MORIRE PER I CORONAVIRUS O MORIRE DI FAME PER LO SCIOPERO AD OLTRANZA

Questo, in sintesi brutale, la scelta che hanno di fronte gli operai della Lucchini -acciaieria bresciana- costretti ad 11 giorni di sciopero. Da questa situazione si esce solo mandando tutto a carte quarantotto, una ribellione di massa.
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Questo, in sintesi brutale, la scelta che hanno di fronte gli operai della Lucchini -acciaieria bresciana- costretti ad 11 giorni di sciopero. Da questa situazione si esce solo mandando tutto a carte quarantotto, una ribellione di massa.


 

Quello che ogni giorno sta andando in scena è un braccio di ferro continuo tra gli interessi dei padroni e gli interessi degli operai. Da una parte ci sono i padroni che, con le loro associazioni, confindustria in testa, spingono perché si continui la produzione di qualsiasi merce, essenziale ma anche non essenziale, a qualsiasi costo ed a qualsiasi condizione pur di non perdere quote di profitto. Il continuo ricorrere alla proposta di utilizzare esami del sangue per accertare chi abbia superato indenne il virus, suona come la ricerca spasmodica di trovare una soluzione per chi, avendo gli anticorpi necessari, possa presentarsi al lavoro per continuare la produzione cara ai padroni.
Dall’altra parte della barricata ci sono gli operai che, in questo marasma generale provocato dal corona virus, tentano di salvaguardare la propria salute e la propria pelle, cercando di resistere come possono, all’imposizione dei padroni di tenere aperte le fabbriche
Ultimo esempio in ordine di tempo di questa continua lotta è quello che sta accadendo alle acciaierie Lucchini. 11 giorni di sciopero per continuare a bloccare l’acciaieria e salvarsi dal contagio, 11 giorni di sciopero che il sindacato confederale ha dichiarato contro la volontà della società di continuare a produrre malgrado tutto.
La Lucchini RS S.p.A. è un acciaieria bresciana che, nelle due sedi di Lovero e di Pian Camuno, è specializzata nella produzione di materiale rotabile (treni, tram e metro, ruote, cerchioni e assali ferroviari), e di forgiati, getti, acciai per utensili e lingotti da forgia. Il territorio dove sorgono le due fabbriche è la zona dell’alto lago d’Iseo e della Val Camonica. Zone in cui il Covid-19 si è manifestato in maniera aggressiva ed ha colpito duramente, causando 821 contagi e 88 morti su di una popolazione complessiva di circa 118 mila abitanti nella sola Val Camonica. Una percentuale altissima di contagi.
Mettendo a confronto i contagiati della Val Camonica con quelli della città di Milano il confronto è impietoso, nella città di Milano il numero di infettati dal virus è di 4.362 contagi su di una popolazione di 1.3 milioni di abitanti, con una percentuale del 0,33% , mentre la percentuale di contagiati in Valcamonica è più del doppio, 0,7 %.
Ancora una volta si riscontra come nelle zone a più alta concentrazione industriale il virus stia colpendo in maniera esponenziale, attaccando sopratutto i soggetti più esposti all’affollamento della fabbrica, gli operai. Nelle due fabbriche della Lucchini la produzione è stata bloccata dal 13 marzo scorso fino ad oggi, ma la direzione aziendale aveva chiesto immediatamente la ripresa della produzione dichiarando: “chiediamo la ripresa della produzione per soddisfare le esigenze di continuità delle filiere essenziali e strategiche”. Essenziali per chi verrebbe da dire? Come se le rotaie prodotte dalla Lucchini (tra l’altro per la maggior parte prodotte per il mercato cinese) servissero a salvare vite umane. E ancora: “Purtroppo le organizzazioni sindacali non hanno ritenuto di voler responsabilmente condividere una scelta difficile, ma indispensabile per garantire la continuità di fornitura ai settori strategici”. I settori strategici sono solo quelli dedicati al portafoglio del padrone Lucchini e dei loro azionisti. Considerando pure il fatto che il loro magazzino è pieno, il problema come al solito per i padroni è perdere quote di mercato a favore di altri concorrenti. Come sempre di fronte al mercato ed ai profitti che esso genera la vita degli operai non conta nulla.
I confederali a questo punto, tentando la solita mediazione al ribasso, pur di non dispiacere al padrone e con il solito loro fare conciliante, avevano proposto all’azienda di far entrare solo i volontari operai che si fossero prestati a continuare la produzione. Vista la risposta dell’azienda che pretendeva che tutti gli operai riprendessero il lavoro, FIM FIOM e UILM , ob torto collo, si sono visti costretti a lanciare lo sciopero di 11 giorni a partire dal lunedì 6 aprile, che permetterebbe agli operai che aderissero allo sciopero di salvaguardarsi la salute. Ora gli operai, come sempre, dovranno decidere se morire di malattia per il Covid 19 presentandosi al lavoro, oppure morire di fame per il taglio che il loro salario subirà a causa dell’adesione allo sciopero.
La prospettiva per gli operai non si sposta di un millimetro, ma di fronte a queste due chance ne esiste anche una terza: mandare tutto a carte e quarantotto. Una ribellione di massa di tutti gli operai, dal Nord al Sud. Non siamo carne da macello e non ci faremo macellare per garantire ai padroni la ripresa dei loro profitti .
D.C.

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