LA CASSAZIONE NON SI SMENTISCE

Dicembre 2013: 7 operai bruciano vivi nell'incendio del laboratorio in cui lavorano, a Prato. Inizia la trafila processuale per i due proprietari italiani dell'immobile e per i padroni cinesi dell'azienda. Accusati di omicidio colposo plurimo e di incendio colposo, in prima istanza hanno miti condanne a 6 – 8 anni di reclusione. Gli imputati fanno ricorso, il tribunale d’appello conferma le condanne riducendole un poco. Ma la cassazione alla fine, il 24 maggio di quest’anno, annulla le condanne per i due italiani e un cinese. Le altre due cinesi nel frattempo hanno avuto modo di rientrare in Cina e […]
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Dicembre 2013: 7 operai bruciano vivi nell'incendio del laboratorio in cui lavorano, a Prato.
Inizia la trafila processuale per i due proprietari italiani dell'immobile e per i padroni cinesi dell'azienda.
Accusati di omicidio colposo plurimo e di incendio colposo, in prima istanza hanno miti condanne a 6 – 8 anni di reclusione.

Gli imputati fanno ricorso, il tribunale d’appello conferma le condanne riducendole un poco. Ma la cassazione alla fine, il 24 maggio di quest’anno, annulla le condanne per i due italiani e un cinese. Le altre due cinesi nel frattempo hanno avuto modo di rientrare in Cina e far perdere le loro tracce.

Ancora una volta lo sfruttamento del lavoro salariato si spinge all’estremo e consuma anche la vita degli operai con una morte orrenda.
Ancora una volta il sistema giuridico copre lo sfruttamento e l'assassinio degli operai nascondendo la realtà dietro regole e codici: le vittime non sono considerate, la maestà e la gloria della legge in pratica servono solo a favorire e scagionare personaggi che staranno sghignazzando per aver evitato la galera e che preparano nuovo imprese, di sfruttamento.

Non c'è pace nè giustizia per i sette operai cinesi, per i quattro operai italiani della Lamina, per i moltissimi che sono morti d'amianto. Per i moltissimi che cadono ogni giorno. Il loro destino sbeffeggiato da processi che di fatto danno loro torto!

Le nostre vite non sono tenute in considerazione. Ma dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro, non si alzano voci di protesta: si va al macello in silenzio. E con il nostro silenzio i padroni fanno sempre peggio.

Certo è difficile reagire: siamo ricattati perché abbiamo bisogno di un salario; non abbiamo sindacati nè enti pubblici che ci difendano, anzi; le nuove leggi sulla sicurezza e ordine pubblico rendono più difficile protestare.

Ma non abbiamo alternativa, o restiamo in questo tiro al bersaglio a fare da piccioni o cominciamo a pensare a come organizzare fermate per ottenere interventi di messa in sicurezza dove lavoriamo.

Sfruttamento criminale o le nostre vite.

M.B.

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