LA POLITICA DEL FERRO E DEL FUOCO

I gilets jaunes fondano un nuovo modo di fare politica nella lotta di strada, bisogna scrollarsi di dosso anni di passerelle elettorali, di rappresentanze parlamentari compromesse, di arrivisti politici Ingrid Levavasseur è una signora di provincia che fa l’infermiera in una città della Normandia, ha un lavoro pagato al minimo che gli permette con fatica di arrivare a fine mese, due figli da allevare da sola perché divorziata, parla un francese corretto, ha dichiarato di non seguire particolarmente la politica e di aver votato Macron alle ultime elezioni, era salita alla ribalta come una delle prime portavoce del movimento. […]
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I gilets jaunes fondano un nuovo modo di fare politica nella lotta di strada, bisogna scrollarsi di dosso anni di passerelle elettorali, di rappresentanze parlamentari compromesse, di arrivisti politici

Ingrid Levavasseur è una signora di provincia che fa l’infermiera in una città della Normandia, ha un lavoro pagato al minimo che gli permette con fatica di arrivare a fine mese, due figli da allevare da sola perché divorziata, parla un francese corretto, ha dichiarato di non seguire particolarmente la politica e di aver votato Macron alle ultime elezioni, era salita alla ribalta come una delle prime portavoce del movimento.

Non ha idee di rivolta da propugnare e le poche e confuse idee che ha sono un concentrato di banalità sconcertanti: il suo ruolo “non sarà quello di prendere decisioni ma di assicurare che le scelte dei cittadini vengano rispettate”. Banalità che i media francesi hanno preso al volo per farne una dei principali protagonisti della protesta dei gilets jaunes. Un’operazione, quella delle TV francesi, confezionata ad arte, buona per chi accetta che tutto quello che passa davanti allo schermo sia vero, nello sforzo di preparare il terreno ad un partito organizzato che tolga tutto il potenziale ribelle alla protesta dei gilets jaunes.

Per questo motivo la signora in questione è diventata la capolista dei “Ralliement d’initiative citoyenne”, assieme ad altri 10 individui: manager, giuristi, contabili ma anche autisti e casalinghe, un accozzaglia di professioni rappresentanti una parte dei gilets jaunes e presentati come possibili candidati alle elezioni europee.

La risposta della parte più combattiva e risoluta del movimento dei gilets jaunes, a questa signora ed a quanti la sostengono non si è fatta attendere. Come nello scorso mese di dicembre avevano già “mandato a casa” gli autoproclamatisi moderati per il dialogo, “portavoce di una rabbia costruttiva” e firmatari della lettera che avevano “offerto al governo una via d’uscita alla crisi” (Benjamin Cauchy, Jacline Mouraud, Cédric Guémy), oggi hanno fatto la stessa cosa con Ingrid Levavasseur, con Christophe Chalençon e con quanti vorrebbero incanalare la rabbia della piazza in partito politico tradizionale che si presenti alle elezioni, smontando la lotta. La Levavasseur e Chalençon erano i due rappresentanti che a proprio nome avevano incontrato, all’inizio di febbraio, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, negandogli però ogni possibile alleanza tra loro ed il movimento dei cinque stelle.

I rappresentanti “dei liberi gilets gialli”, come meschinamente li ha chiamati il capo dei cinque stelle, nel tentativo di avvalorare la differenza tra loro e gli “antidemocratici devastatori”, incontrando proprio i due cialtroni stellati avevano solo rimediato una sonora scomunica da parte di tutto il movimento dei gilets jaunes

Pronta è stata anche la risposta di uno dei leader della protesta, Eric Drouet, un camionista di 33 anni arrestato più volte, che ha contestato con una frase lapidaria la candidatura di Ingrid Levavasseur al parlamento europeo con il RIC: “Voter du Gilets jaunes, c’est voter Macron” (Votare i gilet gialli [il Ralliement d’initiative citoyenne, ndr] è votare per Macron).

Ma la reazione più decisa alla possibilità che il movimento si concretizzi in un partito e più specificatamente nel Ralliement d’initiative citoyenne (RIC), è venuta direttamente dalle manifestazioni di piazza di Parigi. Dalla parte più combattiva, quella che regge gli scontri con la polizia, quella che tutti i sabati, dal mese di novembre fino ad ora, sfila per le vie di Parigi mettendo sottosopra gli eleganti Boulevards e saccheggiando le raffinate boutique del centro cittadino, scontrandosi con la polizia in assetto di guerra.

Quella piazza ha decisamente stabilito che il proprio nemico è Macron.

Quella piazza ha deciso senza tentennamenti il principio di accettare solo ed esclusivamente che Macron ed il suo esecutivo vadano a casa definitivamente.

Quella piazza ha deciso letteralmente di buttare fuori dal corteo Ingrid Levavasseur e quanti, come lei, pensano di trasformare la protesta in una passerella elettorale a beneficio di chi vuole intraprendere una carriera politica.

I gilets jaunes hanno ancora una volta dimostrato che la piazza è quella che conta e con cui si deve fare i conti, e che tutte le sceneggiate elettorali hanno il solo scopo di garantire a qualcuno, sulla pelle di chi la lotta la fa concretamente, il proprio comodo posticino parlamentare.

Quella piazza sta fondando un nuovo modello di confronto politico che esce dal classico sistema di intermediazione partitica. Per ora ha spezzato la logica della delega alla trattativa, affermando una politica nuova che si basa sulla lotta di strada; nessuno è delegato a fare qualsiasi trattativa e nessuno può rappresentare le istanze del movimento, nè tanto meno presentarsi come partito politico parlamentare per nome e per conto dei gilets jaunes.

Quella piazza ha tutte le ragioni e tutti i diritti di continuare la propria lotta per i propri interessi.

D.C.

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