Piano industriale FCA. La fine dei “garantiti”.

Dopodomani a Balocco, Marchionne presenterà il piano industriale della FCA per i prossimi anni. La stampa ci ha già anticipato, a grandi linee, quali saranno le decisioni del gruppo per l’Italia. Si produrranno solo macchine di fascia medio-alta come Alfa Romeo, Maserati e Jeep mentre le utilitarie e tutte le macchine di fascia bassa saranno trasferite all’estero o dismesse. La Panda da Pomigliano andrà in Polonia, Alfa Mito a Mirafiori e Punto a Melfi invece saranno dismesse. È chiaro da subito che gli stabilimenti e i gli operai presenti attualmente in Italia sono troppi per i livelli produttivi che […]
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Dopodomani a Balocco, Marchionne presenterà il piano industriale della FCA per i prossimi anni. La stampa ci ha già anticipato, a grandi linee, quali saranno le decisioni del gruppo per l’Italia. Si produrranno solo macchine di fascia medio-alta come Alfa Romeo, Maserati e Jeep mentre le utilitarie e tutte le macchine di fascia bassa saranno trasferite all’estero o dismesse. La Panda da Pomigliano andrà in Polonia, Alfa Mito a Mirafiori e Punto a Melfi invece saranno dismesse. È chiaro da subito che gli stabilimenti e i gli operai presenti attualmente in Italia sono troppi per i livelli produttivi che le nuove produzioni potranno garantire. È chiaro anche che dovremo aspettarci l’ennesimo processo di ristrutturazione con dismissioni di impianti e licenziamenti di operai. Attendiamo la presentazione del piano per un ragionamento più completo. Nell’attesa però vogliamo dare qualche spunto di riflessione su questo passaggio e le sue possibili evoluzioni.

Il piano industriale ce lo dobbiamo leggere noi operai e non farcelo raccontare. Ci può essere utile per chiarire quali sono gli interessi dei padroni e quali i nostri. Troveremo un documento pieno di numeri. Numeri che parlano di ricavi, profitti, quote di mercato, concorrenti, numero di dipendenti, unità produttive sparse per il mondo. Troveremo poi strategie, obiettivi, scelte tutte fatte in funzione di garantire la vittoria dell’azienda nella sfida del mercato, nel garantire i profitti per gli azionisti. Troveremo che tutte queste decisioni prese per il bene dell’azienda sono considerate razionali, “naturali”, “legittime”. Sono fatte per il bene della società e degli stessi lavoratori anche quando queste scelte possono avere dei risvolti dolorosi ma necessari, per il bene dell’azienda, come il licenziamento o il trasferimento della produzione per approfittare di costi della mano d’opera più bassi. Non si può far altrimenti per l’esistenza dell’azienda e del “loro vivere civile”. Anzi troveremo a sostegno di queste scelte, puramente economiche e fatte nell’interesse di pochi, citazioni di filosofi, scrittori, religiosi, scienziati di come l’azienda, l’economia incarnino lo “spirito umano”, la ricerca di opportunità, di “rendere possibile l’impossibile”, dare speranza, dando lavoro a chi viveva in povertà. Troveremo tutto questo, ma non troveremo da nessuna parte la nostra condizione reale di operai, di sfruttati che tutto questo rende possibile. Non troveremo che quei numeri, quei profitti sono stati possibili solo sottomettendoci ad un comando di fabbrica sempre più duro, con un’intensificazione dello sfruttamento che ha significato esuberi da un lato e limitazioni fisiche per chi veniva consumato sulle linee dall’altro (Anzi, per il padrone tutto questo si chiama WCM, l’eccellenza del processo produttivo!). Non troveremo i reparti confino buoni per gli RCL e gli operai combattivi, i licenziamenti politici, la legge del padrone che può tenere fuori dalla fabbrica gli operai di Pomigliano licenziati ma reintegrati dalla magistratura. In buona sostanza non troveremo la guerra sotterranea che combattiamo ogni giorno con il padrone. Il piano industriale per noi deve essere il documento del comando del padrone e della nostra sottomissione. E deve essere chiaro che non sarà dando mandato a trattare sul piano industriale ai soliti sindacati che non vedono l’ora di andarsi a sedere per nostro conto al tavolo delle trattative per poi svenderci che difenderemo i nostri interessi. Non possiamo affidarci di nuovo a quegli stessi sindacati che ci divisero e convinsero parte degli operai che se avessero accettato il piano aziendale di Marchionne, i nuovi ritmi del WCM, i trasferimenti forzati, senza protestare, avrebbero avuto la garanzia del posto e non avrebbero fatto la fine dell’altra metà dei loro compagni finiti in cassa integrazione e lasciati marcire nei reparti confino. E adesso? Adesso che anche i “garantiti”, dopo essere stati sfruttati senza limiti, non lo sono più perché non servono più al padrone? Possiamo ancora illuderci che questi sindacati difendano i nostri interessi? Cosi come non difenderemmo i nostri interessi se accettassimo di essere contrapposti, di fare la guerra agli operai degli altri paesi che “ci rubano il lavoro” come qualcun altro ci verrà a dire. E neanche se accettassimo di sostenere i padroni italiani o fantomatiche nazionalizzazioni per salvaguardare la produzione in Italia che ci salveremmo la pelle. Abbiamo un solo modo per fermare il padrone, la forza. E abbiamo solo un modo per avere forza. Dobbiamo fare in proprio, unirci in quanto operai sui i nostri interessi collettivi senza farci dividere in sigle sindacali e politiche da chi ci vuole al suo carro per difendere i propri interessi. E unirci anche con gli operai stranieri con cui il padrone ci mette in concorrenza. Solo cosi può partire una vera lotta operaia contro il padrone.

“Operai di tutti i paesi unitevi!”

P.S.

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