INDIA: RIBELLARSI E’ GIUSTO

Redazione di Operai contro, dopo i grandi scioperi operai in India,le caste più basse si ribellano Un lettore In India sta iniziando una lenta rivoluzione senza precedenti. È la rivolta degli straccioni, degli spazzini, degli spala-fogne, degli ultimi e bistrattati cittadini della più popolosa democrazia del mondo. Per la prima volta in molti decenni, i Dalit, membri della casta più bassa nella gerarchia induista, si stanno ribellando alle violenze di cui sono da sempre vittime. In risposta alla recente fustigazione pubblica di quattro addetti alla concia del pellame, è infatti scattato uno sciopero di migliaia di Dalit che sono […]
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Redazione di Operai contro,

dopo i grandi scioperi operai in India,le caste più basse si ribellano

Un lettore

In India sta iniziando una lenta rivoluzione senza precedenti. È la rivolta degli straccioni, degli spazzini, degli spala-fogne, degli ultimi e bistrattati cittadini della più popolosa democrazia del mondo. Per la prima volta in molti decenni, i Dalit, membri della casta più bassa nella gerarchia induista, si stanno ribellando alle violenze di cui sono da sempre vittime.

In risposta alla recente fustigazione pubblica di quattro addetti alla concia del pellame, è infatti scattato uno sciopero di migliaia di Dalit che sono accorsi a una manifestazione da dov’è partita una podyatra, una lunga marcia di protesta che attraverserà lo stato del Gujarat per arrivare nella Festa dell’Indipendenza indiana, il 15 agosto, al villaggio di Una, dov’è avvenuto il semi-linciaggio.

Com’è iniziata quest’ultima protesta? L’11 luglio un Suv nero con a bordo alcuni Gau Rakshaks, vigilantes che proteggono le vacche sacre, hanno catturato quattro giovani che scuoiavano le carcasse di alcuni bovini, accusandoli di avere ucciso le vacche per mangiarsele. Ma erano carcasse che erano state consegnate per essere spellate, hanno tentato di spiegarsi i Dalit. I Gau Rakshaks non gli hanno creduto, li hanno denudati e presi a bastonate con sbarre di ferro e pali di bambù.

Poi li hanno trascinati fino al villaggio, legati a un’auto e di nuovo frustati, picchiati, derisi per ore sotto gli occhi divertiti di qualche poliziotto. L’errore forse più grave per i torturatori è stato di mettere online il video della missione punitiva, per farsi belli. Subito, le comunità Dalit hanno fatto circolare il video, spedendoselo anche sui gruppi di Whatsapp. Quando i fondamentalisti indù hanno capito il danno, tentando d’eliminare le prove, era troppo tardi, il video era virale. La polizia è stata costretta a intervenire, a fare qualche arresto. Ma la furia e la rabbia dopo decenni, ma in realtà secoli, di soprusi è stata troppa. Più di 20 ragazzi Dalit hanno tentato un suicidio di protesta. Uno di essi è morto.

Un’altra risposta dei Dalit contro i vigilantes induisti che li assalgono e picchiano per il loro ruolo di conciari e addetti al macello di bovini è stata quello di gettare carcasse di vacche di fronte agli uffici pubblici, gridando: «La vacca sacra è vostra madre, fatele voi il funerale. Arrangiatevi!» In risposta, un parlamentare del partito fondamentalista al potere, il BJP, ha dichiarato: «Pieno sostegno a chi si assume la responsabilità di insegnare a qualche Dalit ribelle delle importanti lezioni». Come primo risultato, si è dovuto dimettere il governatore dello stato del Gujarat, anche lui del BJP.

«Vogliamo il porto d’armi! Vogliamo imparare le arti marziali! Ne abbiamo avuto abbastanza! Se ci tortureranno ancora, spezzeremo mani e gambe a questi sfruttatori delle caste più alte!», ha gridato l’avvocato Jignesh Mevani, leader del Comitato Dalit di Una contro le Atrocità (Udals) a più di cinquemila manifestanti accorsi ad Ahmedabad, capitale del Gujarat. Ma sono almeno 25mila i manifestanti mobilitati nelle piazze di tutto lo Stato dove fu governatore l’attuale primo ministro Narendra Modi che si trova ora ad affrontare la contraddizione tra le sue promesse di sviluppo economico e la politica di polarizzazione e spaccature sociali promossa dalla sua stessa ideologia indù fondamentalista.

«Nel “Gujarat esemplare”, – ha detto ironico Mevani, – sono state fatte 15.500 cause per atrocità contro di noi e i Dalit sono stati espulsi con la violenza da 55 villaggi. Perché Modi non parla di queste atrocità? Perché non ci porta la sua solidarietà?».

Le caste più basse non sono per niente abituate a protestare in questo modo, nel contesto remissivo e tollerante delle sistema dogmatico induista. «Ci vuole un fatalismo inimmaginabile per accettare questo livello di deprivazioni, difficoltà e umiliazioni per migliaia di anni. E mantenere questo sistema di caste richiede un callo emotivo disumano», ha protestato l’editorialista Mitali Saran sul «Business Standard».

Ai Dalit si sono unite anche le associazioni musulmane, categoria colpita dalla «caccia al carnivoro» da quando il fondamentalista Modi è al potere. A settembre, un musulmano la cui famiglia era accusata di mangiare manzo è stato linciato dalla folla. In marzo, due commercianti di bestiame sono stati linciati a Jharkhand.

«C’è un filone storico che vuole rivendicare la purezza, come l’Hindutva dei fondamentalisti», ha dichiarato a La Stampa lo storico Sunil Khilnani. «La diversità non è una minaccia, ci dà una forza strutturale di elasticità. Siamo una nazione bastarda. Questa è la nostra forza, non una debolezza». Convincere i «vigilantes delle vacche» dei fondamentalisti di Modi e le caste privilegiate dell’induismo non sarà facile.

 

*La Stampa (4/8/2016)

 
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