Il «nuovo nazismo» (Isis) per Paolo Mieli

Redazione di Operai Contro, Paolo Mieli è giornalista, saggista, storico; molti i suoi libri di storia, ma forse lo conoscete meglio come commentatore del programma televisivo “La grande storia” della Rai. Insomma non sarà un accademico, ma uno che di storia se ne intende, soprattutto quella moderna e in particolare quella sulla seconda guerra mondiale. Martedì scorso, 6 ottobre 2015, ha scritto l’editoriale del Corriere della Sera circa la guerra in Siria-Iraq e ha di fatto giustificato l’intervento militare della borghesia russa in Siria. Nella sua testa fine non passa in alcun modo l’idea che in quella guerra tutti […]
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Redazione di Operai Contro,

Paolo Mieli è giornalista, saggista, storico; molti i suoi libri di storia, ma forse lo conoscete meglio come commentatore del programma televisivo “La grande storia” della Rai. Insomma non sarà un accademico, ma uno che di storia se ne intende, soprattutto quella moderna e in particolare quella sulla seconda guerra mondiale.

Martedì scorso, 6 ottobre 2015, ha scritto l’editoriale del Corriere della Sera circa la guerra in Siria-Iraq e ha di fatto giustificato l’intervento militare della borghesia russa in Siria. Nella sua testa fine non passa in alcun modo l’idea che in quella guerra tutti gli stati che vi intervengono militarmente perseguano propri tornaconti economici e geopolitici. Stolto o in malafede sostiene, come tanti altri peraltro, che siano davvero tutti lì a fare la guerra all’Isis. E quindi dice: “c’è qualcosa che non torna nella strategia anti Isis dell’Occidente”.

Così, per giustificare la guerra – e scrivendo sul principale giornale della borghesia italiana giustificare di conseguenza anche l’intervento italiano-, dà il suo contributo di storico. Invita le grandi potenze occidentali democratiche a non farsi strani scrupoli circa l’inevitabile appoggio che ne deriverebbe al “despota siriano Bashar al Assad (stendendo momentaneamente un velo sulle sue nefandezze”. Non se ne fecero, sostiene Mieli, quando si allearono con Stalin per combattere il nazismo e oggi siamo nelle stesse condizioni. Ecco l’affondo del nostro campione in storia:“Punto primo: definiamo il Califfato «nuovo nazismo», con ciò conferendogli — se le evocazioni storiche hanno un senso — il rango di nemico numero uno”. Una bella etichetta, una definizione senza spiegazione, tanto è tutta la propaganda contro l’Isis degli ultimi due anni che rafforza la convinzione, non serve altro davanti ai lettori che non aspettavano altro che l’ulteriore timbro di Mieli.

Potremmo liquidarlo con una battuta: ecco qua lo storico televisivo puntuale, che ha presentato in televisione le atrocità della seconda guerra mondiale, dei milioni di operai mandati a scannarsi l’uno contro l’altro nel bel mezzo della civile Europa e oggi, da giornalista moderato, mette l’elmetto, e si trasforma nel peggio guerrafondaio, come lo furono i suoi omologhi giornalisti italiani nel ventennio fascista e nel mondo intero dopo il 1936.

Non possiamo chiedere a questi campioni intellettuali della borghesia italiana che ci spieghino la seconda guerra mondiale attraverso un’attenta lettura del ciclo economico capitalistico, della crisi degli anni ’30, dell’illusione del suo superamento 7 anni dopo il ’29, e che sfociò poi, in realtà, nell’intervento massiccio dello stato per il riarmo. A questi illustri studiosi le ragioni economiche che portarono allo scontro le borghesie europee non potranno mai passare per la mente, sarebbe una schizofrenia assurda pensare che il capitalismo sia il migliore dei mondi possibile e allo stesso tempo che le sue crisi possano sfociare in guerre da milioni di morti. La storia che hanno in testa e ci raccontano è ancora quella di re e imperatori, dittatori e democrazie, nazismo (come follia di Hitler, ma non si capisce perché contagiò mezza Europa) e alleati contro il nazismo. Il bene contro il male.

Tuttavia, l’“evocazione storica” pone la questione, perlomeno, del confronto materiale di dove si è sviluppata l’aberrazione nazista e dove invece l’Isis (“il nuovo nazismo”) si vorrebbe insediare. Non si vuol vedere che in realtà con la scusa dell’Isis le varie potenze in Siria sono giunte ormai troppo pericolosamente vicino al confronto diretto e alla risoluzione con una nuova guerra mondiale dei loro contrasti imperialisti? Non si vuole vedere che proprio la Russia, da tanti salutata come salvezza contro l’Isis, si sta comportando come la Germania del 1938 con l’annessione dell’Austria (Crimea?) le rivendicazioni e l’ottenimento con le minacce da Praga dei territori con popolazione germanica dei Sudeti (Donbass)? Non si vuole capire che di passo in passo si arriverà a una nuova Polonia, e allora sarà la terza guerra mondiale?

Va bene, non chiediamo troppo a queste menti sopraffine. Ma almeno ci venga risparmiata la lezione di storici da strapazzo che ci vorrebbero convincere che qualora il Califfo (male assoluto) sconfigga Assad (minore dei mali) l’umanità si troverebbe in pericolo alla stessa stregua di un’Europa in cui avesse vinto l’esercito del terzo Reich. E che pertanto, a rischio della terza guerra mondiale, l’occidente democratico non può tirarsi indietro dal combattere in Siria.

Lasciamo pure perdere come e perché la borghesia tedesca affidò le proprie sorti nelle mani di un folle (oggi lo dicono tutti, ma allora?), ma la Germania del ’39 possedeva un apparato industriale tra i più forti nel mondo, conoscenze tecnologiche all’avanguardia (i più importanti fisici e chimici del tempo), ferrovie, navi e aerei, non ultima una popolazione di 90 milioni di abitanti. Quanto era allora sviluppato il capitalismo in Germania probabilmente si farebbe fatica a confrontarlo con quello dell’intera Siria di oggi. Giusto per dare un’idea la popolazione della sola Berlino del 1939 si aggirava sui 4,5 milioni di abitanti, gli abitanti di al-Raqqa (capitale dal 2012 del Califfato) nel 2009 erano 196.529. Lasciamo poi perdere il confronto tra l’esercito del terzo Reich con quello di qualche migliaia di combattenti dello Stato Islamico di Siria e del Levante.

Certo il Califfato vincente prenderebbe il controllo di un bel po’ di riserve petrolifere, e metterebbe in discussione il potere delle borghesie locali e dei loro rapporti con quelle occidentali. Ritraccerebbe i confini nazionali che proprio le potenze europee, Francia e Inghilterra, in Medio Oriente con righello e penna fecero sulle carte geografiche tra le due guerre, ma questa è un’altra storia e sarà la storia che dipenderà dagli operai se sarà impedita ai cialtroni di scrivere.

R.P.

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