I salti mortali di Dario Di Vico

Caro Operai Contro, non potendo dimostrare la ripresa che non c’è, Dario Di Vico noto inchiostratore del Corriere della Sera, si arrampica sui vetri con tabelle e grafici per sostenere che “la ripresa è selettiva”. Tanta è la sua convinzione che all’inizio dell’articolo raccomanda agli sventurati lettori la seguente premessa: “ ha sempre meno senso paragonare gli indicatori economici di oggi con quelli della pre crisi (2007 – 2008)”. Infatti il confronto dei parametri pre crisi con gli attuali, confermerebbe che non c’è alcuna ripresa. La ripresa di cui parla Di Vico si basa sul fatto che, pur essendo […]
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Caro Operai Contro,

non potendo dimostrare la ripresa che non c’è, Dario Di Vico noto inchiostratore del Corriere della Sera, si arrampica sui vetri con tabelle e grafici per sostenere che “la ripresa è selettiva”.

Tanta è la sua convinzione che all’inizio dell’articolo raccomanda agli sventurati lettori la seguente premessa: “ ha sempre meno senso paragonare gli indicatori economici di oggi con quelli della pre crisi (2007 – 2008)”.

Infatti il confronto dei parametri pre crisi con gli attuali, confermerebbe che non c’è alcuna ripresa. La ripresa di cui parla Di Vico si basa sul fatto che, pur essendo lontanissimi dai parametri pre crisi, alcuni indici nel 2014 e 2015 sono andati meglio del 2012, esempio: il numero di autoveicoli immatricolati e il traffico veicoli pesanti sulla rete autostradale.

Questa è ciò che Di Vico chiama “La ripresa selettiva”. Per il resto è buio totale, la produzione industriale con base 100 nel 2010 è scesa anche nel 2015 fermandosi a 92,9, dopo aver lasciato per strada fabbriche chiuse e migliaia di licenziamenti. (La discesa sarebbe stata più forte, se non fosse stata compensata da una maggior produttività nelle fabbriche, come ad esempio a Melfi).

A questo punto l’imbonitore di Palazzo, comincia a spacciare come un naturale cambio di stile di vita, l’impoverimento che hanno subito le fasce sociali più deboli, schiacciate dalla politica dei padroni e dei governanti nell’affrontare la crisi.

Cosi i salari bassi, gli operai e i lavoratori licenziati, l’aumento dei disoccupati, dei precari, del lavoro minorile, dei poveri assoluti e relativi, dei pensionati con sussidi da fame, dove finiscono nell’analisi di Di Vico? Completamente ignorati! Liquida semplicemente tutte queste categorie affermando che “E’ cambiato il mondo. Si sono affermati nuovi stili di vita legati alla sharing economy”.

Ignorando questi milioni di uomini, Di Vico è come se li volesse cancellare, o riservare loro un futuro ghettizzato, da esuberi sociali strutturali, senza alcuno sbocco, scivolando sempre più in basso, pronti ad essere usati come carne da cannone.

Il nostro inchiostratore assicura: “La morale è abbastanza semplice: dobbiamo abituarci a ragionare dentro un contesto del tutto nuovo nel quale c’è stata una revisione delle gerarchie internazionali dei Paesi industriali, le culture del consumo stanno cambiando, ecc. ecc.” Chi tira la cinghia potrà consolarsi sapendo che si tratta di un cambio della cultura del consumo.

Di Vico suggerisce ai padroni ed al loro governo, che il superamento delle categorie disagiate sta nel cambiare loro nome, collocandole nelle “culture del consumo che stanno cambiando”. Se poi persisteranno magari aumentando i senza lavoro, gli emarginati e quanti non hanno di che vivere, se si farà più tragica la condizione delle famiglie povere, sarà solo colpa loro. Di Vico li aveva avvisati che: “E’ cambiato il mondo”.

Saluti da un estimatore di Operai Contro

 

L’analisi di Dario Di Vico. Corriere della Sera 4 gennaio 2016

Inutile la nostalgia del 2008. La ripresa ora è selettiva.

Se per un momento lasciamo da parte le polemiche legate alle fibrillazioni politiche romane il «Cruscotto congiunturale» sull’economia italiana, curato dal ministero dello Sviluppo economico su dati Eurostat, ci fornisce una serie di spunti di qualche interesse. La premessa che però bisogna fare è che ha sempre meno senso paragonare gli indicatori economici di oggi con quelli del pre crisi (2007-2008). Ed è un suggerimento solo marginalmente di natura psicologica. Prendiamo due tabelle che sono contenute nel Cruscotto , quella riferita alle nuove immatricolazioni di vetture e l’altra che fotografa l’andamento del traffico dei veicoli pesanti sulla rete autostradale. Sappiamo che sono state le vendite di automobili a tener su il Pil italiano nel 2015 ma stiamo parlando di volumi che viaggiano poco sopra quota 140 mila al mese. Ebbene nel 2008 il mercato italiano valeva poco meno di 240 mila vetture vendute in un mese.

Torneremo mai a quei livelli? Sicuramente no. Sarà già un mezzo miracolo se le vendite di vetture resteranno a lungo sui livelli del 2015 ma non recupereremo mai le 100 mila vetture che mancano all’appello. Perché? Semplice: come si usa dire in gergo «è cambiato il mondo». Si sono affermati nuovi stili di vita legati alla sharing economy , la preoccupazione per i livelli di smog nelle principali città italiane non sembra essere destinata a ridursi solo per le piogge di questi giorni e via di questo passo. Prendiamo la seconda tabella, quella che riguarda i Tir. Nel 2015 abbiamo avuto una incoraggiante risalita del traffico delle merci in autostrada superando la quota di 1.450 milioni di veicoli per chilometri percorsi (lo standard che si usa convenzionalmente). Se però guardiamo al 2008 il dato era molto più largo: all’incirca 1.700 milioni. Ci torneremo mai? Diciamo che è abbastanza improbabile che avvenga, sarebbe necessaria una crescita cinese vecchio stampo per riprendere il terreno che abbiamo perduto.

La morale è abbastanza semplice: dobbiamo abituarci a ragionare dentro un contesto del tutto nuovo nel quale c’è stata una revisione delle gerarchie internazionali dei Paesi industriali, le culture del consumo stanno cambiando, le tecnologie digitali la fanno da padrone in molti ambiti della vita e anche in crescenti porzioni del business. È vero che ci restano degli indicatori omogenei tra il pre e il dopo crisi e si chiamano Pil e tasso di occupazione ma come non si stanca di ripetere un economista bastian contrario come Innocenzo Cipolletta il Pil è un indicatore abilissimo nel fotografare un Paese di fabbriche e di famiglie, laddove però sia le une sia le altre hanno subito in questi anni profondissimi mutamenti.

Il «Cruscotto» ci dice diverse altre cose. Ad esempio sul grado di utilizzo degli impianti esistenti. Siamo tornati ben oltre il 75% e quindi avremmo toccato quei livelli del 2008 ma il grafico parla per l’appunto degli impianti esistenti e non conta quelli (tanti) che sono andati fuori produzione. Comunque il fatto che si viaggi sopra il 75% è da considerare una buona notizia confermata del resto dal riassorbimento di quantità significative di lavoratori in cassa integrazione. Incrociando i dati dell’utilizzo impianti con quello del consumo di energia se ne ricava una seconda conferma di quanto detto: gli impianti del 2008 consumavano 28.500 gigawattora, quelli di oggi poco sopra quota 26.000 con l’aggravante che negli ultimi mesi la ripresa dei consumi di energia elettrica pare essersi arrestata. Infine un altro spunto che viene dal Cruscotto del Mise ci ricorda come la ripresa o ripresina, a seconda di come la si preferisca chiamare, ha comunque un carattere fortemente selettivo. Non è una livella, tutt’altro. L’apertura di procedure fallimentari da parte delle imprese nel 2015 è tornata a crescere e siamo attorno alle 4 mila unità. Nel rimpianto 2008 erano circa 2 mila e sono via via salite in questi anni con la sola eccezione del 2014.

 

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