LA FLAT TAX: UN REGALO AI CETI MEDI PER CONSOLIDARE L’ALLEANZA CONTRO GLI OPERAI E I POVERI

La Meloni allarga la flat tax per farsi sostenere nella sua politica reazionaria e antioperaia. Ma sarà sufficiente a comprarsi gli strati bassi delle classi di mezzo che vedono approssimarsi la crisi irreversibile dei loro affari?
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La Meloni allarga la flat tax per farsi sostenere nella sua politica reazionaria e antioperaia. Ma sarà sufficiente a comprarsi gli strati bassi delle classi di mezzo che vedono approssimarsi la crisi irreversibile dei loro affari?


 

I ceti medi autonomi rappresentano un agglomerato sociale particolarmente numeroso e importante ai fini elettorali. Buona parte di questi e della piccola borghesia che lavora come dipendente, rappresentano lo zoccolo duro dell’elettorato negli stati moderni, quelli che con il loro voto alimentano tutta la farsa della democrazia. Le sole partite IVA ammontano a poco meno di cinque milioni. Escludendo i giovani che, pur lavorando come dipendenti, sono costretti ad aprire una partita IVA per essere assunti, la maggior parte sono piccoli imprenditori, artigiani, bottegai, professionisti. È tutta gente che vive grazie al lavoro non pagato agli operai. Nella crisi economica, la fetta di ricchezza prodotta dagli operai che va a loro, si restringe, perché i grandi capitalisti tendono sempre di più ad accaparrarsi la maggior parte del profitto. Per questo motivo i ceti medi, pur con le loro differenziazioni interne, sono quelli che più spingono per le politiche antioperaie, per aumentare lo sfruttamento nelle fabbriche, e contro i sussidi ai poveri, nella speranza che una parte maggiore del lavoro non pagato agli operai vada a loro.
È su questa gente che il sistema dei padroni basa il suo consenso. Senza la mediazione di questo settore sociale, l’antagonismo di interessi tra operai e padroni sarebbe diretto, senza possibilità di nasconderlo, mistificarlo. Senza le mode, i giornali e le televisioni, lo spirito religioso e l’insieme dei mille altri strumenti per mistificare la realtà dell’attuale società, da cui sono spesso condizionati e coinvolti gli stessi operai, ma i cui protagonisti principali sono i ceti medi intellettuali, una media e piccola borghesia asservita, sarebbe difficile gestire la contraddizione esplosiva tra la schiavitù operaia e i privilegi dei padroni che su questa schiavitù si fondano.
Tutti i partiti parlamentari guardano con estremo interesse a questo settore sociale. Dai loro voti dipende anche la loro sopravvivenza e i privilegi che ne derivano.
Il governo attuale non fa eccezione. Anche se la maggior parte dei soldi della manovra da 35 miliardi varata dal governo va alle grandi imprese, tra sgravi contributivi e fiscali, agevolazioni varie, buona parte dei 21 miliardi contro il caro bollette; una parte considerevole viene anche destinata alla copertura delle minori entrate dovute alla flat tax.
Chiariamo subito che la flat tax è stata applicata per la prima volta dal governo Renzi nel 2014, ed è stata sostenuta successivamente dal governo Conte aumentando fino a 65.000 i redditi che vi rientravano ed eliminando alcune clausole restrittive precedenti per la sua applicazione. Ma con l’attuale governo è stata ulteriormente potenziata.
Essa consiste in una “tassa piatta” del 15% sui redditi dichiarati dalle partite IVA fino a 85.000 euro che adottano il sistema forfettario. Con questo sistema, i lavoratori autonomi calcolano il reddito da dichiarare applicando una determinata percentuale sui ricavi. Per esempio, un commerciante all’ingrosso o dettagliante può calcolare il reddito da dichiarare applicando la percentuale del 40% sui ricavi; un professionista il 78%.
I lavoratori autonomi quindi possono scegliere questo metodo per la determinazione del loro reddito da dichiarare, oppure il metodo tradizionale, sottraendo dai ricavi fatturati i costi. Nel primo caso pagheranno il 15% della flat tax, nel secondo applicheranno le aliquote irpef.
Ovviamente essi utilizzano il metodo che più li avvantaggia, e questa è già un’agevolazione per la riduzione delle imposte da pagare.
Con il sistema forfettario non sono obbligati agli adempimenti IVA. Questo rappresenta un grosso risparmio già nella tenuta della contabilità. Ma la cosa fondamentale è che le vendite devono essere attuate senza IVA, mentre l’IVA che si paga sugli acquisti non può più essere sottratta dall’IVA sulle vendite. Apparentemente sembra una cosa negativa per i piccoli imprenditori, in realtà la regola presuppone implicitamente che i prezzi di vendita debbano essere praticati per coprire eventualmente l’IVA sugli acquisti o, come normalmente capita, superarla. Il risultato è che il consumatore finale pagherà sempre un prezzo uguale a quello che pagava con l’IVA, ma questi soldi, ora legalmente, se li metterà in tasca l’imprenditore.
L’applicazione della flat tax spingerà ulteriormente i piccoli imprenditori ad evadere il fisco, loro tradizionale attività. Con la flat tax gli imprenditori individuali avranno ancora più motivi per non dichiarare il dovuto, sicuramente cercheranno di dichiarare redditi non oltre gli 85.000 per non perdere i vantaggi della flat tax.
L’attuale governo potenzia il modo per pagare meno imposte ai ceti medi autonomi. Per gli operai, e per i lavoratori dipendenti in generale, invece non c’è via di scampo. Il rapporto tra il loro reddito e le imposte è completamente fuori dal loro campo d’azione. Tutti i calcoli sono fatti da un sostituto d’imposta che trattiene i soldi da dare allo Stato automaticamente prima che questi arrivino alle tasche dei contribuenti. Non a caso, dei circa 200 miliardi di euro l’anno di imposte che arrivano allo Stato, l’85% vengono da lavoratori dipendenti (55%) e pensionati (30%).
Torniamo alla flat tax. Pur volendo assumere come vera la dichiarazione dei redditi degli imprenditori, misuriamo la differenza che si creerà tra le imposte pagate da un operaio con le aliquote irpef e quelle pagate da un imprenditore con la flat tax al 15%.
Prendiamo in considerazione il reddito imponibile di un operaio tipo di un grande stabilimento. Nella fase attuale, con il salario falcidiato dagli ammortizzatori sociali, egli dichiara 20.000 euro di reddito e avrà un’irpef lorda di circa 4.800 euro. Con le addizionali arriverà quasi a 5.500 euro.
Se prendiamo un “lavoratore autonomo” piccolo imprenditore con lo stesso reddito imponibile, questo pagherà, con la flat tax, 3.015 euro e basta, perché le addizionali regionali e comunali per gli autonomi a regime forfettario non vengono calcolate.
C’è da dire che il lavoratore dipendente può usufruire delle detrazioni fiscali, l’autonomo no. Per l’operaio con la detrazione per lavoro dipendente c’è una riduzione delle imposte di circa 1.300 euro.
Nel 2023 il trattamento integrativo di 1.200 euro, ex bonus Renzi, lo avranno solo quelle categorie che già lo percepivano, tra cui gli operai, e che arrivano a 15.000 euro di reddito. Tutti gli altri contribuenti, con un reddito tra 15.001 euro e 28.000 euro, che lo percepivano, avranno diritto al Bonus trattamento integrativo, solo se la somma delle seguenti detrazioni è di ammontare superiore all’imposta lorda: detrazioni per lavoro dipendente, detrazioni per i carichi di famiglia, le detrazioni per gli interessi passivi su mutui relativi a terreni ed abitazione principale acquisiti entro il 31 dicembre 2021; le detrazioni per le spese di ristrutturazione e riqualificazione energetica sostenute fino al 31 dicembre 2022.
Nell’esempio proposto l’operaio quindi, percepisce solo la detrazione da lavoro dipendente.
Quindi, dal punto di vista delle imposte versate, l’operaio paga complessivamente 4.200 euro, mentre il “lavoratore autonomo” 3.015 euro, pur essendo il reddito di 20.000 euro dichiarato dall’imprenditore, per tutte le agevolazioni di cui usufruisce, molto sottodimensionato rispetto al reddito reale.
Quasi tutti gli opinionisti di regime vedono nell’attuale governo un puntello sostanziale del sistema. Da esso i padroni si aspettano non solo sostegno economico, ma anche un buon lavoro sulla giustizia in modo da imbrigliare il più possibile, dal punto di vista legale, la possibilità di reazione degli operai e delle altre classi subalterne.
È per questo motivo che i padroni sono disposti a rinunciare ad ulteriori agevolazioni governative per loro in favore dei loro alleati dei ceti medi. Le politiche repressive hanno bisogno di consenso e questo bisogna comprarselo in qualche modo.
Ma hanno fatto bene i loro conti?
A parte le auspicabili reazioni degli operai sempre più tartassati, e dei poveri a cui stanno per togliere il misero sussidio del reddito di cittadinanza, le classi intermedie risponderanno al richiamo che i servi padronali della politica stanno rivolgendo loro?
La piccola borghesia che ha un lavoro dipendente ha già molto da recriminare. Non basteranno le campagne contro i migranti per continuare ad avere il suo sostegno, neanche della sua parte più reazionaria, perché, dopo gli operai e i poveri, la piccola borghesia è la parte più tartassata dalla politica economica del nuovo governo.
Ma lo stesso appoggio dei ceti medi autonomi non è assodato. C’è sempre una bella differenza tra pagare il 15% di imposte e niente in assoluto, e i lavoratori autonomi vivono ogni euro da dare allo Stato come un furto. I padroncini chiederanno sempre di più e non sarà facile accontentarli.
F. R.

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