Almaviva, ultimi 30 giorni per evitare 3 mila licenziamenti

Redazione di operai Contro, i lavoratori del call center Almaviva hanno respinto la proposta del governo e dei padroni  dei contratti di solidarietà. Già guadagniamo 500 euro al mese, con i contratti di solidarietà avremmo guadagnato meno di 300 euro al mese Un lavoratore dei call center Almaviva dalla Repubblica Cinquemila no su 5.815 lavoratori consultati. La proposta del governo per impedire 3mila licenziamenti decisi a Roma, Palermo e Napoli da Almaviva – il colosso dei call center con 13mila impiegati nelle 38 sedi italiane, 32 mila in 19 sedi estere – è stata sonoramente bocciata dalla maggioranza degli […]
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Redazione di operai Contro,

i lavoratori del call center Almaviva hanno respinto la proposta del governo e dei padroni  dei contratti di solidarietà.

Già guadagniamo 500 euro al mese, con i contratti di solidarietà avremmo guadagnato meno di 300 euro al mese

Un lavoratore dei call center Almaviva

dalla Repubblica

Cinquemila no su 5.815 lavoratori consultati. La proposta del governo per impedire 3mila licenziamenti decisi a Roma, Palermo e Napoli da Almaviva – il colosso dei call center con 13mila impiegati nelle 38 sedi italiane, 32 mila in 19 sedi estere – è stata sonoramente bocciata dalla maggioranza degli addetti. Con punte superiori al 90% anche nelle città per ora al riparo dal forte piano di ridimensionamento. La vertenza va avanti da mesi e ora, dopo la fumata nera espressa nelle urne, la crisi rischia di deflagrare. Sindacati e azienda hanno 30 giorni per trovare una soluzione, con la mediazione del ministero dello Sviluppo (al momento ancora privo di ministro, dopo l’uscita di Federica Guidi). Passato il mese, l’azienda può cominciare a spedire le raccomandate di licenziamento. Senza una svolta dunque, a partire da giugno ogni giorno e per quattro mesi può essere quello terribile della fine del lavoro.

Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di lavoratori a part-time da quattro ore che guadagnano 550-600 euro al mese per stare davanti a un pc con le cuffiette infilate a rispondere ai clienti di primarie aziende italiane. Come quelle pubbliche: Enel, Eni, Poste, Ferrovie, Equitalia, Inps, Comuni di Roma e Milano. E i colossi privati: Mediaset, Telecom, Sky, Vodafone, Wind, Fastweb, American Express. “Non sono stupito dalla bocciatura dei lavoratori”, racconta Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil. “La proposta del governo non dava alcun tipo di prospettiva futura ai lavoratori, ma si limitava a chiedere loro solo sacrifici: più solidarietà e meno guadagni”. E in effetti i dipendenti di Almaviva Contact hanno trovato sul tavolo contratti di solidarietà al 45% per la sede di Palermo e Roma (taglio del 45% delle ore lavorate, in pratica 10 giorni su 20 al mese per i part-time), 35% per la sede di Napoli, 13% a Milano, 7% a Catania, 3% a Rende, in provincia di Cosenza. Senza alcun piano di rilancio.

Fatti i primi conti in tasca, i lavoratori hanno detto no. Chi guadagna 600-700 euro al mese, non solo rinuncia al 25% della busta paga. Ma scivola anche sotto la soglia di reddito degli 8 mila euro annui, diventa incapiente e dunque perde pure gli 80 euro di Renzi. Oltre al danno, la beffa. D’altro canto la crisi è nera. Il management di Almaviva dice di registrare perdite per un milione e mezzo al mese, a causa della concorrenza al ribasso di aziende italiane e straniere che hanno un costo del lavoro ancora più basso. E il rosso si è accentuato da gennaio, quando l’azienda è stata inquadrata nel settore dei servizi, uscendo così dall’industria e perdendo la copertura dell’ammortizzatore ordinario (che garantiva fino all’80% dello stipendio, con tetto a 1.200 euro), in cambio di quello in deroga che però integra solo metà salario. A questo si aggiunge l’uscita di due importanti commesse: Green Network ed Enel. La prima ha chiesto la disdetta dal contratto quattro mesi dopo averlo firmato, “perché ha scoperto che in Albania i centralinisti costano meno”, dice ancora Azzola.

Gare al massimo ribasso, delocalizzazione all’estero, servizi di scarsa qualità ma con costi del lavoro bassissimi. Un cocktail micidiale che secondo la Cgil rischia di mettere fuori gioco 10mila lavoratori italiani dei call center di qui ai prossimi mesi. “Basta pensare a quella norma del decreto Sviluppo del 2012, mai applicata”, ragiona ancora Azzola. “Quella che prevede una sanzione da 10mila euro al giorno per tutte le aziende che non danno la possibilità all’utente che chiama di poter scegliere tra call center italiani o esteri, come prevedere la legge. E’ stata pensata per difendere i posti e invece ha prevalso il massimo ribasso sul costo del lavoro. Vince l’azienda più spregiudicata e furba, non quella che applica i contratti e offre servizi di qualità. Per questo chiediamo al governo di impedire quantomeno alle aziende pubbliche di appaltare solo in base al massimo ribasso e di fissare standard di qualità”.

Nella vertenza Almaviva Contact, tuttavia, l’amminstratore delegato Andrea Antonelli ci tiene a precisare che “nel quadro di possibile intesa che si era individuato con il sindacato, sulla base del percorso condiviso con il Governo, avevamo ufficialmente confermato, assumendo un onere aggiuntivo estremamente rilevante, che nessuna delle soluzioni indicate per il nuovo contratto di solidarietà avrebbe comportato alcuna

forma di peggioramento della posizione reddituale di ogni singolo lavoratore, rispetto a quanto previsto dall’accordo attualmente in vigore”. Evidentemente non è bastato a convincere i lavoratori sulla certezza di poter mantenere a lungo il posto, date le condizioni di mercato.

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