GLI OPERAI SONO STANCHI…

Alla ex Ilva di Taranto una stanchezza profonda serpeggia fra gli operai, ma non è la stanchezza di chi ha lottato a lungo ed ha consumato la propria forza, è la stanchezza di chi è stato raggirato, preso in giro e può, da un momento all'altro, esplodere.
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Alla ex Ilva di Taranto una stanchezza profonda serpeggia fra gli operai, ma non è la stanchezza di chi ha lottato a lungo ed ha consumato la propria forza, è la stanchezza di chi è stato raggirato, preso in giro e può, da un momento all’altro, esplodere.

Il cicaleccio sulla questione ex Ilva è enorme. I media, la rete web e i social lo amplificano in maniera impressionante. Politici, sindacalisti, giornalisti, opinionisti, nullafacenti a libro paga per chi offre di più, cardinali, tutti sguazzano ogni giorno, ogni momento, nelle acque torbide della legge del padrone per trarre quanto più vantaggio possibile per se stessi, per il proprio partito, per chi li può pagare meglio.
In tanto bailamme colpisce il silenzio degli operai. Se si eccettuano gli sfoghi isolati di alcuni operai nel confronto con il primo ministro Conte e qualche lamento in caso di interviste flash, non appare quasi altro. Sembra che non esistano, che siano il convitato di pietra, benché tutto ruoti attorno alla loro sorte. Tutti gli altri hanno già deciso di dover decidere sulla loro pelle e li hanno esclusi a priori: “Gli operai sono stanchi…”.
Certo, gli operai sono stanchi, lo confermano essi stessi! Stanchi di bersi le chiacchiere di sindacati mercenari e sindacalisti compiacenti che hanno costruito carriere sulle loro spalle. Stanchi di partecipare a scioperi farsa, come quello di venerdì 8 novembre, privo di presidi sindacali e partecipato solo da un operaio su cinque: uno sciopero in realtà utile, nelle intenzioni di Fiom, Fim e Uilm, sia a spompare e diluire la rabbia operaia, sia a ricordare ai Mittal l’esistenza dei sindacati ai quali i padroni indiani non danno più conto delle proprie azioni, scavalcandoli sistematicamente come hanno fatto in questi giorni. Stanchi di ubbidire a sindacalisti che sono sempre stati presenti nel firmare accordi a perdere per gli operai (come quello del 6 settembre 2018 che, con l’ingresso di ArcelorMittal, ha licenziato di fatto 6.000 operai, di cui 3.000 a Taranto, su oltre 14.000, e come quello che ha deciso la cassa integrazione per 1.400 operai da luglio scorso in poi). Stanchi di ascoltare sindacalisti che sono sempre stati assenti nell’appoggiare le richieste degli operai di reparti sicuri, salvo proclamare due-tre ore di sciopero formale a ogni morte di operai. Stanchi di belle parole e vuoti propositi, tanto poi a faticare e rischiare la vita sulle linee di produzione ci vanno loro, gli operai, e nessun altro. Stanchi dei padroni che, prima lo Stato con l’Italsider, dopo i Riva e poi gli amministratori temporanei con l’Ilva, ora i Mittal con ArcelorMittal, li hanno sempre sfruttati, calpestati, ammazzati.
Quelli che, con apparente noncuranza, definiscono gli operai “stanchi”, sono i primi a temere che un giorno si presentino sulla scena politica e sociale freschi, in forma, in forze, riposati, con propositi chiari e ben organizzati. Sanno bene che gli operai, quando dicono che sono “stanchi”, esprimono un rifiuto netto per un sistema sociale che li spreme e li uccide, vogliono dire che non ne possono più di sindacalisti e politici, non li ascoltano più. È un rifiuto per adesso inerte, certo, ma se prendesse corpo e sostanza, se facesse degli operai parte attiva nello scontro sociale, non ce ne sarebbe per nessuno!
Ma per ora i borghesi, nelle loro diverse sfumature, si sentono al sicuro. Il malcontento e la rabbia, se non si trasformano in lotta organizzata, non faranno mai male a nessuno. Liquidati, nelle loro intenzioni, gli operai, tanto ci sono i sindacati, ben pagati, a tenerli a bada, i borghesi si scannano sul banco delle accuse. I più accesi e violenti di tutti si sono mostrati subito i politici, interessati a giocarsi la questione ArcelorMittal sul tavolo elettorale per riscuotere voti alla prossima tornata, ma con lo sguardo alle elezioni politiche, dietro l’angolo di ogni diverbio nel governo Conte in carica.
Il M5S, che ha lasciato per strada promesse elettorali e voti, ha escluso la reintroduzione dello scudo penale, invece il Pd e Italia Viva si sono dichiarati favorevoli. Per fare pressione sul governo e sulle sue contraddizioni interne Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno dichiarato aperta disponibilità a concederlo e Salvini ha fatto finta di non ricordare che pure la Lega votò contro l’immunità penale nel primo governo Conte.
Ma poi i Mittal hanno dettato le loro condizioni, andando oltre l’immunità penale. Hanno alzato la posta in gioco con la richiesta di espellere dalla fabbrica 5.000 operai. L’immunità penale non basta più, o 5.000 operai fuori oppure i padroni indiani lasciano. Sono i padroni che impongono la loro legge, quella di raggiungere il massimo profitto possibile, in barba alle diatribe politiche, e i partiti devono adeguarsi, se vogliono. Altrimenti non se ne fa nulla, i Mittal e i loro azionisti non sono disposti a perderci o a guadagnarci meno di quanto preventivato.
Tutti i partiti borghesi, chi apertamente chi in forma contorta, sarebbero disposti a cedere, a trovare un accordo, ma nessuno ci mette la faccia ad accettare il diktat di ArcelorMittal, perché il consenso elettorale conta. Perciò ha rotto il ghiaccio il presidente di Confindustria, Boccia, che ha preteso la protezione legale per ArcelorMittal e legittimato i licenziamenti per far ripartire la multinazionale. Allora il primo ministro Conte ha subito proposto la trattativa, disposto a concedere l’immunità penale e un cospicuo sconto sull’affitto annuo dello stabilimento e a discutere sul numero di operai da mettere in cassa integrazione, magari non 5.000 ma per qualche migliaio si può vedere; è chiaro, a questo punto, che per i 3.000 operai non assunti da ArcelorMittal con l’accordo del 6 settembre 2018 non esiste più alcuna possibilità di rientro. I sindacati facendo la voce grossa hanno reclamato il reciproco rispetto dei patti, accettando il ripristino dello scudo penale e dichiarandosi pronti a sedersi intorno a un tavolo con i Mittal e discutere come procedere, perché questa volta più che in altre occasioni hanno paura di essere scavalcati da una rivolta operaia. Nello spegnere la rabbia operaia hanno lunga esperienza, sono maestri. A patto che gli operai di Taranto glielo permettano ancora una volta.
L.R.

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