IO RESTO NELLA BARACCA

Dai padroni agricoli, alla ministra Bellanova, tutti si sono accorti che nelle campagne  mancano quelli che piegano la schiena. Gli schiavi hanno deciso di disertare, meglio morire di fame che morire di polmonite abbandonati, senza cure  e senza nome nei campi di pomodori.
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Dai padroni agricoli, alla ministra Bellanova, tutti si sono accorti che nelle campagne mancano quelli che piegano la schiena. Gli schiavi hanno deciso di disertare, meglio morire di fame che morire di polmonite abbandonati, senza cure e senza nome nei campi di pomodori.


 

Gli operai agricoli che sfacchinano da mattina a sera, nelle campagne italiane, sono circa 1 milione (dato INPS del 2016). Di questi il 36% della manodopera occupata è costituito da braccianti stranieri che vengono impiegati in tutti i settori agricoli. Parte di questa manodopera è costituita da operai agricoli stagionali, sopratutto proveniente dell’Europa dell’est e in particolare dalla Romania e dalla Bulgaria.
Di fronte all’espandersi dell’epidemia del Covid 19, questi operai, per non ammalarsi e rischiare di morire, hanno preferito fare i bagagli e tornarsene giustamente nei loro paesi di origine. Quelli che sono rimasti senza poter sfuggire all’epidemia sono, nella maggioranza dei casi, operai provenienti dall’Africa e dall’Asia che, senza nessun’altra alternativa, sono costretti a continuare a rimanere nei ghetti delle campagne della capitanata, del ragusano, dell’agro pontino e di tutte le zone agricole d’Italia. Sono circa 80 i ghetti sparsi nelle campagne italiane dove questi braccianti sono costretti a vivere, vivere in realtà è un verbo che non si addice ad una vita vissuta in quelle condizioni bestiali.
I ghetti dei braccianti sono dei tuguri dove si campa in condizioni di sopravvivenza disumana. Mancanza delle più elementari norme igenico sanitarie, della quasi totale mancanza di acqua corrente, senza o quasi servizi igenici e, quei pochi che ci sono, sono enormemente insufficienti. L’assistenza medica e i presidi sanitari sono inesistenti, tutto questo mentre sta imperversando a tutto spiano il contagio del Covid 19 ed oltretutto non si ha nemmeno la più pallida idea di quale sia il grado di contagio effettivo che abbia colpito questi poveri braccianti. Nessun numero di ammalati o di morti da virus è mai, fino ad ora, venuto in luce ed i ghetti dei migranti sono stati completamente dimenticati.
La cosa fondamentale, per i padroni agrari, è che nonostante l’imperversare del virus il lavoro nei campi vada avanti incessantemente senza fermarsi mai e che il lavoro costi ai padroni solo un paio di euro all’ora per 10 ore di lavoro giornaliere.

Mentre questa macina continua a tritare vite umane producendo a tutto spiano derrate alimentari, il silenzio delle istituzioni è pesante. Istituzioni che in nome di un interesse superiore, della essenzialità della produzione agricola, istigati dalle associazioni imprenditoriali del settore, hanno garantito che la filiera agricola continuasse a macinare profitti su profitti, senza mai fermarsi. Guarda caso non si sono occupati in nessun modo delle condizioni di sicurezza dei braccianti, dell’incidenza del coronavirus nel lavoro nei campi.
Unico problema di questa macchina di sfruttamento infernale è che la manodopera, a causa del virus, comincia a scarseggiare. Di fronte a questa penuria di mano d’opera le associazioni dei padroni agricoli, malgrado l’avanzare dell’epidemia, hanno cominciato a strillare ai quattro venti che nelle campagne, nella raccolta di frutta e verdura, mancano all’appello circa 250.000 operai stagionali. Il loro “grido di dolore” è arrivato alle orecchie attente della ministra dell’agricoltura Bellanova che immediatamente ha avviato un confronto con il governo rumeno per aprire un “canale” che permetta agli operai rumeni di tornare a farsi brutalmente sfruttare nelle campagne italiane. Oltre a promettere permessi di soggiorno per tutti i migranti. Ora che ne hanno assoluto bisogno a piegare la schiena nei campi di lavoro.
Ma non solo, alle lamentele delle associazioni padronali degli agricoltori si è aggiunta la fogna delle esternazioni sui social, in cui si esprime su ogni cosa la piccola borghesia reazionaria. Questi borghesucci, leoni da tastiera, impauriti dal fatto di poter rimanere senza le loro adorate primizie da poter sbafare e sbandierare ai quattro venti, si sono sbizzarriti nelle più volgari proposte e, con i loro più “raffinati” ragionamenti, non hanno esitato a reclamare alla costrizione al lavoro nei campi di coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza, di chi è in cassa integrazione o chi è semplicemente disoccupato, una moderna versione dei campi di lavoro coatti di antica memoria.
A questo gruppo sociale di ultima formazione, a cui hanno inculcato un individualismo sfrenato e hanno illuso di avere soluzioni moderne per ogni cosa, non interessa a che condizione di lavoro siano sottoposti gli operai agricoli e nemmeno che misero salario percepiscano, l’importante è che verdura o frutta non manchino mai giornalmente nel loro raffinato piatto, a costo di riproporre, via social, i lavori forzati.
Gli operai agricoli dei paesi dell’est Europa che erano impiegati in agricoltura, appena si è manifestato il virus hanno risolto la questione per garantirsi la salute, tornandosene ai loro paesi di origine. Meglio sopravvivere di stenti che morire di malattia in mezzo al fango.
Inversamente per gli operai agricoli provenienti dall’Africa o dall’Asia, non potendo fuggire da nessuna parte, saranno costretti al chiuso dei loro tuguri, abbandonati da tutti, a morire nel silenzio nell’invisibilità più totale, dimenticati fino a ieri ed oggi, venuti alla ribalta solo perchè mancano le loro braccia nelle campagne di questa bella Italia.
D.C.

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