NATUZZI: LA STORIA INFINITA PRIMA DEI LICENZIAMENTI DI 330 OPERAI

Redazione di Operai Contro, il padrone della Natuzzi è abituato a prendere soldi e licenziare operai. Al solito i sindacalisti al servizio di Natuzzi vogliono il tavolo. Le balle sui corsi sono finite i contratti di solidarietà a spese degli operai vanno avanti. Un operaio natuzzi dalla Gazzett dalla gazzettadelmezzogiorno di GIANLUIGI DE VITO Altre due date. Martedì 6 e venerdì 9 settembre. Appuntamento di nuovo a Roma, al ministero dello Sviluppo economico: è l’agenda dell’ultima spiaggia per i 330 dipendenti dell’impero Natuzzi fracassato dalla crisi. S’annuncia un autunno rovente, dopo un luglio di fuoco. Seduta ai tavoli romani, la […]
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Redazione di Operai Contro,

il padrone della Natuzzi è abituato a prendere soldi e licenziare operai. Al solito i sindacalisti al servizio di Natuzzi vogliono il tavolo. Le balle sui corsi sono finite i contratti di solidarietà a spese degli operai vanno avanti.

Un operaio natuzzi

dalla Gazzett

dalla gazzettadelmezzogiorno

di GIANLUIGI DE VITO

Altre due date. Martedì 6 e venerdì 9 settembre. Appuntamento di nuovo a Roma, al ministero dello Sviluppo economico: è l’agenda dell’ultima spiaggia per i 330 dipendenti dell’impero Natuzzi fracassato dalla crisi.
S’annuncia un autunno rovente, dopo un luglio di fuoco. Seduta ai tavoli romani, la Natuzzi il 22 luglio ha sbattutto i pugni, confermando quanto già detto settimane prima, nelle stanze pugliesi. E cioè: non c’è nessuna ciambella di salvataggio che ricollochi nelle linee di produzione i 330 in cassa integrazione. Le commesse non bastano più nemmeno per i 1980 in attività – che pure sono in regime di «solidarietà» (meno ore per dare stipendio a tutti), figuriamoci per i 330.
Sicché quando a metà del prossimo ottobre scadrà l’anno di cassa integrazione, i 330 slitteranno in mobilità perché l’azienda ha già avviato le procedure per far cessare il rapporto. Dal paradiso all’inferno, senza alternativa?
Sì, a quanto pare. Perché si è arrivati al muro contro muro nella prima fase delle trattative. L’azienda non ha voluto sentire ragione, i sindacati non rimangono all’angolo. E la vertenza, visto il mancato accordo, si è trasferita a Roma, come da prassi, nel tentativo che la mediazione di governo eviti il peggio.

I margini di soluzione appaiono risicati e negli ultimi giorni, tra gli operai in lista d’uscita, la tensione è salita. Perché, fra l’altro, riferisce uno dei 330, non c’è più ombra nemmeno dei corsi di riqualificazione ai quali la Natuzzi ha sottoposto, via via, i 330. Racconta, Domenico Caporusso, di Acquaviva, da più di dieci anni in cassa integrazione a zero ore (significa che non viene mai integrato nella produzione): «Ho frequentato di tutto, dai corsi per diventare operatore del 115 e del 118 a quelli per la certificazione Iso. Ma nelle ultime settimane, più nulla. L’azienda mi ha proposto un incentivo economico in cambio delle dimissioni. Mi chiedo allora che senso ha propormi l’incentivo se vuole licenziare? Ci sono cose che non mi tornano. Come non riesco a capire perché non è mai stato possibile far ruotare i 330 nella produzione, mentre per i 1980 si continua a far fare la solidarietà a cinque ore. Basterebbe ridurre a quattro le ore e tutti i 330 lavorerebbero. Invece l’azienda non ha garantito la turnazione della cassa integrazione e alcuni operai che per questo hanno denunciato la Natuzzi hanno già ottenuto sentenze di risarcimento favorevoli».

Il braccio di ferro s’annuncia duro. I sindacati continuano a ribadire che il licenziamento non è la soluzione e che si debbano percorrere strade alternative per riconquistare fette di mercato possibili. L’analisi di Silvano Penna, segretario generale regionale della Fillea Cgil, è questa: «Nell’incontro del 22 luglio a Roma abbiamo ribadito la netta contrarietà al licenziamento ed abbiamo chiesto di elaborare un piano industriale che preveda la ricollocazione al lavoro di tutti i cassintegrati reintroducendo in azienda le lavorazioni oggi terzializzate, come la lavorazione dei fusti in legno, la lavorazione della gomma per imbottitura e la realizzazione dei complementi di arredo». Rimane il fatto che a ottobre scade la cassa integrazione. La richiesta è quella di una deroga «attingendo i fondi dalla Regione Puglia e utilizzandoli per la formazione», aggiunge Penna.
Ma il male va curato non certo con i cerotti. Le terapie d’urto, a giudizio di Penna, sono altre: «La Natuzzi deve comunque implementere le proprie produzioni diversificando e innovando fortemente il prodotto ed il processo prodittivo. Discuteremo anche di questo nella sede ministeriale il 6 e 9 settembre. Per quanto attiene la procedura di licenziamento avviato abbiamo il 2 agosto fatto un primo incontro nella sede tarantina di Confindustria e rinviato la discussione a dopo gli incontri di settembre al ministero. Ritengo che con l’intervento dei ministeri e delle Regioni Puglia e Basilicata la Natuzzi abbia le condizioni per reintegrare tutti i lavoratori. Non siamo disponibili ad alcun accordo che non preveda come condizione irrinunciabile la ricollocazione di tutti i cassintegrati».

Gli spiragli non mancano. L’azienda ha serrato le file per riportare nella Murgia parte delle produzioni realizzate altrove. Ma il processo è lungo. E passa anche attraverso l’ammodernamento degli stabilimenti di Matera, Laterza e Santeramo. Il minuto-lavoro è sceso da 1euro e 20 a 50 centesimi. Ma non può essere questo l’unico fronte di intervento, ribadisce Penna. Aggiunge: «Puntare sul total leaving è giusto, ma la Natuzzi non può pensare al top di gamma. Ha una dimensione industriale, non artigianale, deve posizionarsi meglio sul mercato medio basso».

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