L’Istat si era sbagliata e corregge i conti

Redazione di Operai Contro, avete ragione l’ISTAT è al servizio del governo Renzi. Gli uomini dell’ISTAT sono tanto sicuri della benevolenza del padrone che non hanno problemi a dire di aver sbagliato i conti. Il governo regala milioni di euro ogni anno a gente che non sa nemmeno fare i conti Un amico DALLA REPUBBLICA L’Italia fatica a imboccare con decisione la via della ripresa, anche perché alle spalle ha una crisi che – sebbene sia durata un anno di meno, come hanno mostrato i dati odierni dell’Istat – ne ha minato terribilmente il tessuto produttivo. La crisi, mostrano […]
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Redazione di Operai Contro,

avete ragione l’ISTAT è al servizio del governo Renzi. Gli uomini dell’ISTAT sono tanto sicuri della benevolenza del padrone che non hanno problemi a dire di aver sbagliato i conti.

Il governo regala milioni di euro ogni anno a gente che non sa nemmeno fare i conti

Un amico

DALLA REPUBBLICA

L’Italia fatica a imboccare con decisione la via della ripresa, anche perché alle spalle ha una crisi che – sebbene sia durata un anno di meno, come hanno mostrato i dati odierni dell’Istat – ne ha minato terribilmente il tessuto produttivo. La crisi, mostrano infatti alcuni dati contenuti nel rapporto dell’Unctad – la Conferenza dell’Onu su commercio e sviluppo – sull’andamento dell’economia mondiale, ha contratto di quasi un quarto (-22%) la produzione industriale italiana nel priodo 2007-2016.

Una batosta che non ha eguali rispetto a quanto avvenuto nelle altre economie europee con le quali il Belpaese compete: fatta 100 la produzione industriale italiana nel 2010, nel primo trimestre del 2007 l’Italia registrava quota 118 e nel primo trimestre di quest’anno è precipitata a quota 92. Si tratta – bisogna rilevare – di un livello che si ripete dal primo trimestre del 2013, a indicare che dopo i contraccolpi della crisi finanziaria che si è avvitata sull’economia reale, il Paese è entrato in una fase di lunga stagnazione.

Come si diceva, è diverso il panorama altrove in Europa: sempre secondo i dati messi in evidenza dall’Agi e fatto 100 il dato della produzione industriale nel 2010, la Germania si ritrovava a quota 104 nel primo trimestre del 2007 e nel primo trimestre del 2016 è riuscita a superare quel livello, portandosi a quota 109. Se a inizio 2007 La Francia era invece a quota 113, adesso si trova al livello di 101: l’industria transalpina ha almeno recuperato le posizioni del 2010, anche se ancora non ha riassorbito tutti i contraccolpi della recessione. Discorso più simile all’Italia, invece, per la Spagna: secondo i dati dell’Unctad, se nel 2007 la produzione industriale iberica si prendeva un 127 in “pagella”, adesso è ancora ferma a quota 95, ma almeno in miglioramento dai minimi toccati nel 2013.

Non solo sul fronte della produzione, ma anche per gli investimenti l’Italia è ben lontana dai vicini europei: dal 2007 al 2016 sono crollati di oltre cinque punti nel Belpaese: nel primo trimestre 2007 in Italia si fecero investimenti pari al 22% del Pil, nel primo periodo di quest’anno sono scesi al 16,5% del Prodotto. Il crollo ha accelerato dal 2011 in poi, ma Germania e Francia hanno tenuto meglio. A Parigi e dintorni si è passati dal 23% del Pil (2007) al 21,8% (2016), a Berlino sono rimasti intorno al 20%.

La ricerca richiama una delle urgenze sottolineate nel rapporto di previsione che Prometeia ha appena dato alle stampe, nel quale la società di consulenza e ricerca economica ha tagliato le prospettive di crescita del Pil sul 2016 (da +0,8 a +0,7%) e sul 2017 (da +0,9 a +0,8%). Gli economisti, ricalcando quanto sottolineato dall’Ocse nei giorni scorsi, mettono in evidenza il problema “fondamentale” per l’economia italiana: come so­stenere la crescita della domanda, con risorse fiscali scarse, senza dimentica­re di rilanciare la crescita nel lungo periodo. “In altre parole, come uscire dalla trappola della crescita economica senza produttività“. Un esempio di quanto accade è dato dal mercato del lavoro: “La strate­gia” del governo in tal senso “è certamente condivisibile: rilanciare l’occupazione con una misura temporanea (gli sgravi contributivi sui nuovi assunti) per spingere la crescita, asso­ciandovi una riforma strutturale (il Jobs Act), che ha bisogno di tempo per esplicare i suoi effetti positivi, ma che potrà innalzare il prodotto potenziale. Se la scommessa verrà vinta, il prezzo paga­to in termini di riduzione della produttività apparente del lavoro che stiamo osservando potrà essere compensato da un suo innalzamento strutturale”. Secondo gli osservatori, anche in economie più solide come quella Usa il nodo per il medio-lungo termine rischia di essere la produttività.

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