COSA FAREBBE A MELFI UN SINDACATO OPERAIO?

Sabato il sindacato confederale ha convocato una manifestazione davanti ai cancelli di Stellantis, sarà una passerella di funzionari e politici. All’assemblea degli operai di sabato passato non si sono nemmeno visti da lontano.
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Sabato il sindacato confederale ha convocato una manifestazione davanti ai cancelli di Stellantis, sarà una passerella di funzionari e politici. All’assemblea degli operai di sabato passato non si sono nemmeno visti da lontano.


 

Il volantone con cui si indice la manifestazione del 22 maggio fuori lo stabilimento di Melfi, più che un documento sindacale sembra un documento confindustriale a sostegno delle produzioni nazionali. Si sottolinea la “partecipazione” dello stato francese nel gruppo, e la completa assenza di quello italiano, mettendosi sul terreno della “difesa del lavoro patrio”, il campo d’azione prediletto nella crisi dai padroni che hanno interesse a mobilitare tutta la “nazione” contro i loro concorrenti stranieri per difendere i loro profitti privati. D’altra parte, la presenza dello stato nelle imprese non è mai stata un’assicurazione per gli operai italiani, visto che molti stabilimenti a controllo statale hanno chiuso nel corso degli anni.
Negli ultimi quarant’anni si è assistito all’interno dei comparti industriali, in particolare quello dell’auto, a processi di ristrutturazione profondi e radicali. L’idea dei padroni è stata sempre quella di rendere gli stabilimenti più produttivi riducendo i costi di produzione e, in particolare, il numero di operai impegnati.
Negli ultimi quarant’anni, la risposta dei sindacalisti è stata sempre la stessa:
– Suggerire ai padroni come si fa il padrone;
– Chiedere l’intervento dei politici in aiuto “delle imprese” con finanziamenti pubblici;
– Mobilitare gli operai per finta, solo a cose fatte, quando il padrone chiudeva gli stabilimenti che non servivano più ad arricchirlo.

Negli ultimi quarant’anni non una fabbrica che il padrone voleva chiudere è rimasta aperta. I padroni hanno avuto miliardi per attuare le ristrutturazioni. Migliaia di posti di lavoro si sono persi. I profitti sono l’unica cosa che è stata salvaguardata.
Un esempio su tutti, Pomigliano. Alla fine degli anni settanta, lo stabilimento aveva circa quindicimila addetti, con quasi tredicimila operai. La produzione era di circa 130.000 vetture annue. Una media di 300 auto a turno su due turni. Oggi, ufficialmente, ci sono 4600 dipendenti compresi gli impiegati, ma lavorano al netto della cassa integrazione, mediamente 2500/3000 operai. Le auto che si producono, le Panda, sono attualmente 470 a turno.
Si è stimato che gli operai, a Pomigliano, nonostante gli aumenti costanti della produzione dovuti a una intensificazione maggiore del lavoro con ritmi più alti, e a una riduzione delle pause, hanno perso negli ultimi dieci anni, dall’inizio del cosiddetto “piano Marchionne”, mediamente 40.000 euro tra fermate produttive e mancati premi.
La crisi spinge i padroni a peggiorare costantemente la condizione operaia. Ogni “piano di rilancio”, che significa rilancio dei profitti, presuppone sempre un peggioramento della condizione operaia.

Con Stellantis sta succedendo la stessa cosa.
A Melfi, dove la politica aziendale del nuovo gruppo comincia a scoprire le carte, è all’ordine del giorno una drastica ristrutturazione dell’indotto e la riduzione delle linee di produzione dello stabilimento centrale con la concentrazione della produzione su una sola linea. Questo “piano”, se passerà, porterà ad una drastica riduzione dei posti di lavoro ed a un aumento sostanziale dei carichi di lavoro per chi rimarrà.
Nel frattempo gli operai stanno già perdendo buona parte dei salari con la cassa integrazione Covid che al padrone non costa nulla.
Cosa rispondono i sindacalisti? Mettono in campo la solita farsa. Invece di organizzare la forza operaia per dare una risposta al padrone colpendolo dove è più sensibile, i profitti, ripetono le solite litanie sul “coinvolgimento dei politici”, ripropongono i soliti sostegni “all’occupazione” inventandosi piani di sviluppo in cui vogliono insegnare al padrone come si fa il padrone, che, in ultima analisi, è la solita richiesta di maggiori finanziamenti per il padrone.
Sabato 22 maggio, convocano fuori ai cancelli dello stabilimento di Melfi un’assemblea dove invitano tutti, in particolare i politici, sui seguenti obiettivi:
– “La necessità del tavolo nazionale” trovando che le chiare parole sulla ristrutturazione del comparto industriale di Melfi di Tavares, che ha detto che “Stellantis è pronta per cambiamenti drastici e scelte coraggiose”, rappresenta un annuncio che richiede “precisazioni”.
– Sollecitano la Regione Basilicata “a realizzare un’alleanza tra le regioni interessate (Basilicata, Puglia e Campania)” a cui devono partecipare anche i parlamentari delle tre regioni interessate (sia di maggioranza che di opposizione) per convocare il tavolo nazionale su Stellantis e sulle scelte di politica industriale del settore auto” … “per mettere al centro della programmazione del Pnrr, per quanto riguarda il capitolo delle infrastrutture, il potenziamento del sistema dei trasporti e della logistica nell’ambito dei collegamenti della trasversale appenninica”.
– Chiedono “alla Regione di assumere misure per rendere più conveniente ed efficiente il sistema dei servizi a sostegno dell’area industriale di Melfi nell’ambito della riforma dei consorzi industriali, oggi elemento di debolezza in particolare per le aziende dell’indotto; a prevedere forme di incentivazione per attrarre nuovi investimenti nell’area industriale del melfese; a semplificare le procedure burocratiche in previsione del nuovo ruolo che l’indotto dovrà svolgere nel rinnovato modello produttivo di Stellantis; a sostenere il sistema dei trasporti e della logistica al servizio del polo automotive di Melfi.”
– Chiedono inoltre “di creare un polo scientifico regionale tra il campus di ricerca di Melfi, l’Università degli Studi della Basilicata ed ENEA per migliorare la competitività nella ricerca strategica, quale un polo di ricerca per celle combustibili a idrogeno, coinvolgendo Stellantis, Eni e Total e attingendo proprio dalle risorse previste dal Pnrr. La Basilicata ha tutte le caratteristiche e potenzialità per diventare un grande hub di produzione di idrogeno”.

Sembrano le richieste di un’associazione imprenditoriale, non di un sindacato. Richieste, fra l’altro, che in nessun modo escludono di per sé tagli all’occupazione e aumento dei carichi di lavoro.
Un sindacato operaio non si sostituisce al padrone. Non cerca le soluzioni che salvaguardano gli interessi della “controparte”, ma organizza la “sua parte” a difendere i propri interessi.
Gli interessi degli operai oggi a Melfi quali sono?
La cassa integrazione abbassa i salari a un livello insoddisfacente per poter avere una vita dignitosa per gli operai e le loro famiglie. Un sindacato operaio dovrebbe porre il problema dell’integrazione del salario perduto chiedendo che sia il padrone a integrarlo utilizzando una parte dei profitti che realizza con il nostro lavoro.

– E’ inammissibile che mentre si riduce il numero degli operai e le ore di lavoro, si concentri il lavoro da fare su una sola linea aumentando i carichi di lavoro individuali di chi continua a lavorare. Un sindacato operaio metterebbe in campo azioni di lotta contro l’aumento dei ritmi, ed anzitutto quella per una riduzione generale dei ritmi di lavoro. Lo smantellamento di una linea va affrontato da parte operaia resistendo sulla formazione di nuovi esuberi, nuova cassa integrazione, potenziali licenziamenti. Non tocca agli operai farsi coinvolgere nella discussione di che auto produrre, su come si muove il mercato, discussione che li porterebbe a concordare il tipo di corda con cui si devono impiccare. Agli operai tocca lottare per difendersi dagli effetti sulla loro pelle delle scelte del padrone, quando affronteranno le cause sarà per mettere in discussione la produzione per il profitto, la produzione per arricchire gli azionisti
– Gli operai dell’indotto, nei piani aziendali, saranno quelli che pagheranno il prezzo più alto della ristrutturazione, perdendo molti posti di lavoro. Questo non sarà senza conseguenze per quelli che rimarranno che si vedranno aumentare i carichi di lavoro. Né sarà senza conseguenze per gli operai dello stabilimento centrale che dovranno farsi carico di molte mansioni prima svolte dagli operai dell’indotto, e vedranno peggiorate le condizioni di lavoro per l’eliminazione, o la riduzione, di molti servizi. Un sindacato operaio organizzerebbe un fronte di lotta unito tra operai dell’indotto e stabilimento centrale, trovando le forme di lotta adeguate per fare più pressione possibile sull’azienda.

Un sindacato tutto orientato ad essere “compatibile” agli interessi padronali non serve agli operai.
Con questi personaggi si seguirà un copione già visto nel corso degli anni che avrà come epilogo solo un drastico peggioramento delle condizioni degli operai, il ridimensionamento degli stabilimenti che continueranno a produrre, la chiusura degli stabilimenti che Stellantis reputerà non compatibili con i suoi progetti.
Bisogna trovare un’altra strada. E’ arrivato il momento che gli operai si uniscano in difesa dei propri interessi, superando le finte divisioni che le parrocchie sindacali hanno inculcato nel corso degli anni.
Bisogna ragionare collettivamente come operai della propria condizione.
Organizzarsi come operai per difendersi.
F. R.

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