PATTO SOCIALE: LETTA CORRE IN BRACCIO A BONOMI

Quando c’è da contenere le richieste salariali tirano fuori la necessità di un patto sociale. Un patto fra padroni e operai per garantire i profitti e bloccare i salari. A proporlo è il capo della borghesia di centrosinistra che poi si lamenta del distacco da loro del “popolo dei lavoratori”.
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Quando c’è da contenere le richieste salariali tirano fuori la necessità di un patto sociale. Un patto fra padroni e operai per garantire i profitti e bloccare i salari. A proporlo è il capo della borghesia di centrosinistra che poi si lamenta del distacco da loro del “popolo dei lavoratori”.


 

Caro Operai Contro, “Propongo da qui un patto tra governo e parti sociali”, dice E. Letta segretario del Pd, parlando alla platea del congresso dei giovani imprenditori di Confindustria di Rapallo. I capi degli altri partiti sono d’accordo con lui, con Bonomi/Confindustria che gongola. Un patto sociale che dovrebbe prendere il via da un taglio del cuneo fiscale, con quattro soldi nelle buste paga, anche questi però non usciranno dalle tasche dei padroni, i quali con il taglio del cuneo pagheranno meno tasse.
Lo spettro di un patto sociale come quello degli anni “90, che Bonomi invoca da tempo si fa sempre più vicino, in una condizione in cui il salario, il potere d’acquisto, le condizioni di vita e di lavoro per gli operai sono molto peggiorati, rispetto a quegli anni.
Oggi dopo i forzati fermi produttivi per il Covid 19, la guerra commerciale sui mercati si è presentata con forti rincari dei prezzi dei prodotti energetici e delle materie prime. Riversatisi in ogni Paese sui prezzi al consumo di tutti i prodotti, a cominciare da quelli di prima necessità, hanno acceso la miccia di un’inflazione spedita. La guerra in Ucraina arrivata dopo, è stata come benzina sul fuoco.
Per contenere l’inflazione, i governi in ogni Paese fra le prime misure, alzano i tassi d’interesse sul denaro che le banche danno a prestito. Tante banche, ad esempio, hanno già raddoppiato il tasso fisso d’interesse per chi voglia accendere un mutuo per la casa.
Il rialzo del costo del denaro preoccupa Bonomi/Confindustria, già in fibrillazione per la montante pressione che da più parti chiede di aumentare i salari, ma lui in veste di condottiero ufficiale dello sfruttamento operaio, guarda in una sola direzione: come congelare e contenere la pressione salariale costringendo gli operai in un patto sociale che è solo una gabbia per le loro rivendicazioni.
Sull’onda del gran bottino di profitti incassati dai padroni negli ultimi 3 decenni, frutto dei sacrifici imposti agli operai con il patto sociale dei primi anni “90 e quelli seguiti su quel tracciato, Bonomi per conto di Confindustria, insiste: “Credo ancora in un patto sociale in quello spirito” e rilancia: “Il patto sociale, resta la strada per affrontare le trasformazioni in atto, senza ci faremo male”.
Premettiamo a Bonomi che finora “a farsi male” sono stati gli operai colpiti dai sacrifici imposti in conseguenza proprio a quel patto sociale!
Nel 1992 l’abolizione della scala mobile avviò l’inesorabile discesa dei salari, che cominciarono a perdere il passo col carovita. L’anno dopo nel 1993 il governo Ciampi, d’accordo il sindacalismo confederale e Confindustria, bloccò per qualche anno la contrattazione collettiva per aumenti salariali, lasciando solo uno spiraglio che eventuali aumenti di salario fossero esclusivamente frutto della contrattazione aziendale. Dalla quale restavano escluse la maggior parte delle imprese, stroncando con la negazione rivendicativa-contrattualistica, (di categoria, esempio i metalmeccanici) anche e sopratutto il valore solidaristico di classe che si autoriproduceva con quelle lotte.
Con queste premesse si capisce perché il salario in Italia, nel trentennio considerato, è precipitato addirittura col segno negativo di meno 2,90%, in fondo alla scala dei salari europei.
La busta paga sempre più leggera, ha favorito la ricattabilità della forza lavoro che per un salario, si vede costretto ad accettare condizioni di lavoro sempre più al ribasso. Finchè nel 2003 il governo Berlusconi con la legge Biagi, regalò ai padroni la legalizzazione del lavoro precario, con un infinita gamma di tipologie contrattuali che diedero vita all’operaio “usa e getta”.
Un percorso che subì un notevole “salto di qualità” con lo smantellamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. (che imponeva ai padroni la giusta causa nei licenziamenti e la riassunzione se illegittimi). Questo smantellamento iniziò nel 2012 dal governo Monti, con il varo della legge Fornero, e si completò nel 2015 con il “Jobs act” del governo Renzi. (Da ricordare che lo Statuto dei Lavoratori non fu una concessione agli operai, ma un riconoscimento al quale il parlamento italiano fu costretto, sull’onda delle lotte operaie del 1968/69).
Con i salari da fame e la conseguente povertà che dilaga, mentre i governanti Ue a più riprese chiedono all’Italia di adeguare i salari e lo stesso parlamento europeo sollecita l’introduzione del salario minimo, prima Bonomi, ora Letta e gli altri partiti in parlamento, come se niente fosse ripropongono un nuovo patto sociale, sulle macerie di quello vecchio.
Come controprova, nessuno partito del parlamento in contrapposizione, si muove esempio, per abolire il Jobs act e i contratti “atipici”, eppure sono evidenti le condizioni della nuova schiavitù.
Oppure altro esempio, nessuno di loro e nemmeno il sindacato osa parlare, tanto meno battersi, per il ripristino della scala mobile, nonostante sia palese che a 30 anni dalla sua abolizione i salari si sono inabissati complice il decreto Ciampi del 1993.
“Dobbiamo avere l’ossessione della crescita”, proclama Bonomi pensando ai profitti ma nascondendosi dietro “il bene dell’Italia, a cominciare dall’attuazione del Pnrr fino ad arrivare alla gestione delle transizioni in atto, dal digitale all’energia, alla manifattura 4.0, – solo per citarne alcune – “c’è bisogno di visione”, di “interventi strutturali” di “investimenti” di “politiche industriali”.
In poche parole i padroni pretendono che il governo con misure straordinarie, il Pnrr e la prossima finanziaria, si faccia carico di modernizzare con soldi pubblici le loro aziende, accollandosi inoltre anche il rincaro dei prezzi energetici e delle materie prime. Metterle in condizioni di essere competitive, assecondandole anche nel voler mantenere salari da fame e contratti di lavoro in conclamata schiavitù.
Per gli operai la rottura definitiva con questo “mondo” non basta, se non diventa forza organizzata, ogni battaglia è persa prima di cominciare.
Saluti Oxervator.

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