LA GUERRA SEGRETA DEI PADRONI ITALIANI

dal ilfattoquotidiano La guerra all’Isis l’Italia la fa ma non lo dice. Operazioni militari segrete condotte dalle forze speciali e decise dal governo all’insaputa del parlamento, missioni che ufficialmente non esistono e che quindi vanno categoricamente smentite fino alla loro conclusione, fino a quando non arriva il conferimento ufficiale di medaglie e onorificenze. È accaduto dieci anni fa per l’operazione “Sarissa” della Task Force 45 in Afghanistan, decisa e sempre negata dal governo Prodi. Sta accadendo oggi in Iraq e in Libia, dove truppe d’élite italiane partecipano da tempo ai combattimenti contro l’Isis. Partiamo dall’Iraq. Il coinvolgimento di truppe […]
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dal ilfattoquotidiano

La guerra all’Isis l’Italia la fa ma non lo dice. Operazioni militari segrete condotte dalle forze speciali e decise dal governo all’insaputa del parlamento, missioni che ufficialmente non esistono e che quindi vanno categoricamente smentite fino alla loro conclusione, fino a quando non arriva il conferimento ufficiale di medaglie e onorificenze. È accaduto dieci anni fa per l’operazione “Sarissa” della Task Force 45 in Afghanistan, decisa e sempre negata dal governo Prodi. Sta accadendo oggi in Iraq e in Libia, dove truppe d’élite italiane partecipano da tempo ai combattimenti contro l’Isis.

Partiamo dall’Iraq. Il coinvolgimento di truppe italiane nella guerra al Califfato nella provincia sunnita di Al-Anbar, oltre ad essere trapelato sulla stampa un anno fa a inizio missione (con inevitabile smentita dalla Difesa), è stato riportato lo scorso febbraio anche sul sito web ufficiale dei marines. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare in proposito, la Difesa – non potendo smentire anche gli americani – disse a marzo che la presenza nell’area aveva riguardato solo cinque uomini ed era terminata. Ad aprile però il sito dei marines confermava la presenza italiana. Ora il Fatto Quotidiano apprende da autorevoli fonti militari che in Al-Anbar è in corso ancora oggi un’azione delle forze speciali italiane. Si chiama operazione “Centuria” ed è condotta dalla Task Force 44, inizialmente basata su un’aliquota del 9° Reggimento d’assalto “Col Moschin”, poi affiancati, o avvicendati, dalle altre unità dipendenti dal Cofs (il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali del generale Nicola Zanelli) quindi gli incursori di Marina del Comsubin, quelli del 17° Stormo dell’Aeronautica e i Gis dei Carabinieri, solitamente supportati dai ricognitori del 185° Folgore e dai Ranger del 4° Alpini.

La partecipazione del Goi (Gruppo operativo incursori, alias Comsubin) è certa, altre fonti riferiscono la presenza di uomini di tutte le 4 unità del Cofs. Difficile dire con esattezza quale sia la consistenza numerica della TF-44: certamente non i 200 uomini della TF-45 afghana, ma si dovrebbe essere non di molto sotto ai cento che suggerisce il richiamo alla centuria romana. La base operativa della Task Force 44 è l’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah, teatro delle principali offensive anti-Isis degli ultimi mesi. Ed è qui che le forze speciali italiane, insieme a quelle australiane e ai marines, sono state impegnate al fianco dell’8ª Divisione dell’esercito iracheno con compiti di pianificazione, coordinamento e appoggio ai combattimenti. Una funzione che le forze regolari della Coalizione svolgono inside the wire, cioè all’interno della base, ma che per le unità speciali comporta anche attività outside the wire, cioè sul campo al fianco dei corpi d’élite iracheni.

L’operazione “Centuria”, inquadrata nell’operazione multinazionale a guida Usa Inherent Resolve, è cosa ben diversa sia dall’operazione italiana “Prima Parthica” per l’addestramento dell’esercito iracheno e dei peshmerga curdi, sia dalla missione della Brigata Friuli a protezione della diga di Mosul. È invece probabile che gli elicotteri italiani da attacco Mangusta e da trasporto Nh-90, schierati a Erbil in primavera per missioni Combat search and rescue, possano fornire supporto alle nostre forze speciali. Soprattutto se, conclusa anche la riconquista di Fallujah dopo quella di Ramadi, la TF-44 venisse ridislocata più a nord, nella base aera di Qayara, dove in vista dell’offensiva autunnale su Mosul stanno per arrivare 560 marines e forze speciali americane.

Veniamo all’altro fronte della guerra segreta all’Isis: la Libia. Dell’operazione italiana nell’ex colonia, autorizzata da Renzi lo scorso 10 febbraio con un decreto subito secretato, non si conosce ancora il nome in codice né i corpi speciali che vi partecipano. Si sa solo, in via del tutto ufficiosa, che si tratta di un piccolo distaccamento basato all’aeroporto militare di Misurata, che partecipa insieme alle forze speciali britanniche all’operazione “Banyoun Al Marsoos” (Struttura Solida) lanciata a maggio delle brigate misuratine e dalle guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran per riconquistare la roccaforte Isis di Sirte. I combattimenti hanno provocato pesanti perdite tra le forze filo-governative libiche, ufficialmente supportate dall’Italia solo con un ponte-aereo di soccorso medico. A fine aprile, quando fonti israeliane hanno riportato la notizia di soldati inglesi e italiani caduti in un’imboscata dell’Isis, la smentita del governo italiano è stata immediata: “Non ci sono soldati italiani che combattono in Libia”. Come non ci sono in Iraq. Come non c’erano in Afghanistan.

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