UNA RISPOSTA DOVUTA AD ANTONIO PAGLIARONE

Gli operai con Marx e la polemica con Paolo Giussani
di Andrea Vitale
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Gli operai con Marx e la polemica con Paolo Giussani
di Andrea Vitale

I marxisti volgari recidono il nerbo che connette unitariamente la teoria con l’azione proletaria. Essi confinano la teoria alla trattazione “scientifica” dei sintomi dello sviluppo sociale e trasformano la praxis in un essere sospinto senza sostegno e senza scopo dagli eventi particolari di un processo che essi rinunciano metodologicamente a dominare con il pensiero.

György Lukács

 

Pochi mesi fa è morto Paolo Giussani, un economista con cui, alla fine degli anni ’90, abbiamo avuto uno scontro teorico molto aspro come Operai Contro. La polemica mi vide coinvolto in prima persona, essendo “colpevole” di aver pubblicato nel numero 1 dei Quaderni di Operai Contro nel 1997 un articolo di critica delle sue posizioni teoriche. Momento culminante dello scontro è stata una conferenza pubblica alla Calusca, tenutasi il 23 gennaio 1998, in cui sia io che Giussani, in quanto relatori, ci confrontammo direttamente. Non avevo intenzione di dire nulla in occasione della scomparsa dell’economista, perché non mi sembrava opportuno ribadire le ragioni della polemica, soprattutto sapendo che, purtroppo, lui non avrebbe più potuto rispondere. A farmi decidere diversamente ci ha pensato però Antonio Pagliarone, amico e sodale di Paolo Giussani. Pagliarone ha pubblicato su internet[1] un articolo dal titolo “Un ricordo dovuto di Paolo Giussani”, in cui ripercorre con affetto e partecipazione l’itinerario culturale dell’economista scomparso. Fin qui nulla da eccepire. Certo la nostra lettura e nostri giudizi sul lavoro teorico di Giussani sono ben diversi da quelli che Pagliarone esprime, ma, ripeto, non sarebbe stato il caso di riprendere i contenuti della polemica di ben 22 anni fa, proprio quando amici e conoscenti ne stavano onorando la memoria. Pagliarone, però, nel descrivere la biografia intellettuale dell’amico, ci dà una sua versione della polemica intercorsa fra noi, che, solo usando un eufemismo, si può definire distorta. Egli, infatti, così scrive:
“In occasione della presentazione del n 1 dei Quaderni di Operai Contro presso la libreria Calusca, Andrea Vitale fece delle critiche durissime alle posizioni di Giussani e di altri sconfinando nelle offese oltre che riportando gigantesche menzogne sul conto di coloro che sono stati presi di mira (Gianfranco Pala e Gianfranco La Grassa). Io e Paolo andammo in Calusca da Primo Moroni per chiedere un pubblico confronto con il suddetto Andrea Vitale. Il dibattito pubblico si tenne il 23 gennaio 1998 sempre alla libreria Calusca di Milano. Purtroppo non vi era alcun mediatore della libreria per cui Operai Contro impose un suo membro. Non avremmo mai sospettato di vivere una sorta di incubo. Paolo cercava di spiegare ai convenuti le sue posizioni sulla crisi e sulla situazione generale contestando le orribili offese, in puro stile staliniano, avanzate nel loro articolo e nell’intervento di Vitale. Naturalmente, come sempre accade, partirono delle aggressioni verbali da parte dei sostenitori (tifosi) di Operai Contro che promettevano di trasformarsi in aggressioni fisiche. Io, Paolo ed altri abbiamo abbandonato la saletta ripromettendoci di non avere più niente a che fare con certi ambienti”[2].
La prima cosa da fare di fronte a questa allucinante versione dei fatti è chiedersi quali siano mai queste orribili offese da me pronunciate. Credere nella buonafede di Pagliarone, qui ci è davvero impossibile. Nessun esempio concreto viene dato dall’autore, nessuna mia frase viene citata, eppure si tratta quasi sempre di testi scritti e pubblici. Comprendiamo bene che Pagliarone abbia voluto riprendere la tradizione dei latini laudationes funebres, in cui l’aristocratico oratore, nel ricordare l’illustre defunto, per esaltarne la figura, non disdegnava spesso sia di alterarne i dati biografici sia di inserire nell’encomio notizie apertamente inventate. Non possiamo però consentire a questo maldestro emulatore del grande Benedetto Varchi di spingersi fino alla diffamazione nei nostri confronti. Invitiamo perciò Pagliarone a render conto delle sue dichiarazioni, a dimostrarne la loro veridicità. Se non lo farà, e non potrà farlo, perché si tratta di affermazioni di sana pianta inventate, allora ci faccia il favore di tacere su questo per sempre. Nell’attesa di questa molto improbabile risposta, è giusto che sia io a ricostruire sommariamente il senso di quella polemica, così lontana nel tempo, rintuzzando le falsità dette nei miei riguardi e in quelli di Operai Contro, dall’autore dell’elogio funebre.
Affrontiamo allora gli avvenimenti nell’ordine cronologico in cui si sono succeduti.
Partiamo perciò dagli articoli presenti nel numero 1 dei Quaderni di Operai Contro. Si tratta di scritti pubblici, facilmente reperibili su internet da moltissimi anni, poco dopo la loro pubblicazione cartacea[3]. Chiunque può allora leggerli e verificare se davvero ci sono le “orribili offese” o le “gigantesche menzogne” di cui si lamenta Pagliarone. Non ne troverà nessuna. Leggerà invece una critica serrata, documentata, in ogni passaggio, dalla citazione dei passi precisi in cui il singolo autore criticato ha espresso la posizione contestata. Giussani avrebbe potuto ribattere, cercando di dimostrare che la mia interpretazione di quei passaggi era sbagliata o distorta. Non l’ha mai fatto, cercando da subito di trasformare la contesa in una lite personale.

Il secondo momento è la conferenza pubblica di presentazione dei Quaderni, tenuta da noi alla Calusca il 12 giugno 1997. Il titolo della conferenza era, come si evince dalla brochure dell’evento, Gli operai con Marx[4]. Nella brochure era riportato anche il frontespizio del primo numero, in cui erano elencati i titoli e i sottotitoli degli articoli. Vi fu una significativa partecipazione di pubblico, prevalentemente composto da operai. Si può facilmente immaginare che solo di striscio si parlò dei contenuti degli articoli, essendo nostra preoccupazione principale discutere del rapporto fra operai e marxismo, chiarendo così il senso del nostro sforzo teorico. Fra l’altro, è bene dire che nei Quaderni non c’erano solo gli articoli di critica di quelli che erano per noi allora i principali fautori del marxismo senza operai. Il numero 1 si apriva con due articoli, Operai e Teoria e La storia operaia del Capitale, entrambi dell’operaio Enzo Acerenza, che ponevano proprio al centro questo punto. Tornando al dibattito tenutosi in quella sede, è facilmente comprensibile come l’intera discussione ruotò intorno alla considerazione che non è possibile una indipendenza politica degli operai senza che essi sviluppino la coscienza della loro condizione, di qui la centralità del marxismo per gli operai. Solo marginalmente si parlò, come esempio concreto di un diverso uso del marxismo, che da scienza della liberazione degli operai viene ridotto ad una mera teoria economica fra le altre, dei rappresentanti di quelli che nei Quaderni abbiamo definito “marxisti algebrici”. Ripercorremmo così a grandi linee anche le critiche da me svolte negli articoli “incriminati”. Come negli articoli, dunque, anche in questa discussione si parlò di critiche teoriche e non di offese personali. Non avevamo, fra l’altro, bisogno di ricorrere a nessuna menzogna sul conto dei tre teorici che avevamo criticato, essendosi la critica basata unicamente sugli scritti pubblici di questi autori.
Certo, di questo non abbiamo nessuna prova né scritta, né audio o video. Si tratta quindi allora della parola mia, che c’ero alla conferenza in oggetto, contro la parola di Pagliarone, che non c’era e che, quindi, nulla potrebbe dire di certo su di essa. Per fortuna, però, abbiamo un testimone di eccezione, anche se indiretto, che certamente non potrebbe essere considerato uno che parli consapevolmente a mio favore, si tratta di Giussani stesso. Nella lettera che consegnò pubblicamente alla Calusca, in cui lanciò la sfida del dibattito[5], pur lamentandosi, senza mai citarli, di inesistenti insulti che io gli avrei rivolto negli articoli, non accenna mai ad insulti o menzogne da me proferite nella conferenza di giugno. Alla fine del suo scritto, si limita a dire che Vitale: “… non si è limitato a pubblicare un lavoro ma ha tenuto una conferenza pubblica esplicitamente contro alcune persone designate con nome e cognome sui volantini che pubblicizzavano la cosa, violando quella che è sempre stata una regola implicita di conferenze e discussioni pubbliche secondo la quale si possono tenere tutte le conferenze che si vuole contro opinioni, correnti, modi di pensare, teorie ma non contro persone”[6]. Come si può vedere, dunque, dato che in nessun altro scritto o dichiarazione pubblica, Giussani ha fatto mai cenno a queste fantomatiche offese nel corso della conferenza di giugno, la favola sostenuta da Pagliarone è completamente smentita.
Del resto, nella lettera pubblica di risposta che facemmo e consegnammo alla Calusca, lettera articolata in due scritti, il primo a firma della redazione dei Quaderni di Operai Contro dal titolo “Note alle considerazioni di Giussani su Il marxismo algebrico di A. Vitale”, la seconda a firma mia, che ha per titolo un versetto del vangelo (giov, 9, 41), «“…. Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Risposta alla lettera di Giussani di giugno 97», risposi, dopo aver chiarito il vero tema della conferenza, in questo modo: “In nessun caso avremmo mai potuto fare una conferenza contro le persone, per il semplice motivo che gli attacchi personali, gli attacchi sul personale di questi economisti non ci interessano affatto! Ciò che ci premeva era, invece, all’interno di un ragionamento più generale sul rapporto fra gli operai e Marx, criticare le più significative espressioni oggi del marxismo separato dagli operai, attaccando quindi gli economisti in oggetto sulla base delle loro particolari posizioni teoriche. Del resto, la “regola implicita”, cui si appella con tanto vigore Giussani, ci è del tutto estranea. Essa vige all’interno di una comunità particolare, a noi avversa, quella del mondo accademico, del sapere costituito, ed esprime nient’altro che l’omertà imperante in questa sfera, in cui ogni dibattito e contrasto va svolto all’interno di limiti e contorni prestabiliti per non rischiare di ledere e compromettere troppo gli affari ed il mercato reciproci. Giussani può, se vuole, anche chiamarmi maleducato, ma è ovvio che la salvaguardia di simili e altrui meschini interessi di bottega non può certo essere una preoccupazione nostra, tesi come siamo a fondare, attraverso il marxismo, la possibilità scientifica degli operai di condurre un proprio movimento di liberazione”[7].
In ogni caso, da questo scambio di battute fra noi, principali protagonisti della polemica, si comprende come la ricostruzione fatta da Pagliarone della conferenza del giugno 1997 sia del tutto priva di fondamento. Né gigantesche menzogne, né offese personali, solo critiche teoriche.
Mi sia concessa un attimo una piccola digressione. Giussani, apprendo ora accompagnato anche da Pagliarone, si limitò a consegnare la lettera, in cui mi sfidava a duello, alla Calusca, mentre avrebbe anche potuto spedirla tranquillamente alla sede del giornale, il cui indirizzo era facilmente reperibile. Molti erano i modi per farla pervenire direttamente agli interessati. Ad es. un intellettuale, per contattarmi e discutere con me sul contenuto degli articoli, non sapendo come fare, inviò una lettera direttamente alla tipografia che aveva stampato i Quaderni. Giussani invece non fece alcun tentativo in tal senso, eppure, come esplicitamente dichiarò in seguito, la sua risposta era rivolta solo contro di me[8]. Ora è evidente che per motivi geografici, non sono mai stato un frequentatore della Calusca, che, e me ne dispiace, ho visitato solo due volte in vita mia, precisamente in occasione delle due conferenze. Anche i compagni milanesi di Operai Contro, in maggioranza operai, non sono mai stati frequentatori della libreria. Limitarsi a consegnare e a rendere pubblica una lettera di risposta, che si concludeva con l’invito ad una discussione pubblica, a terzi e non ai diretti destinatari è davvero un comportamento singolare, che sempre ha sollevato in me il dubbio che in realtà Giussani non volesse sul serio il confronto vis a vis. Ma queste mie sono solo ipotesi …. Fatto sta, che solo per caso e in ritardo venimmo a conoscenza della risposta, tanto che io potetti leggerla solo alla fine di settembre.

Passiamo ora al terzo momento della vicenda. La conferenza pubblica del 23 gennaio 1998.
La ricostruzione che ne ha dato Pagliarone è una grossa, inqualificabile mistificazione. Non solo la discussione fu approfondita, ma Giussani ebbe modo di parlare tranquillamente, anche se alcune sue affermazioni furono apertamente offensive e provocatorie[9]. Non ci fu alcun tentativo di linciaggio, ma la volontà, a mio parere predeterminata, da parte sua di abbandonare alla prima occasione il dibattito in maniera eclatante. Tant’è vero che Giussani prima della sua uscita di scena definitiva, aveva già una volta accennato ad andarsene, avviandosi verso l’uscita, per poi ritornare sui suoi passi perché era troppo evidente che il suo andare via era una fuga dal dibattito. Puntò allora ad esasperare la discussione e, approfittando della prima polemica, se ne andò. Capimmo solo dopo che aveva una difficoltà oggettiva. Andando via, lasciò nella sala della Calusca un pacco con molte copie della sua seconda lettera, che ho già citato sopra, e che allora era per noi sconosciuta, in cui, invece di rispondere alle critiche che gli erano state rivolte nei Quaderni, ci riempiva di insulti[10]. Come avrebbe potuto giustificare un simile tono, se la discussione si fosse conclusa tranquillamente come ci eravamo sforzati di fare, sviscerando fino in fondo la natura delle differenze reciproche?
Questa sua volontà di trasformare il dibattito in rissa ha anche una ulteriore prova, che Pagliarone, così intimo di Giussani, non può non conoscere. Prima della conferenza, dopo la pubblicazione delle nostre Note di risposta, ci fu uno scambio diretto di mail fra noi due. In tutto sei mail, tre per parte. La prima di Giussani, datata 11 ottobre 1997, l’ultima, mia, datata 14 ottobre 1997. Nelle sue mail Giussani mi provocò con tutta una serie di offese personali, a cui io posi fine nell’ultima mail, così scrivendo: “Sig. Giussani, è il secondo msg di seguito che lei mi invia pieno di offese personali a me e agli operai che danno vita all’esperienza di Operai Contro. Non è che i precedenti suoi scritti (in particolare la lettera alla Calusca ed il primo e-mail) brillassero certo sul terreno della dignità personale, sicuramente, però, con queste sue due ultime e-mail lei ha raggiunto il fondo della meschinità! Tutto questo in barba alle sue lamentele su (inesistenti) insulti personali che io avrei a lei rivolto ne “Il marxismo algebrico”! Non c’è dubbio che in queste lettere, come facevo notare nel mio precedente e-mail, lei esprime tutti i suoi tratti caratteriali, ma ciò, ancora una volta, è per me del tutto secondario. Quello che invece è pienamente evidente in questo suo isterico dimenarsi è il tentativo di spingermi a rinunziare al confronto (cui, e la smetta di inventarsi troppe scuse, lei è stato inchiodato), facendolo scadere anzi tempo in una lite personale (c’è da chiedersi, infatti, che senso ha discutere con un “fuori di testa”?), oppure di creare i presupposti, qualora il suo primo giochetto non riuscisse, per trasformarlo in rissa. Non si faccia illusioni, non ho alcuna intenzione di farmi trascinare sul suo (infimo) terreno. Tengo a precisare che in questo campo la sua pretesa di trattare le cose solo a livello personale è completamente fuori luogo, ciò a causa delle evidenti implicazioni sociali delle questioni toccate”.

Una volta dimostrata la falsità della ricostruzione dei fatti, esposta da Pagliarone, gli rinnoviamo ancora una volta l’invito ad indicare i luoghi precisi in cui, nei miei scritti, avrei compiuto i misfatti di cui con tanta malevole leggerezza mi accusa. Dobbiamo però sforzarci anche a dare un senso, se pur brevemente, a quella polemica, che altrimenti rischia di essere letta come una semplice lite personale, capace di suscitare nei lettori al massimo solo la curiosità di stabilire chi e come abbia sbagliato.
Sarebbe riduttivo e fuorviante limitarsi a spiegare gli accadimenti sulla base degli specifici tratti caratteriali di Giussani. Ad essi accenna bonariamente e affettuosamente lo stesso Pagliarone nel suo scritto, in cui ci racconta che Giussani “purtroppo si accendeva spesso nella polemica arrivando ai limiti (anche con me)”[11]. Questo aspetto della sua personalità solo in parte può farci capire il perché abbia da subito interpretato e letto le nostre critiche come offese personali, un atto di lesa maestà, da rintuzzare in tutti i modi, anche cercando di far trascendere la discussione in rissa. Se restassimo a questo livello superficiale di considerazione, finiremmo, senza volerlo, col dar ragione allo stesso Giussani, che lesse i nostri ragionamenti critici come una ingiustificata persecuzione personale nei suoi confronti. Per collocare invece la polemica nell’esatto contesto in cui si svolse, ancora una volta ci serviremo dello stesso ricordo scritto da Pagliarone. Dalla lettura dell’articolo citato si evince chiaramente come Giussani, per un lungo periodo, anni ’80 e ’90, fu un punto di riferimento per l’area di movimento di ispirazione marxista della città di Milano. Tanto per citare solo alcuni degli esempi riportati nello scritto dell’attività dell’economista, ricordiamo la fondazione della rivista Plusvalore e del Centro Studi di Economia Politica, la costituzione del “Circolo Henryk Grossman che riuniva in viale Pasubio 12 a Milano militanti provenienti dalla sinistra comunista e da altre formazioni”[12] ed anche del il Centro Iniziativa Teorica e Politica. E’ lo stesso Pagliarone a dirci che “Occorre riconoscere che Paolo Giussani ha fatto numerosi tentativi per cercare di smuovere e soprattutto elevare il dibattito teorico in quei rimasugli della sinistra extraparlamentare residuale degli anni ’80 e in un alcuni ambiti accademici nazionali”[13]. Sulle ragioni di fondo che spinsero questi militanti e queste formazioni politiche ad individuare in Giussani un riferimento teorico marxista non ci interessa discutere qui. Quello che ci interessa sottolineare è che la chiave di lettura dello sforzo teorico di Giussani è stato da sempre il tentativo di sviluppare una teoria economica che si rifacesse in qualche misura al marxismo. A suo modo, Pagliarone ci illustra questa cosa: “La sua proposta era semplice: analizzare i fenomeni economici (e non solo) attraverso il metodo scientifico. Tutto qui. L’obiettivo era quello di avere il più possibile le idee chiare su quanto accade nella dinamica del capitalismo senza far sempre ricorso alla povera fraseologia rivoluzionaria degli ideologi di Marx; ossia i marxisti”[14]. In sostanza, ciò che interessava a Giussani era costruire una teoria economica di ispirazione marxista. Possiamo ben immaginare come questo programma affascinò molti degli esponenti dell’estrema sinistra milanese. Ma ridurre il marxismo ad una teoria economica, equivale a non comprendere che esso è ben lungi da essere una semplice teoria economica, in concorrenza con le altre sul piano dell’esattezza della interpretazione dei dati empirici, bensì, restando nell’ambito economico-sociale, è una critica dell’economia politica, che svela il carattere antagonistico della società capitalistica e la necessità del suo superamento. Giussani pretendeva di introdurre (per lui “elevare”) il marxismo nello statuto epistemologico delle scienze sociali (borghesi, aggiungo io), accettandone in pieno tutti i limiti, come l’assoluta validità assegnata al dato empirico, senza riuscire a cogliere come, in specie nell’ambito economico, ciò che appare alla superficie della società borghese è diverso da ciò che esso è effettivamente[15]. Era talmente concentrato nello sforzo di dare una adeguata formalizzazione matematica al marxismo, da cascare nella versione più rozza di questo statuto epistemologico, che fa coincidere la misurazione con la generazione. Infatti, per Giussani, era sbagliato sostenere, come invece facevo io, che è possibile conoscere la grandezza di valore di una merce solo, ed approssimativamente, a posteriori degli scambi, come media effettiva dei prezzi cui la merce in un arco di tempo adeguato, era stata scambiata[16]. Per lui questo equivaleva a dire che erano gli scambi e non la produzione a creare il valore e ciò in barba a tutti i numerosi passi in cui Marx afferma proprio che l’unica misurazione del valore possibile in questa società è quella sostenuta da me[17]. Di qui l’ostinata e fallimentare pretesa di Giussani di poter calcolare la grandezza di valore di una merce già al livello di produzione immediata, utilizzando gli schemi lineari tipici di una branca della teoria economica borghese.
Ogni altra diversa considerazione, esterna al suo angusto orizzonte “scientista”, veniva da Giussani bollata come “puri filosofemi speculativi privi di status scientifico”[18], o, usando le parole dello stesso Pagliarone, citato sopra, “povera fraseologia rivoluzionaria degli ideologi di Marx”. Questa netta chiusura è il tratto costante della sua riflessione e dei suoi studi, l’unico aspetto che io ravvedo di effettiva coerenza nelle sue ricerche, che spesso si contraddicevano fra loro[19]. E’ facilmente comprensibile come questa concezione “scientista” del marxismo presupponesse in Giussani una radicale separazione del marxismo dagli operai, cioè proprio dalla classe del cui movimento il marxismo è espressione scientifica. Ed è altrettanto facilmente comprensibile come noi da sempre abbiamo osteggiato simili posizioni, polemizzando con chi le sosteneva già nel lontano gennaio 1978. Sul numero 0 della rivista Operai e Teoria, pubblicata dai gruppi operai che in seguito dettero vita al giornale Operai Contro, si può leggere l’articolo Marxismo come “scienza del capitale” o della lotta di classe? Critica alle posizioni di “Lavoro Teorico”[20], una critica quindi alle posizioni espresse da quella rivista di cui secondo Pagliarone, Giussani fu animatore[21]. L’articolo si concentra proprio su quanto scritto nel numero 4 della rivista, citato da Pagliarone. E’ un articolo che vale la pena di leggere tutto e che contiene in nuce tutti gli elementi della nostra critica a Giussani di venti anni dopo. Mi limito qui a riportare un unico passaggio, in cui si afferma che non si poteva assolutamente accettare “la riduzione del marxismo a semplice esposizione di leggi, come la fisica, ecc., e non come critica distruttiva di una data società, e addirittura «combattuto dal movimento operaio» (movimento operaio con le virgolette avrebbe significato i partiti revisionisti; ma le virgolette non ci sono, è la classe operaia)”. Si spiega così come mai, negli anni ’80 non fummo ammaliati dalla considerazione di studioso marxista che Giussani aveva conquistato a Milano, ma, soprattutto, decidemmo in seguito di inserire anche lui nella terna di teorici marxisti che allora incarnavano il marxismo senza operai che avevamo deciso di attaccare. Sapevamo benissimo che Pala e La Grassa avevano un calibro ed uno spessore maggiore di Giussani, ma per il ruolo avuto da quest’ultimo a Milano, non potevamo tralasciarlo. Nulla di personale nelle ragioni della critica, come infantilmente invece sostenne Giussani, e neanche di provinciale, altro appunto che questi sollevò contro di noi, sostenendo che nel mondo anglosassone ed anche giapponese, esistevano teorici ben più importanti degli italiani. La verità era che questi economisti, cui si riferiva Giussani, non avevano alcuna influenza diretta o indiretta fra gli operai e, soprattutto, che in quanto gruppi di operai che si stavano sforzando di affermare una teoria per la loro liberazione, le posizioni con le quali dovevano confrontarsi erano quelle espresse dai teorici che criticammo.
Come è nostra abitudine portammo la critica sul loro terreno. Ci sforzammo di dimostrare come le loro posizioni teoriche erano incapaci di comprendere gli antagonismi e le contraddizioni della società capitalistica. I risultati di questi nostri sforzi sono tranquillamente verificabili dalla lettura degli articoli pubblicati nel n.1 dei Quaderni di Operai Contro, e non mi soffermo, perciò, ad illustrarli. Un risultato immediato, secondario, però ottenemmo dalla polemica con Giussani, che, a partire dagli articoli, si sviluppò prima nelle lettere pubbliche e poi nella conferenza del gennaio ’98 alla Calusca: la fine di un equivoco[22]. Dopo aver detto e scritto che il marxismo è una religione[23], che gli operai sono una classe conservatrice[24], Giussani non poteva più presentarsi in giro come un fautore del marxismo, se pur corretto “scientificamente”, almeno non lo poteva fare più in buona parte degli ambienti in cui aveva avuto prima una qualche influenza, dove, per altro, grazie alle critiche dettagliate ai suoi scritti, svolte nei Quaderni, aveva perso pure l’aura di approfondito studioso del marxismo e delle teorie economiche. Pagliarone presenta questo fatto come scelta personale. Scrive: “Io, Paolo ed altri abbiamo abbandonato la saletta ripromettendoci di non avere più niente a che fare con certi ambienti”[25], ma la realtà è ben altra ed è testimoniata dalle critiche che ebbe nel corso della stessa conferenza anche da parte di chi invece era venuto con l’intenzione di sostenerlo.
Dopo la conferenza, a Giussani restava solo la possibilità di continuare la sua linea difensiva nell’ambito ristretto ed impermeabile alle istanze operaie del mondo accademico da lui sempre intensamente frequentato. Solo in questo ambiente poteva esser dato credito alla sua riduzione del dibattito con noi ad un mero caso di incallita maleducazione da parte nostra, senza che nessuno gli chiedesse di rispondere seriamente alle critiche da noi rivoltegli. Un esempio di questo ci fu dato quattro anni dopo la disfida alla Calusca. A fine maggio 2002 fui informato da un mio caro amico, professore di Economia Politica all’Università di Salerno, che in una mailing list di economisti marxisti prevalentemente anglosassoni (Outline on Political Economy (OPE-L) mailing list) era in corso un dibattito in cui venivamo citati sia io personalmente che Operai Contro. Il dibattito è interamente consultabile in rete, anche se esclusivamente in lingua inglese[26]. Ad introdurlo fu Gerald Levy che additò le nostre lettere di risposta a Giussani, pubblicate in rete, come un estremo esempio di come i marxisti non dovrebbero discutere di questioni di economia politica[27]. Gerald Levy, il giorno dopo pubblicò anche il testo di una mail di Giussani[28], in cui questi, dopo essersi sorpreso che si dava peso alle cose prodotte da gente come me, riproponeva la solita versione falsa del dibattito, rappresentandolo come una mera seri di insulti. Non contento, per calcare la mano, si spinse a citare come esempio del mio modo di fare, anche una mia vecchia pubblicazione di critica a Piero Sraffa[29], sostenendo che anche essa era composta solo da una lunga serie di insulti. Non ho intenzione di tediare il lettore descrivendo il prosieguo del dibattito, con molti interventi poco significativi, fatta eccezione dei contributi interessanti dati da Riccardo Bellofiore. La maggioranza degli intervenuti si limitò a ragionare sulla tradizione della pubblica diffamazione (“tradition of public vilification”) nel marxismo[30], dando per assodato che io fossi un “very obnoxious debater” un interlocutore molto odioso[31]. Solo dopo mie insistenze, mi fu concesso di replicare nella stessa mailing list, che era chiusa ai non iscritti[32]. A parte Riccardo Bellofiore[33], nessun altro dei partecipanti al dibattito si sentì in dovere di rispondermi. L’episodio è tutto sommato poco significativo, ma ci dimostra come Giussani avesse l’abitudine di rispondere alle critiche con le calunnie. Nel libro Critica a Piero Sraffa, che io avevo scritto su richiesta dei gruppi operai, era sviluppata una critica all’impostazione sraffiana, che fu da base alla critica del marxismo algebrico. Nessun insulto era presente. Ma il libro era in lingua italiana e, per giunta, difficilmente reperibile, quindi Giussani era tranquillo che io difficilmente avrei potuto smentirlo. Infatti, io potetti farlo solo indirettamente, citando il fatto che il libro aveva provocato una lunga risposta critica, pubblicata su Rinascita[34], il settimanale del PCI, senza che l’autrice avesse però accennato ad un qualche insulto, dato che non ce n’erano. Ora il libro è consultabile in rete e chiunque, se vuole, può verificare quanto siano state false le affermazioni di Giussani.
Molti anni sono trascorsi dai fatti narrati e avevamo archiviato e quasi dimenticato quello che era accaduto. Ci voleva Pagliarone, altro apprendista stregone nell’arte della mistificazione, a costringerci a riprendere l’argomento.
Napoli, giugno 2020

  1. http://www.countdownnet.net/Allegati/98%20Un%20dovuto%20ricordo%20di%20Paolo%20Giussani%20%281%29.pdf

  2. Antonio Pagliarone, Un ricordo dovuto di Paolo Giussani, cit., pp. 3-4

  3. http://www.asloperaicontro.org/quaderni.htm; http://operaieteoria.it/archivio/archivio-quaderni-di-operai-contro/; https://www.academia.edu/40973572/Quaderni_Operai_Contro_n

  4. http://operaieteoria.it/archivio/archivio-quaderni-di-operai-contro/

  5. Giussani, «… E gli uomini (soprattutto alcuni) preferirono le tenebre», Milano, giugno 1997

  6. Ivi, p. 9

  7. Vitale, «“…. Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Risposta alla lettera di Giussani di giugno 97», Napoli, ottobre 1997, p. 4

  8. Cfr. Giussani, “Che bello! Ritornano i Ruggenti Anni Trenta! (solo in caricatura però, che peccato!) – Ancora sulla polemica con Andrea Vitale e il suo gruppo”, Milano, Gennaio 1998, p. 1

  9. Ad es. il definirci pazzi, per giunta difficilmente trattabili, che per illudersi di avere un ruolo si inventavano balle come la necessità dell’insorgenza degli operai, oppure chiamarmi ignorante in aritmetica.

  10. Si veda, ad es., fra i tanti insulti, l’accostamento fra noi ed il nazista Hermann Goerhing a p. 3 della citata Lettera “Che bello! …”

  11. A. Pagliarone, Un ricordo dovuto di Paolo Giussani, cit., p. 4

  12. Ivi., p. 2

  13. Ibidem

  14. Ivi, p. 1

  15. “… ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero immediatamente”, Marx Il Capitale, L. III, p. 1008, UTET, Torino, 1987

  16. Qui ovviamente, per semplificare il discorso, faccio astrazione dall’ulteriore complicazione connessa alla formazione del saggio di profitto medio e dei connessi prezzi di produzione.

  17. “La scala della “socialità” deve essere assunta dalla natura dei rapporti peculiari a ciascun modo di produzione, non da rappresentazioni ad esso estranee”, K. Marx, Il Capitale, Libro I (1867), in Marx Engels, Opere Complete, vol XXXI, tomo II, p. 1066, La Città del Sole, Napoli, 2011.

  18. P. Giussani, Valore e lavoro, Working Paper n. 3, Cesep, Milano, 1985, pp. 1-2.

  19. Cfr. A. Vitale, Il marxismo algebrico, in Quaderni di Operai Contro, n.1, Napoli, 1997, pp.82-85

  20. http://operaieteoria.it/archivio/archivo-operai-e-teoria-cartaceo-1978-1982/

  21. A. Pagliarone, Un dovuto …, cit., p. 1.

  22. Si veda a tal proposito l’articolo La fine di un equivoco – Giussani e la teoria marxista, in Operai Contro, n. 83 del marzo 1998, p. 10, http://operaieteoria.it/archivio/archivio-quaderni-di-operai-contro/

  23. “Il mio punto di vista è che il Marxismo è stato ed è una grandissima merdata. Una laida e filosofastrica religione da intellettuali e/o da lavoratori che scimmiottano gli intellettuali”, P. Giussani, “Che bello! ….”, cit., p. 2

  24. “La classe internazionale dei lavoratori salariati e con essa il movimento operaio mondiale hanno sempre avuto un carattere eminentemente conservatore se non decisamente reazionario, e per loro precisa scelta e volontà, ivi., p. 5.

  25. A. Pagliarone, Un dovuto …., cit., p. 4

  26. http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/ e http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0206/

  27. [OPE-L:7136] “Quaderni di Operai Contro” (Vitale) v. Paolo Giussani di gerald_a_levy (Thu May 09 2002 – 09:07:54 EDT) in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0038.html

  28. [OPE-L:7148] Re: ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale) v. Paolo Giussani (fwd) [email protected] (Fri May 10 2002 – 16:51:32 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0050.html

  29. A. Vitale, Critica a Piero Sraffa, Edizioni GB, Padova, 1986, ora consultabile ai seguenti link: http://operaieteoria.it/archivio/archivio-quaderni-di-operai-contro/ https://www.academia.edu/40669504/Critica_a_Piero_Sraffa

  30. [OPE-L:7141] Personalised attacks gerald_a_levy (Fri May 10 2002 – 06:26:19 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0043.html

  31. [OPE-L:7156] Re: Re: Re: ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale) v. Paolo Giussani (fwd) Rakesh Bhandari (Sun May 12 2002 – 12:40:02 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0058.html

  32. [OPE-L:7285] [Andrea Vitale] ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale): circumstantiated criticism vs calumny] ope-l administrator (Thu May 30 2002 – 05:20:40 EDT, in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0187.html – [OPE-L:7361] [Andrea Vitale] ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale): Marxism as science of workers’ liberation] ope-l administrator (Sat Jun 08 2002 – 03:02:16 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0206/0063.html

  33. [OPE-L:7293] Re: [Andrea Vitale] ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale): circumstantiated criticism vs calumny] Riccardo Bellofiore (Fri May 31 2002 – 10:15:29 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0205/0195.html – [OPE-L:7362] Re: [Andrea Vitale] ‘Quaderni di Operai Contro’ (Vitale): Marxism as science of workers’ liberation] Riccardo Bellofiore (Sat Jun 08 2002 – 06:12:30 EDT), in http://ricardo.ecn.wfu.edu/~cottrell/OPE/archive/0206/0064.html

  34. Nadia Hanna, Dimenticare Piero Sraffa?, Rinascita, 9 gennaio 1988, n. 1, pp. 24-25.

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