In India è guerra aperta contro gli studenti «anti-nazionalisti»

Di Matteo Miavaldi tratto da http://www.eastonline.eu/ In India sta succedendo qualcosa di molto, molto preoccupante, e sta succedendo sotto gli occhi di tutti. Le commistioni tra forze dell’ordine, governo di destra e amministrazioni universitarie si fanno ogni giorno più palesi, mostrando quello che sembra un piano ben preciso: sradicare il dissenso dal luogo designato per eccellenza al dibattito, anche estremo utilizzando la polizia e le denunce come deterrente contro la libera espressione del pensiero all’interno dei campus universitari. Oggi il braccio di ferro tra gli studenti e le autorità ha toccato un nuovo punto di non ritorno: il ministero degli […]
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Di Matteo Miavaldi

tratto da http://www.eastonline.eu/

In India sta succedendo qualcosa di molto, molto preoccupante, e sta succedendo sotto gli occhi di tutti. Le commistioni tra forze dell’ordine, governo di destra e amministrazioni universitarie si fanno ogni giorno più palesi, mostrando quello che sembra un piano ben preciso: sradicare il dissenso dal luogo designato per eccellenza al dibattito, anche estremo utilizzando la polizia e le denunce come deterrente contro la libera espressione del pensiero all’interno dei campus universitari.

Oggi il braccio di ferro tra gli studenti e le autorità ha toccato un nuovo punto di non ritorno: il ministero degli interni, a seguito di solleciti provenienti da politici e attivisti di destra, ha ordinato alla polizia di entrare nel campus della Jawaharlal Nehru University e arrestare elementi «anti-nazionalisti», accusati di «sedizione».

L’iniziativa delle forze di polizia, sostenuta dal ministro degli interni Rajnath Singh (ex Rashtriya Swayamsevak Sangh, Rss), è arrivata in seguito a un «evento culturale» organizzato dai collettivi studenteschi di sinistra martedì scorso, per marcare il terzo anniversario dell’impiccagione di Afzal Guru.

L’uomo, kashimro, era stato condannato alla pena di morte dalla Corte suprema indiana in quanto «complice» nell’attentato al parlamento di New Delhi del 2001 (bloccato prima che i terroristi in auto riuscissero a entrare nella struttura del parlamento, 14 morti il bilancio finale). Guru è stato impiccato nel carcere Tihar di New Delhi il 9 febbraio del 2013, senza che la famiglia sapesse nulla (per «problemi di comunicazione», si giustificò il governo all’epoca).

I dubbi sul processo Guru

Intorno alla sentenza di Guru si sono mosse diverse interpretazioni, in particolare quella di un «complotto» che avrebbe fatto dell’innocente Afzal Guru un capro espiatorio ad uso e consumo del sistema giudiziario indiano, incapace di risalire effettivamente alle menti dietro l’attentato a New Delhi. Di questa posizione si fece prima portavoce la scrittirceArundhati Roy, nota per le sue posizioni radicali e con un certo ascendente sulle organizzazioni studentesche indiane (in particolare a Jnu, che ha frequentato assiduamente rispondendo a inviti di incontri con gli studenti e seminari).

La radicalizzazione dello scontro ideologico tra studenti e governo

Ad oggi ancora non si sa con certezza se Guru fosse o non fosse colpevole, ma di certol’esecuzione di un separatista musulmano kashmiro è stata utilizzata strumentalmente dalla politica nazionale per riaffermare il principio di unità inscindibile della Repubblica indiana, che ancora oggi in Kashmir vede l’attivismo di gruppi separatisti e indipendentisti (alcuni anche vicini al Pakistan). E, in reazione uguale e contraria, la convinzione dell’innocenza di Guru è stata considerata e viene portata dai gruppi universitari di sinistra come l’ennesima prova della repressione di stato contro la minoranza musulmana indiana, usata per evidenziare l’effettiva militarizzazione del Kashmir da parte di New Delhi.

L’incontro di martedì scorso a Jnu, arrivato a seguito delle mobilitazioni studentesche per la causa di Rohith Vemula represse dai bastoni della polizia di New Delhi, secondo le ricostruzioni si è tenuto in toni particolarmente provocatori, dando inizio a una ripetizione per filo e per segno della dinamica burocratica che portò al tragico suicidio dell’attivista dalit ad Hyderabad:

– i gruppi di sinistra (guidati dalla All India Students Association, Aisa, legata al Partito comunista indiano – marxista leninista) organizzano un evento chiedendo il permesso alle autorità universitarie

– le autorità universitarie concedono il permesso salvo poi ritirarlo per il timore di provocazioni; l’evento si tiene ugualmente

– gli studenti dell’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp, la sigla studentesca legata al Bharatiya Janata Party, Bjp, e all’organizzazione ultrainduista Rss) protestano durante l’evento e si viene alle mani

– gli studenti di Abvp e esponenti del Bjp passano per vie legali, denunciando gli altri studenti di «anti-nazionalismo» e, in questo caso, di «sedizione»

– le istituzioni politiche nazionali scavalcano quelle universitarie e ordinano alla polizia di intervenire

– vengono spiccati mandati d’arresto e, nel caso di Jnu, addirittura dei poliziotti in borghese entrano nel campus e mettono in manette il leader dell’organizzazione degli studenti, Kanhaiya Kumar, accusandolo di sedizione

– i politici di destra denunciano le attività «anti nazionali» di alcuni studenti e giustificano le misure durissime prese dalla polizia come salvaguardia dell’unità nazionale

– gli studenti protestano per le ingerenze della politica nel dibattito universitario, che dovrebbe essere libero e non dovrebbe temere la repressione delle forze dell’ordine

Alcuni testimoni oculari hanno riportato a colleghi indiani che, in realtà, gli slogan incriminati dalle forze dell’ordine sarebbero stati urlati da studenti infiltrati dell’Abvp («Pakistan Zindabad!», ovvero «Lunga vita al Pakistan», avrebbero urlato), gli stessi che poi avrebbero denunciato gli organizzatori dell’evento alla polizia. Le autorità stanno visionando dei video dell’iniziativa di Aisa nel tentativo di identificare e arrestare i partecipanti: si parla di 25 – 30 ragazzi e ragazze.

Criticare il governo diventa reato

L’unica certezza è che il clima di scontro tra gli studenti e le istituzioni sta raggiungendo livelli di serietà inediti nella storia recentissima, in un’escalation di radicalismo ideologico alimentato da alcuni esponenti del Bjp e rilanciato dalle sigle della politica studentesca antagonista al governo in carica. Proprio mentre le minoranze etniche e religiose del paese percepiscono – secondo chi scrive, a ragione – una stretta delle autorità contro i propri diritti, sentendosi sempre più minacciati dalla violenza, anche omicida, dell’estremismo hindu.

Un braccio di ferro impari dove il dialogo viene sostituito dalle autorità con l’intervento delle forze dell’ordine, in una violazione plateale – ma «necessaria», dice il Bjp – degli spazi di discussione democratica all’interno delle università (mentre nelle stesse ore si arresta SAR Geelani, ex lettore di Delhi University indagato nel processo Afzal Guru, reo di aver partecipato a un altro evento organizzato dal Press Club of India sempre in memoria dell’impiccagione di Guru).

L’impressione, preoccupante, è che nell’India di oggi esprimere opinioni opposte alla vulgata nazionalista del Bjp configuri reato e giustifichi l’intervento repressivo delle forze dell’ordine.

E quando la polizia arresta gli studenti sula base delle loro opinioni non è mai un buon segno.

@majunteo

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