea ricevendo una cambiale in bianco per continuare a governare tranquillamente senza nessuna opposizione concreta da parte della Cgil se non i soliti proclami di nessuna utilità, concedendosi il lusso di esprimere un commento più simile ad una stilettata: “siamo d’accordo su nulla o quasi, ma continuiamo a dialogare”. Tradotto: il dialogo non mi farà arretrare di un millimetro dalle mie posizioni.
Al termine dell’assemblea Landini e Meloni hanno avuto un faccia a faccia di cui non si conoscono i contenuti e da cui lo stesso Landini ne esce “soddisfatto”. Se sedersi al tavolo del comitato d’affari della borghesia (il governo) e farsi prendere a pesci in faccia equivale ad essere soddisfatti è una bella contraddizione che la dice lunga sullo stato del gruppo dirigente della Cgil e del suo segretario generale.
A tentare di coprire a “sinistra” la Cgil ci ha pensato ancora una volta la minoranza guidata dalla signora Eliana Como che, prima, prendendo a prestito la frase della Ferragni: “pensati non gradita”, rivolto alla Meloni, ha dato l’imbeccata alla presidente del consiglio per una risposta al veleno: “non pensavo Ferragni metalmeccanica”, e poi, dopo essere stata sbeffeggiata in malo modo è uscita dall’aula con alcuni delegati della sua tendenza al canto di bella ciao.
La piccola borghesia che comanda la tendenza sindacale di “opposizione” all’interno della Cgil, nonostante i “cattivi” proclami conflittuali della Como prima dell’assemblea generale: “Nostro dovere è essere il loro peggior incubo, non invitarli al nostro congresso. Anche per questo serve un cambiamento e una rinnovata radicalità”, non ha avuto nemmeno il coraggio di affrontare a muso duro con una seria contestazione la Meloni.
A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca e si può anche prendere in considerazione che la sceneggiata, imbastita a favore di telecamere, sia frutto di un accordo prestabilito tra Landini e la minoranza Cgil nel tentativo di salvarsi l’anima.
Se ancora qualche operaio con un minimo di lucidità pensa che questa paccottiglia piccolo borghese, che si arroga il diritto di rappresentare l’opposizione alla borghesia sindacale di Landini e soci, possa mettere in discussione la strategia sindacale, sbaglia in partenza.
L’unica possibilità per sconfiggere il gruppo dirigente della Cgil potrebbe stare nella presa di coscienza di gruppi operai organizzati che collegandosi tra loro possano irrompere sulla scena sindacale mettendo in discussione tutto il sindacato nel suo insieme.
Purtroppo per ora siamo ben distanti da questa prospettiva.
D.C.

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