La mia vita al fianco di una madre disabile: diario di un viaggio attraverso l’ingiustizia

Redazione di Operai Contro, vi invito a pubblicare questo articolo della Repubblica di Emmanuela Audisio. Anche se in parte, è la descrizione delle ingiustizie che deve sopportare un disabile. Non solo i disabili in carrozzella, ma anche i disabili con bastone. Renzi e tutti i governi che lo hanno preceduto non hanno fatto niente. Si è parlato tanto dell’Expo, ma provate a salire o scendere da un autobus a Milano. Luigi Sciagura VAI AL BAR, in quelli nuovi, grandi, appena ristrutturati. Il gradino è alto, troppo. Chiedi: scusi, ma visto che avete rinnovato, dov’è la pedana? Risposta: l’architetto ha […]
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Redazione di Operai Contro,

vi invito a pubblicare questo articolo della Repubblica di Emmanuela Audisio. Anche se in parte, è la descrizione delle ingiustizie che deve sopportare un disabile. Non solo i disabili in carrozzella, ma anche i disabili con bastone. Renzi e tutti i governi che lo hanno preceduto non hanno fatto niente. Si è parlato tanto dell’Expo, ma provate a salire o scendere da un autobus a Milano.

Luigi Sciagura

VAI AL BAR, in quelli nuovi, grandi, appena ristrutturati. Il gradino è alto, troppo. Chiedi: scusi, ma visto che avete rinnovato, dov’è la pedana? Risposta: l’architetto ha detto che rovinava l’estetica. Un altro: la faremo. Quando? Tra un po’. Ripassi l’anno dopo: la pedana? La stiamo studiando. Non è mica la teoria della relatività. Silenzio.Devi andare all’aeroporto a Fiumicino. Chiami la compagnia dei taxi la sera prima: vorrei prenotare una macchina con pedana automatica. Ti dicono no: “Abbiamo pochissime auto attrezzate, non possiamo tenerne impegnata una”. Rispondi: accompagno una disabile, ho l’aereo che parte, voglio essere sicura di poter raggiungere l’aeroporto. Niente da fare: “Richiami domattina, magari ha fortuna e trova la macchina giusta”. Già, un disabile ha bisogno di fortuna. A Londra c’è il Metrocab: taxi tradizionale, ma con il tettino più alto e con due piccole guide pieghevoli su cui puoi far scorrere le ruote e spingere la carrozzella con la persona dentro la macchina.

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Ti devi muovere in treno? Hai bisogno di fare la carta blu. Giusto, ma la stazione per un disabile è spesso irraggiungibile. Porti il suo documento e la firma. Ti dicono: “No, deve firmare qui davanti a noi. Altrimenti deve andare ad Ancona”. Chiedi: c’è uno sportello dedicato? No, è la risposta. Ti prepari per il viaggio ad Ancona. Piove e il parcheggio handicap è occupato da un camion (chiuso e senza biglietto) che sta facendo lavori di ristrutturazione da qualche parte. Rimandi il viaggio e fotografi il camion. Il giorno dopo la stessa cosa. Vai in cerca del guidatore. Finalmente lo trovi, gli dici: deve spostare il camion. Prima risposta: “Io lavoro”. Sì, ma non occupando l’handicap. Seconda risposta: “Sono qui da 5 minuti”. Gli mostri le foto con data: lei ieri è stato qui quattro ore e mezzo e oggi tre. Terza risposta. “Finisco e lo sposto”. No, lei lo sposta subito, perché se avesse un figlio o una moglie disabile qui non avrebbe mai parcheggiato. Minacci di chiamare i vigili (che hanno altro da fare). Ti guarda come se fossi Hitler. Perché non si ritira la patente a chi sosta nell’handicap e perché i Comuni lasciano che un locale apra senza pedana?

Finalmente parti, ma ti devi fermare a un distributore, su un tratto autostradale, per andare alla toilette. Piove. Controlli che il bagno handicap sia a posto. È chiuso a chiave. Entri nel bar, aspetti il tuo turno e chiedi alla cassiera chi abbia le chiavi. “Non lo so, chieda a Mario”. E dov’è Mario? “Al distributore”. Fai il giro della pompe di benzina: trovi Luigi, Andrea, Michele. “Mario è andato a farsi un caffè”. Ritorni al bar. Mario è infastidito, possibile che non riesca a bersi un caffè in pace? Ti dà le chiavi. “Me le riporti”. Certo, non colleziono chiavi. Apri la porta del bagno e sorpresa: è un deposito del bar. Dentro ci sono pacchi di carta igienica, casse di bibite, patatine, caramelle, lattine. Anche sopra il water. Sei sola, sposti tutto, fai un varco dove possa passare la carrozzella. È passata mezz’ora. Piove sempre, finalmente porti tua madre in bagno. Seconda sorpresa: la porta si apre all’interno. Quindi le ruote della carrozzella tengono aperta la porta. Ah, gli architetti. La devi fare davanti agli occhi di tutti. Lasci tua madre dentro e ti apposti fuori. “Per cortesia, non entrate, vi spiego dopo”. Sembri una drogata che protegge un amico in crisi di astinenza.

I disabili potrebbero spesso fare da soli. Se la società lo permettesse. Ma in Italia no, devono dipendere dal buon cuore e dalla generosità degli altri. Sono gli altri che devono sentirsi buoni, non il disabile autonomo. Quando a Torino 2006 arrivò a Caselle il sindaco (in carrozzella) di Vancouver, si mise a urlare perché per farlo scendere dall’aereo chi gli metteva una mano qua, chi là. Per aiuto, s’intende. Ma un disabile non vuole essere toccato, preferisce essere indipendente.

Volete andare in piscina? Vi tocca ogni anno la visita medica che certifica che non camminate. Fate presente che vi siete rotto il midollo spinale nel ’58, siete paraplegica da più di mezzo secolo, avete un percorso medico certificato, non venite da Marte. Il dottore vi risponde: i miracoli possono sempre succedere. Ah sì? Vi viene voglia di prendere un machete, di tagliargli la testa e dire: ricrescerà, aspetti il miracolo. Se chiedete due misere piscine a settimana il dottore vi dirà che vostra madre è fissata con il nuoto (in effetti era stata selezionata per Roma ’60) e che ci vuole una visita con lo psicologo. Sì, ma a lui.

Poi c’è il problema del trasporto. Il vostro medico deve richiederlo con un modulo che spesso sbaglia: non deve scrivere autoambulanza, ma trasporto idoneo (ha la pedana elettrica). Portate e riportate il modulo. Se avete l’accordo con la Croce verde, che si deve occupare di altri malati, farà arrivare vostra madre in piscina con leggero anticipo (7,45 al posto delle 8), ma la custode la lascerà fuori dicendo che non si fanno i propri comodi e non si arriva prima. Come se un disabile potesse scegliere gli orari della propria vita. In Finlandia, forse.

Se vivete in una cittadina di mare, nessuno stabilimento ha la pedana lunga che arriva fino alla riva. Come fare per avvicinare la carrozzella all’acqua? Un signore in Francia per aiutare la moglie ne ha ideata una in alluminio con delle ruote di gomma. L’ingegno privato davanti alla necessità fa miracoli. Oggi gli stabilimenti possono richiedere all’Asl una specie di lettiga con ruote, ma ce n’è una per tutti. La dovete difendere come se fosse Fort Alamo. Oppure sentirvi dire dal dirigente sanitario locale che lui un’idea per mettere vostra madre in acqua ce l’avrebbe. Imbracarla, come si fa con le barche, e gettarla nel porto. Magnifico, rispondete, e perché non vararla con una bottiglia di champagne? Il medico di famiglia vi fa i complimenti: sua madre vuole vivere. Sì rispondete, ma è la società che la fa morire. Hanno ragione nella loro rozzezza quelli del distributore: i disabili in Italia sono materiale in deposito.

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