Contributo a Bellavita ed alla Assemblea pubblica di Roma del 11giugno 2016

Una nuova vittoria della Camusso, di Landini e di tutti quei dirigenti sindacali, strumenti, consapevoli o inconsapevoli, della sottomissione degli operai e di tutti i lavoratori ai padroni ed ai loro interessi. Da chi viene questa vittoria? Da quelli che si definiscono “incompatibili” e che dichiarano che lo spazio dentro la Cgil è chiuso e non resta altra strada che ritirarsi per un nuovo inizio? Una ritirata da parte di alcuni funzionari e delegati che lasciano la Fiom lasciando solo spazio a quello che è funzionale agli interessi del padrone: dividere ulteriormente gli operai, trasferendo una parte di essi […]
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Una nuova vittoria della Camusso, di Landini e di tutti quei dirigenti sindacali, strumenti, consapevoli o inconsapevoli, della sottomissione degli operai e di tutti i lavoratori ai padroni ed ai loro interessi.

Da chi viene questa vittoria? Da quelli che si definiscono “incompatibili” e che dichiarano che lo spazio dentro la Cgil è chiuso e non resta altra strada che ritirarsi per un nuovo inizio? Una ritirata da parte di alcuni funzionari e delegati che lasciano la Fiom lasciando solo spazio a quello che è funzionale agli interessi del padrone: dividere ulteriormente gli operai, trasferendo una parte di essi in un’altra parrocchia sindacale. Una ritirata che, per i dirigenti sindacali destituiti e posti di fronte alla prospettiva del ritorno in fabbrica, ha una sola spiegazione: “non ci date più posti come funzionari, come dirigenti nazionali e locali e noi andiamo a cercare questi posti da un’altra parte”.

Questa fuoriuscita divide gli operai, tanto è vero alcuni operai delegati Rsa rimarranno probabilmente in Fiom perché legati da cause legali, altri passeranno in qualche sindacatino alternativo, altri probabilmente si tireranno fuori perché questa scelta non è stata probabilmente discussa e condivisa.

Il sindacato non è un partito e non ci stancheremo mai di ripeterlo.

Il sindacato è un’organizzazione di massa dei venditori della forza lavoro, è il primo livello in cui si può esprimere l’unità operaia. Il controllo di questa organizzazione è un lungo braccio di ferro fra chi la gestisce come supermercato della forza lavoro, con le dovute attenzioni per chi questa merce deve comprare, attenzioni che in generale diventano svendite e sottomissione alle necessità delle controparti, e coloro, fra cui ci mettiamo anche noi, che sono convinti che si possa trattare sul prezzo e la modalità dell’uso della merce forza lavoro sapendo che il suo sfruttamento è la fonte del profitto e il suo utilizzo, qualunque sia il suo prezzo, produce ricchezza per il padrone che la impiega.

Noi sappiamo che la vendita della forza lavoro contiene in sé un nucleo di schiavitù che può essere superato alla sola condizione di non permettere più a nessuno la compravendita di questa forza.

In parole povere il sindacalismo dei borghesi si dà il compito di tenere in piedi il compratore: il padrone, e solo dopo viene la sopravvivenza degli operai, il sindacalismo operaio vuole la difesa degli interessi operai contro ed oltre la sopravvivenza del padrone. Vuole la fine del lavoro salariato.

Come si può pensare che qualcuno dei dirigenti sindacali di oggi dia spazio a tesi del genere?

Come si può raccontare che prima c’erano spazi per queste posizioni ed oggi non ci sono più?

Ci sono “stati spazi” nei gruppi dirigenti del sindacato per certe posizioni critiche ma con buone dosi di ambiguità, ci sono stati spazi attraverso la contrattazione di posti nei corridoi delle Confederazioni. Gli operai ribelli sono stati isolati fin da subito, esposti alla repressione del padrone nelle fabbriche ancora prima che facessero i primi passi di delegati sindacali.

Noi delegati e attivisti operai abbiamo pagato a nostre spese lo scoprire che i gruppi dirigenti sindacali erano e sono, nessuno la prenda come un’offesa personale, dei commercianti pronti a svendere le nostre braccia in cambio di piccoli e grandi privilegi.

Una piccola e media borghesia di bottegai che si ritaglia un ruolo firmando accordi di ogni genere e tipo sulla pelle di chi lavora.

Ma se non ci sono spazi, anzi mai stati che senso ha la nostra presenza nel sindacato Confederale?

Serve per conquistare con l’esperienza diretta delle lotte la maggioranza degli operai sulle nostre posizioni.

Serve per conquistare l’organizzazione sindacale, per rovesciare i gruppi dirigenti che la dirigono.

Non è possibile? Non ce lo faranno fare?

Non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno, la lotta e la militanza sindacale diretta degli operai produce e produrrà questa possibilità. Certo che se ogni volta che si accenna ad un minimo scontro con i gruppi dirigenti, appena questi ci tolgono una poltroncina o ci sospendono dall’organizzazione ce ne andiamo inorriditi per fondare una nuova parrocchia sindacale dove possiamo, lì sì, comandare senza ostacoli, il tentativo di sollevare gli operai contro i borghesi che gestiscono il sindacato è fallito in partenza.

La forza dei Landini, Camusso sta proprio nel riuscire di volta in volta ad epurare i sindacalisti operai, disperderli nelle diverse parrocchie, una in concorrenza dell’altra, e garantirsi così il controllo senza scosse dei sindacati operai più numerosi in Italia.

Bellavita ripercorre, sbagliando, lo stesso percorso. Senza volerlo fa gli interessi dei suoi avversari non certo quelli di chi vuole costruire un sindacalismo operaio trasversale a tutte le organizzazioni sindacali.

Non è più il caso di far proliferare nuove e più “pure organizzazioni sindacali” solo per dare ad ogni piccolo leader il suo piccolo posto dirigente.

Coalizzare e concentrare gli operai combattivi dove c’è la grande massa di operai, e da lì darsi un piano per un’azione comune contro dirigenti e funzionari compromessi con i padroni, per rendergli dura la vita, per mandarli a lavorare in fabbrica, per stabilire la regola che chi “inciucia” con il padrone non ha diritti ad avere un posto nel sindacato.

Il partito operaio.

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