Sindacalisti venduti

In una operazione di polizia contro il caporalato a Latina si scopre che partecipano allo sfruttamento degli schiavi anche un sindacalista e un ispettore del lavoro. Non sono casi isolati, sono la norma.     Abbiamo per anni scritto di sindacalisti venduti, facendoci, fra i sindacalisti, tanti risentiti nemici. Per noi che in fabbrica ci stiamo e ci siamo stati, la maggioranza dei sindacalisti sono ed erano compromessi col padrone, scambiano privilegi con la sottomissione degli operai alle necessita padronali. I sindacalisti operai, gente che si espone in prima fila in ogni lotta, vengono ricambiati con discriminazioni e licenziamenti. […]
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In una operazione di polizia contro il caporalato a Latina si scopre che partecipano allo sfruttamento degli schiavi anche un sindacalista e un ispettore del lavoro. Non sono casi isolati, sono la norma.

 

 

Abbiamo per anni scritto di sindacalisti venduti, facendoci, fra i sindacalisti, tanti risentiti nemici. Per noi che in fabbrica ci stiamo e ci siamo stati, la maggioranza dei sindacalisti sono ed erano compromessi col padrone, scambiano privilegi con la sottomissione degli operai alle necessita padronali. I sindacalisti operai, gente che si espone in prima fila in ogni lotta, vengono ricambiati con discriminazioni e licenziamenti. Sono innumerevoli le volte che, con oscuri patti sottobanco fra organizzazioni sindacali territoriali e padroni, i sindacalisti scomodi sono stati isolati, licenziati, fatti fuori.

Abbiamo sempre messo in guardia gli operai sull’operato degli ispettori del lavoro, li abbiamo visti all’opera nell’avvisare “l’imprenditore” prima di fare la visita di controllo in modo da dargli il tempo per mettere le cose a posto. Li abbiamo visti entrare negli uffici della direzione a sentire le ragioni del padrone senza prima ascoltare direttamente gli operai. Nella migliore delle ipotesi si spingono a comminare qualche multa di poche centinaia di euro, di sanzionare inadempienze marginali, il cartello di pericolo non a norma in un capannone dove l’ambiente è saturo di fumo delle saldatrici automatiche. Li abbiamo visti stilare rapporti dove tutto è in ordine, sulla pelle degli operai. E’ così tutto in ordine che muoiono sul lavoro quasi quattro operai al giorno.

Sono osservazioni generiche e generali finché un bel giorno di questo mese, il 16 gennaio del 2019, viene in luce una realtà che conferma tutti i nostri giudizi. Nel corso di un’operazione di polizia contro il caporalato, in provincia di Latina, si manifesta il sodalizio che è alla base dei rapporti di lavoro nelle campagne e non solo. Il padrone, che sta nell’ombra, non viene mai citato con nome e cognome anche se è lui che muove tutto, è lui che paga ogni figura del dramma. Poi vengono i suoi diretti servi che fanno lavorare gli operai con la frusta, di seguito il sindacalista venduto della FAI-CISL che tiene gli operai al guinzaglio; il funzionario dell’ispettorato del lavoro non manca, certifica che tutto è a posto ed infine ci vuole il dipendente pubblico del Comune che, nel caso specifico al quale ci riferiamo, interviene sugli operai migranti ricattandoli con i permessi di soggiorno. Tutto per permettere al padrone di avere a disposizione schiavi per 3 o 4 euro all’ora da far lavorare nei campi.

Subito interverrà l’altro sindacalista o l’altro ispettore del lavoro sostenendo che si tratta di casi isolati, non dappertutto è così e poi c’è l’intervento dell’autorità giudiziaria che sgomina queste bande di “sfruttatori schiavisti”. Questa è la grande falsità che copre la realtà di innumerevoli bande che operano allo stesso modo ed in tutto il famoso mondo del lavoro. Questi modi di agire sono un prodotto sociale, di una socialità mediata dal mercato dove degli esseri umani, per sopravvivere, devono vendere ad un padrone le proprie braccia. I diversi gradi di sviluppo sociale, di controllo sui rapporti di lavoro sono, è vero, differenti . In alcuni paesi sono più stringenti, in altri più approssimati. In Italia buona parte del capitalismo agrario, di quello industriale piccolo e artigianale svolgono la loro attività ai limiti della legalità. Ogni intervento dell’autorità pubblica è denunciato come un’intromissione burocratica, se ne è talmente convinta la stessa autorità che quasi sempre sceglie di lasciar correre, lasciar fare. Finché la punta dell’iceberg non si manifesta in modo così evidente che bisogna intervenire per non perdere la faccia. In nessun paese a sistema capitalistico, anche in quelli più sviluppati, il lavoro nero, clandestino è stato debellato: far soldi con lo sfruttamento operaio è la leva fondamentale e se il profitto si può realizzare aggirando le regole di ingaggio, siano aggirate. Quello che conta è il guadagno d’imprenditore.

Dove ci porta questo ragionamento? Se il sistema produce caporali e sindacalisti venduti, funzionari dello Stato corrotti e tutti al servizio dei padroni, gli unici che possono imporre un limite a questo stato di cose sono i diretti interessati, gli operai, neri e bianchi, migranti e non. Nessun altro lo farà per loro. Fra pochi giorni nessuno più parlerà delle denunce e degli arresti, del caporalato in provincia di Latina e tutto tornerà come prima. Con gli stessi personaggi, che agiranno solo con maggiore accortezza.

Organizzarsi e ribellarsi, facile a scriverlo, difficile da fare, ma non c’è altra soluzione, comunque le prime rivolte ci sono state a cominciare da Rosarno. Comunque la piaga dei sindacalisti venduti va affrontata, sono i più pericolosi, dovrebbero stare dalla parte degli operai e invece agiscono in favore dei nostri nemici, li conosciamo troppo bene e non c’è bisogno della magistratura per scoprirli. Sono loro che, in accordo col padrone, limitano ogni nostro movimento, sconsigliano ogni lotta, ogni denuncia, ci ricattano con la paura. Non solo nei campi di pomodoro ma anche nelle fabbriche.

E.A.

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