La sanatoria di Bellanova non funziona, gli imprenditori agricoli ora hanno di nuovo a disposizione i braccianti clandestini. La truffa della legge è tutta qui, nessuno può imporre ai padroni di regolarizzare i propri schiavi.
A 15 giorni dall’inizio delle regolarizzazioni il ministero
dell’interno ha diffuso i primi dati sulle domande pervenute, circa
30.000 (al momento le domande sono circa 2.000 contro le 5.000 al
giorno previste). Il 90% delle domande sono però per lavoro
domestico. 2.233 invece le richieste di regolarizzazione in
agricoltura!
Eppure la ministra dell’agricoltura
dichiarava: “Con l’articolo 103 del Decreto Rilancio si vuole
favorire l’emersione dall’invisibilità di migliaia di persone che
vivono e/o lavorano nel territorio italiano, fornire un’adeguata
tutela della salute personale e collettiva; compiere un passo in
avanti nel rafforzamento della lotta al caporalato ed allo
sfruttamento della manodopera italiana e straniera”. (dal
sito del ministero dell’agricoltura).
In realtà l’art. 103
del decreto, letto con occhi di chi questa regolarizzazione la
subisce, ci dice che non c’è nessuna volontà di porre fine a
quelle condizioni che tra le lacrime si dice di voler combattere.
Il
decreto stabilisce due possibilità di regolarizzazione e di rilascio
del permesso di soggiorno temporaneo per motivi di lavoro per tutti
gli stranieri che possono dimostrare di essere in Italia da prima
dell’8 marzo 2020.
La prima è che il datore di
lavoro sia disponibile a sottoscrivere un contratto di lavoro
regolare o a denunciare la sussistenza di un rapporto di lavoro
irregolare esistente da regolarizzare. In questo caso la procedura
prevede la “sospensione dei procedimenti penali e
amministrativi nei confronti del datore di lavoro relativi
all’impiego di lavoratori per i quali è stata presentata la
dichiarazione di emersione, anche se di carattere finanziario,
fiscale, previdenziale o assistenziale e del lavoratore relativi
all’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale”.
In questa prima opzione il datore di lavoro nella misura in cui
decide di aderire alla regolarizzazione (per proprio interesse e
tornaconto personale) decide anche se uno straniero può avere un
permesso di soggiorno, se il suo eventuale reato di immigrazione
clandestina può essere estinto, se avrà diritto ad una paga
contrattuale, se avrà un alloggio, se si potrà curare, se avrà i
soldi per tornare in patria. Si sancisce ancora una volta che il
datore di lavoro è il padrone della vita di questi uomini e donne,
di loro diritti elementari, ne controlla la possibilità di essere
“visibili” e per il tempo e solo nella misura in cui un padrone
come lui ne avrà bisogno. Lo stato su questo potere indiscusso, non
sindacabile, si limita a chiedere una tangente di 500 euro (a cui si
aggiunge, qualora si denuncia anche un rapporto di lavoro irregolare,
un forfait per contributi e tasse non versati ancora da stabilire),
tangente che il padrone non avrà difficoltà a scaricare sul
lavoratore straniero come tariffa da pagare per il “favore” che
gli sta facendo con il permesso di soggiorno.
La seconda
opzione di regolarizzazione prevede la possibilità per lo straniero
di richiedere direttamente un permesso di soggiorno temporaneo di 6
mesi per la ricerca di un lavoro. Ma in questa seconda opzione, a
differenza della prima, le condizioni imposte per ottenere quel
misero permesso temporaneo sono così stringenti che ben pochi
saranno quelli che riusciranno ad ottenerlo come i primi dati
sembrano dimostrare. Primo, bisogna essere in possesso di un permesso
scaduto dopo il 31.10.2019. Condizione arbitraria che serve a
garantire i risultati del decreto sicurezza di Salvini che, in meno
di 2 anni, ha prodotto più di 100 mila irregolari che non potranno
usufruire della sanatoria se non alle condizioni della prima opzione.
Secondo, bisogna dimostrare di aver lavorato prima del 31.10.2019 nei
settori oggetto della regolarizzazione: agricoltura, assistenza alla
persona, lavoro domestico, documentazione che difficilmente un
lavoratore straniero irregolare potrà produrre. Terzo, il lavoro
potrà essere cercato solo in questi 3 settori (e solo
successivamente alla regolarizzazione si potrà eventualmente trovare
lavoro in altri settori). Quarto, nel caso di richiesta diretta da
parte dello straniero non ci sono gli scudi penali garantiti al
padrone, come nella prima opzione di regolarizzazione, al contrario,
va valutata, tra le altre cose, la pericolosità sociale del
“clandestino” e le domande possono essere rigettate anche in caso
di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva, per reati
come quelli previsti dall’articolo 381 del codice di procedura penale
(es. una minaccia a pubblico ufficiale). Anche in questo caso appare
chiaro che sarà sempre e solo la volontà e l’interesse del
padrone di comprare la sua forza lavoro che darà la possibilità di
acquisire (sempre temporaneamente) quei diritti elementari che le
“sacre carte” considerano universali ed inviolabili per ogni
individuo. Infine, anche lo straniero irregolare, lo sfruttato
“invisibile” delle campagne che viene pagato 2 euro l’ora, che
vive nelle baracche non avrà sconti; per avere il misero permesso
dovrà pagare allo stato 130 euro, più 30 euro, più 16 euro di
marche per un totale di quasi 180 euro (pari a 90 ore di corvèe).
In
buona sostanza per lo straniero non c’è possibilità (se non
limitatissime) di ottenere un permesso di soggiorno se non attraverso
la mediazione del padrone o di chi può procurargli i documenti
“falsi” necessari per presentare la domanda. In entrambi i casi
si tratterà di ricatti e costi altissimi che riprodurranno la sua
condizione di sottomissione al più brutale sfruttamento.
Insomma,
se c’è una cosa che è “visibile” e che si vuole e si deve
lasciare “invisibile” l’interesse dei padroni a conservare
quelle determinate condizioni di sottomissione della forza lavoro
nelle campagne. E, allora, il gioco diventa come ufficialmente
condannare quello che tutti conoscono e vedono, il lavoro nero, il
caporalato, le baraccopoli, i morti a causa della condizione da
schiavi imposta dai padroni, ma lasciare che tutto vada come sempre.
E suona come una beffa l’ennesimo richiamo ad adottare “soluzioni
e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza
delle condizioni alloggiative, nonché ulteriori interventi di
contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato”
o l’ennesimo inasprimento formale delle pene per chi nelle
procedure di regolarizzazione dichiara il falso o per coloro che
impiegano in modo irregolare i cittadini stranieri che avanzano
richiesta del permesso di soggiorno temporaneo. Come se il problema
sia la mancanza di leggi, regolamenti, sanzioni.
Se, come
abbiamo visto, tutto il processo della regolarizzazione è
subordinato alla volontà e all’interesse del padrone ad
utilizzarla, dov’è l’obbligo del padrone ad aderire? Quale
potere coercitivo possono avere le sanzioni “inasprite”?
La
sanatoria si farà se e come vorranno gli “imprenditori agricoli”.
E, se questa sanatoria non avrà i numeri ipotizzati dal governo, non
li avrà perché i padroni hanno trovato soluzioni per loro più
convenienti rispetto alla mancanza di forza lavoro che l’emergenza
Covid aveva prodotto, col blocco delle frontiere e il divieto di
spostamenti, adesso rimossi.
Sul decreto forze sindacali e
politiche si sono schierate secondo gli interessi rappresentati.
Da
un lato abbiamo i sindacati confederali che unitariamente hanno
dichiarato: “Esprimiamo soddisfazione per il provvedimento
che sottolinea un’inversione di tendenza rispetto alle politiche
degli ultimi anni in materia di immigrazione. La norma prevista nel
Decreto Rilancio rappresenta un primo passo importante, è una norma
di civiltà orientata alla legalità ed alla dignità dei lavoratori
occupati nei comparti indicati” (Comunicato unitario dei
sindacati confederali); insieme ad una parte dell’associazionismo
che parimenti, pur ritenendo l’intervento limitato e bisognoso di
un ampliamento, comunque riconoscono al governo un’inversione di
tendenza nelle politiche migratorie. Come sempre vale per questi il
“meglio che niente”, come tutti i servi pronti a raccogliere le
briciole che cadono dal tavolo. Una vera inversione di tendenza
sarebbe stata la regolarizzazione di tutti i braccianti irregolari
che lavorano ed hanno lavorato nelle campagne, senza passare dalla
richiesta del “datore di lavoro”, e senza dare a quest’ultimo
nessuno scudo penale, e soprattutto gratutitamente.
Dall’altro
abbiamo tutto il sindacalismo di base e la sinistra extra
parlamentare schierata contro il decreto denunciando che solo la
mancanza di manodopera, la necessità di salvare raccolti e profitti
invece di preoccuparsi degli esseri umani e dei loro diritti ha fatto
sì che si parlasse di regolarizzazione.
A tutt’oggi, l’unica
manifestazione importante contro il decreto è stato lo sciopero
nazionale indetto il 21 Maggio dalla USB, sciopero che ha visto la
partecipazione di molti braccianti e il blocco della raccolta in
molti campagne, in particolare nel foggiano dove si è svolto il
corteo principale guidato da Soumahoro del coordinamento USB che ha
annunciato che in mancanza di risposte “ci saranno altri
scioperi, altre mobilitazioni, con buona pace della frutta e della
verdura. E il prossimo corteo non raggiungerà una prefettura, ma il
Parlamento”. USB inoltre ha intenzione di organizzare a
luglio una grande assemblea di tutti i braccianti e gli invisibili
italiani, aperta ai cittadini, ai consumatori, agli agricoltori, da
tenersi nel Foggiano. Tutte cose giuste e necessarie, peccato che i
braccianti hanno bisogno di ben altro, di superare la denuncia
generica delle loro condizioni, di dare continuità al loro
movimento, di costituirsi in una lega che ponga rivendicazioni
concrete per impegnare i padroni in una lotta giornaliera su
condizioni di lavoro e salari.
In conclusione. Il governo dopo
guerre intestine ha introdotto nel decreto rilancio la
regolarizzazione degli stranieri nei termini sopra indicati per i
padroni i quali però, come i primi dati dimostrano, hanno snobbato
avendo trovato soluzioni più convenienti. Quella che doveva essere
una regolarizzazione del lavoro nelle campagne, come era prevedibile,
si è al momento trasformata esclusivamente in una regolarizzazione
del lavoro domestico. I sindacati confederali (che con senso di
responsabilità durante la pandemia hanno tenuto sotto controllo la
situazione nelle campagne) e l’associazionismo che della gestione
della forza lavoro, inclusa quella straniera fanno il loro “lavoro”
naturalmente si sono schierati a favore della regolarizzazione che
vede confermato il loro ruolo di mediatori. Il sindacalismo di base e
la sinistra “antagonista” sono nettamente contro il decreto, al
di là delle divisioni interne, e vedono la questione in una
dimensione di un generico fronte unico di lotta dove i migranti, i
braccianti, i precari, e tanti altri… rischiano di essere usati
come massa di manovra al servizio degli interessi della piccola
borghesia che comanda all’interno di queste organizzazioni e
persegue fantomatici modelli di sviluppo alternativi.
Infine, i
braccianti irregolari, i veri attori di tutta questa manovra. Cosa
gli serve veramente per ottenere “documenti, casa, contratti”.
Può bastare uno sciopero? Possono bastare manifestazioni contro “lo
strapotere dei giganti del cibo che obbliga gli agricoltori a
produrre cibo a ribasso, procacciando mano d’opera a basso costo”,
può bastare la solita ritrita denuncia che si conclude sempre in una
minestra riformista per modelli alternativi di sviluppo? Serve invece
qualcosa di concreto, reale. Serve poter colpire i padroni nell’unica
cosa che gli interessa: i profitti. Solo di fronte al rischio di una
perdita dei profitti i padroni saranno disposti a trattare, a cedere.
Serve una lega dei braccianti costituita da loro stessi, nelle
campagne dove sono sfruttati.
Allora non ci sono scorciatoie, al
di là di ogni illusione, l’unico obiettivo è organizzarsi sui
propri interessi e avere la forza per poter condurre una lotta
organizzata e senza tregua. A quel punto ogni opportunità, ogni
debolezza, contraddizione, dell’avversario potrà essere obiettivo
della battaglia, provocatoriamente, avendo la forza, anche
costringere i padroni ad aderire, per forza, alla sanatoria farsa di
cui si vanta governo.
P.Se.
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