DAL LAVORO DA SCHIAVE ALLA SCHIAVITÙ DOMESTICA

I licenziamenti di massa costringono le donne al ritorno al lavoro domestico come unica attività. Ritorna centrale il problema del rapporto sociale con gli uomini e come affrontarlo.
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I licenziamenti di massa costringono le donne al ritorno al lavoro domestico come unica attività. Ritorna centrale il problema del rapporto sociale con gli uomini e come affrontarlo.


La famiglia “è la contraddizione principale delle donne” che condiziona maggiormente la loro vita e le loro scelte, soprattutto nei periodi di grande crisi economica, quando vengono espulse dal mercato del lavoro e rispedite forzatamente nelle loro case. Il ruolo familiare assegnato alle donne le pone in una condizione di emarginazione, escludendole dall’attività produttiva, subordinandole, nella loro vita privata e sociale, agli interessi di altri soggetti sociali. Costrette ad una condizione di dipendenza economica, il ritiro nel privato le priva della possibilità di poter incidere nel sociale, rendendole soggetti passivi, nei processi collettivi.
L’essere “rinchiuse” in una condizione prevalentemente familiare riduce le loro forme di socializzazione, ad una sfera prevalentemente affettiva, circoscritta ai rapporti interpersonali, portandole ad affrontare i problemi in termini moralistici, piuttosto che politici. Tutto ciò rappresenta un grosso limite, che condiziona fortemente l’approccio delle donne ai problemi nella dimensione sociale. La percezione di ciò che si muove attorno a loro è caratterizzata da un approccio moralista, si tende a privilegiare un’impostazione etica, affrontando i problemi in termini personali, senza saperne cogliere le origini strutturali.
Credo sia opportuno non trascurare una conseguenza importante che l’isolamento a cui sono costrette le donne nella loro attività quotidiana casalinga porta, e cioè a sviluppare una mentalità antisociale e antipolitica. Potrà forse sembrare un’affermazione negativa, ma in realtà si vuole sottolineare il duplice sfruttamento delle donne vittime del capitalismo. Sfruttate nella fabbrica e “sfruttate” nei loro rapporti personali.
Preoccupate di dover far quadrare il bilancio familiare con poche risorse economiche, spesso costrette ad un doppio lavoro (esterno/casa), uno mal pagato, l’altro gratuito, ma entrambi faticosi e alienanti; ciò significa che molte donne vivono una vita da “schiave domestiche”, si ritrovano ad essere loro l’unico supporto economico familiare. Questa non è certo per le donne una condizione favorevole al loro processo di sviluppo, ed è estremamente facile, soprattutto nelle condizioni sociali ed economiche del momento, vedere allontanarsi la possibilità di uscire dalle mura domestiche, ed unirsi agli altri sfruttati, per sfidare l’attuale dominio.
Citiamo un “vecchio rivoluzionario” del secolo passato, eccezionalmente moderno …Perché sulla donna cade tutto il peso del lavoro domestico che, nella maggior parte dei casi, è il lavoro meno produttivo, più pesante più barbaro. E’ un lavoro estremamente meschino, che in se non ha nulla che, neanche in minima misura, possa contribuire allo sviluppo della donna. (Discorso pronunciato alla IV conferenza delle Operaie Senza Partito della città di Mosca da Lenin il 23/9/1919).

IL LAVORO DOMESTICO E’ RICONOSCIUTO NECESSARIO PERCHE’ PRODUCE” VALORE D’USO” MA NON E’ CONSIDERATO SOCIALMENTE PRODUTTIVO NON AVENDO “VALORE DI SCAMBIO”.
Le donne nella famiglia lavorano al di fuori dell’economia monetaria di mercato, il loro lavoro non ha un equivalente in denaro, perciò è senza valore, quindi non ritenuto socialmente un vero lavoro. L’attività della casalinga non è e non può essere considerata una” professione” ma piuttosto concepita come un dovere finalizzato all’accudimento del marito e dei figli.
In questo non c’è una reale scelta ma una imposizione. Pertanto anche la rivendicazione del salario alla casalinga confermerebbe questo “DOVERE”. La donna arriverebbe ad essere pagata non per i suoi servizi, ma per l’accettazione della sua stessa schiavitù. Benché la subordinazione della donna sia precedente al Capitalismo, oggi è questo sistema sociale ed economico che ne determina i termini, culturalmente e strutturalmente. Non tenerne conto significherebbe dare un’impostazione sessista alla questione, ossia affrontarla nei termini di un conflitto tra i sessi. Mentre la lotta di liberazione della donna è strettamente legata alla lotta per la liberazione degli esseri umani dall’oppressione, ossia alla lotta di liberazione oggi, del proletariato composto di operaie ed operai, alla lotta di classe. Lo sfruttamento della donna passa attraverso le classi “ma la donna non rappresenta una classe”.
Questo è un concetto importante da avere chiaro, perché potrebbe indurre a credere che l’unità delle donne, si basi sull’idea che la loro condizione subordinata e marginale le renda tutte uguali. Questo non è solo sbagliato ma è soprattutto fuorviante ed ambiguo. Anche se l’appartenenza allo stesso sesso porta a condividere alcune problematiche, l’appartenenza di classe pone le “discriminanti”, fondamentali per intraprendere un percorso di liberazione. È la lotta contro i privilegi delle borghesi, dei loro mariti e figli che fa la differenza. E’ la lotta per la libertà e l’uguaglianza di tutti altrimenti ci sono solo soluzioni parziali o devianti. “A parole la democrazia borghese promette l’eguaglianza e la libertà, ma di fatto, persino la repubblica borghese più avanzata non ha dato alla metà del genere umano, quella costituita dalle donne, la piena eguaglianza giuridica con l’uomo, né l’ha liberata dalla tutela e dalla oppressione dell’uomo”… (il Potere Sovietico e la Costituzione delle Donne. Lenin Pravda n. 249 6/11/19).
Oggi le donne crescono avendo accesso al potere. E’ questo che le donne vogliono? E’ questo un mondo più giusto? No, è solo un mondo con più donne al comando con il potere che il capitalismo e la loro appartenenza di classe gli dà. E questo significa che queste donne avranno sempre meno interesse a smantellare questo sistema, basato sullo sfruttamento e sulla diseguaglianza. Questo è un sistema sbagliato, ed è contro le donne. La cultura dell’indignazione individuale è improduttiva e controproducente, porta le donne a credere che ci sia la possibilità di vincere delle battaglie senza cambiare o mettere in discussione il sistema sociale ed economico in cui viviamo. Il movimento femminile deve essere parte del movimento delle masse sfruttate che lottano per la loro emancipazione.
Vorrei concludere con un’altra citazione che come le precedenti ritengo assolutamente attuali ed utili per poter comprendere la nostra condizione odierna e saperci dare un ruolo da protagoniste, nel progettare un mondo diverso.
ARCHIVIO ZETKIN: “LENIN INTERVISTATO DA CLARA ZETKIN NEL 1920”
“Pochissimi uomini anche tra i proletari, si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano, “al lavoro della donna.” Ma no, ciò è contrario ai diritti e alla dignità dell’”uomo”. Essi vogliono pace e comodità. La vita domestica di una donna costituisce un sacrificio quotidiano fatto di mille “nonnulla”. La vecchia supremazia dell’uomo sopravvive in segreto… Il nostro lavoro politico comporta una buona dose di lavoro educativo tra gli uomini. Dobbiamo sradicarla del tutto la vecchia idea del padrone, nel partito e tra le masse”
S.O.

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