SINDACATINI FOTOCOPIE DI CGIL-CISL-UIL

Redazione di operai contro, Anche l’USB ha firmato l’accordo corporativo del 10 gennaio. I sindacati di base sono fotocopie in piccolo di quelli ufficiali (Cgil-Cisl-Uil). Un operaio FIOM defiTesto-Unico-Rappresentanza11012014 Da controlacrisi org Le giustificazioni dell’USB Usb, dopo una lunga e difficile battaglia ha ammesso di aver perso e quindi ha firmato l’accordo del 10 gennaio. Fabrizio Tomaselli, membro dell’esecutivo nazionale, quale considerazione ha prevalso? Abbiamo sostenuto, da soli e per un anno e mezzo, una battaglia sui posti di lavoro e nelle aule dei tribunali, contro l’accordo del 10 gennaio. Non siamo riusciti a far comprendere la gravità di […]
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Redazione di operai contro,

Anche l’USB ha firmato l’accordo corporativo del 10 gennaio. I sindacati di base sono fotocopie in piccolo di quelli ufficiali (Cgil-Cisl-Uil).

Un operaio FIOM

defiTesto-Unico-Rappresentanza11012014

Da controlacrisi org

Le giustificazioni dell’USB

Usb, dopo una lunga e difficile battaglia ha ammesso di aver perso e quindi ha firmato l’accordo del 10 gennaio. Fabrizio Tomaselli, membro dell’esecutivo nazionale, quale considerazione ha prevalso?
Abbiamo sostenuto, da soli e per un anno e mezzo, una battaglia sui posti di lavoro e nelle aule dei tribunali, contro l’accordo del 10 gennaio. Non siamo riusciti a far comprendere la gravità di questo accordo e neanche a farci riconoscere dal giudice le evidenti contraddizioni con la sentenza della Corte Costituzionale del 2013 e con gli stessi principi democratici contenuti nella Costituzione. Abbiamo perso una battaglia: non c’è da girarci intorno. Continueremo a lottare con maggiore determinazione, coscienti delle nostre ragioni, della nostra forza, ma anche dei nostri limiti. Le guerre non si vincono solamente caricando a testa bassa: spesso sei costretto a battaglie di posizione, a stare in trincea ed attendere il momento migliore per contrattaccare. Noi siamo già usciti dalla trincea e nei prossimi mesi si dispiegheranno anche molte delle campagne sindacali e sociali che stiamo organizzando, dal salario alle pensioni, dall’occupazione al fisco, dalla casa alla democrazia.

Sicuramente riuscire a mettere in discussione il 10 gennaio avrebbe generato un terremoto politico e lo sconvolgimento degli attuali equilibri sindacali. E quindi era difficile lo facesse un giudice, ma non lo hanno fatto neanche le forze politiche di sinistra che vogliono continuare a vedere nella Cgil il “faro sociale” di questo paese, nonostante le sue evidenti e pesanti trasformazioni negative.

Su questo dobbiamo essere assolutamente chiari: non c’è stato alcun appoggio reale, visibile e concreto ad USB in questo anno e mezzo da parte della sinistra nel suo complesso, sicuramente per non inimicarsi Landini o la Camusso, considerati serbatoi di voti, senza però considerare che l’emorragia di iscritti e consensi dalla Cgil ad USB continua, lenta ma inesorabile. In USB ha quindi prevalso prima la volontà di dare battaglia contro quest’accordo pesante e assolutamente negativo e in una seconda fase la necessità di non abbandonare i lavoratori dal punto di vista sindacale sui posti di lavoro.

L’alternativa cosa avrebbe comportato?
Per un anno e mezzo in tutte le realtà dove si sono svolte le elezioni di nuove RSU le nostre liste sono state respinte dalle Commissioni costituite da Cgil, Cisl e Uil. Non sono stati accolti neanche i ricorsi alla magistratura che abbiamo fatto in singole realtà per farci riconoscere comunque una rappresentanza sindacale (RSA), così come faceva intravedere la sentenza della Corte Costituzionale. C’è stata quindi una parziale battuta di arresto nello sviluppo del nostro radicamento sindacale in queste realtà e con la crisi che galoppa è evidente che molti lavoratori, pur se non convinti, si sono rivolti ad altre organizzazioni sindacali. Ed è altrettanto chiaro che RSU e delegati combattivi come i nostri, quando non più formalmente riconosciuti quali rappresentanti sindacali, sono stati oggetto di esclusione e di discriminazioni. Se non avessimo aderito all’Accordo questo processo sarebbe andato avanti inesorabilmente, restringendo spazi democratici di rappresentanza, limitando drasticamente l’azione sindacale, costringendoci ad un ruolo di semplice testimonianza nelle grandi aziende private e scomparendo in quelle medio-piccole.

Una volta dentro il meccanismo bisognerà segnare le differenze. A quale strategia state pensando?
E’ evidente che la nostra adesione non rappresenta un’adesione acritica o passiva. Al contrario, ci batteremo come abbiamo sempre fatto, dentro e fuori le aziende: cercheremo e troveremo nel confronto con i lavoratori ma anche nelle pieghe dell’accordo, gli spazi per rappresentare le nostre posizioni, per esprimere il dissenso e per dispiegare le azioni di lotta quando, insieme ai lavoratori e alle lavoratrici, lo riterremo necessario. Nei rapporti tra capitale e lavoro, quando i bisogni sono reali e pressanti e le contraddizioni emergono in modo evidente, non c’è formalità che tenga.

I nostri RSU avranno spazi di manovra più ristretti, questo è chiaro, ma il sindacato, sia a livello di categoria, sia di territorio, saranno presenti e vigili più che mai.
E inoltre il nostro obiettivo di costruire un sindacato generale, di massa e di classe che operi non solo all’interno dei posti di lavoro ma anche nel sociale e nei territori, costituirà un ombrello ed un sostegno fondamentale a chi è delegato o RSU nella propria azienda.
Non escludiamo poi il ricorso alla magistratura, quando necessario, ma sapendo bene che non è certo lo strumento principale di azione del sindacato.

I vostri iscritti che tipo di reazione potrebbero avere. E come pensate di affrontare la discussione?
I nostri iscritti sono per molta parte militanti ed è evidente che la delusione per il mancato riconoscimento della magistratura sul nostro ricorso contro il 10 gennaio pesa fino ad un certo punto. Si sta ragionando e ci si confronta nelle aziende e sui territori. Ciò che soprattutto stiamo chiedendo ai nostri iscritti e militanti prima di esprimere un giudizio sull’adesione al 10 gennaio da parte di USB è di superare la propria condizione soggettiva ed immedesimarsi nella condizione di quei lavoratori e quei delegati che, in gran parte del settore privato, sono e continuerebbero ad essere esclusi dalla rappresentanza e dalla lotta sindacale sul proprio posto di lavoro. Non è un passaggio facile però stiamo riscontrando un esteso consenso sul percorso che abbiamo costruito dal 10 gennaio 2014 in poi. Certo nessuno è contento e soddisfatto dell’adesione, come non lo è giustamente nessun delegato e nessun rappresentante sindacale di USB, ma prevale sicuramente la convinzione che non si poteva fare altrimenti, pena il forte ridimensionamento in molti settori del privato, cosa questa che avrebbe limitato di molto lo sviluppo del sindacato e le aspettative che esso oggi genera in tanti settori sociali e popolari del paese.

Altri sindacati di base hanno fatto prima di voi la vostra stessa scelta. Questo favorirà una oggettiva ricomposizione?Sinceramente il fatto di non aver costruito un fronte unitario che si opponesse al 10 gennaio subito dopo l’accordo, sia sul piano sindacale, sia su quello giudiziario, non è stata nostra responsabilità.Ci siamo trovati di fronte sigle del sindacalismo di base che o si sono affrettate ad aderire o si sono rifiutate anche soltanto di parlare di opposizione in termini unitari.

Questo ha sicuramente indebolito l’opposizione dal punto di vista sindacale e soprattutto giudiziario: Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno infatti chiesto apertamente al giudice perché mai fosse soltanto USB ad opporsi e non altri.
Quando nell’ultimo Congresso USB del 2013 dichiaravamo per noi superata e non più percorribile la cosiddetta auto-organizzazione e affermavamo di aver superato anche la fase del sindacalismo di base come lo si è vissuto ed agito sino ad oggi, marcavamo proprio ciò che ci distingueva ormai dalle altre organizzazioni che si rifanno al sindacalismo di base. Noi vogliamo costruire l’alternativa sindacale a Cgil, Cisl e Uil, partendo dai posti di lavoro ma agendo anche come sindacato generale, per raggiungere una dimensione di massa che renda possibile un intervento sindacale e sociale generale adeguato alle necessità. Altri continuano a voler rappresentare la propria realtà di lavoro, il proprio territorio, la propria categoria come il centro del mondo: questa visione di un sindacato esclusivamente di “prossimità” o legato alla singola vertenza non ci appartiene.
Da una parte c’è il sindacato che serve oggi ai lavoratori e dall’altra la visione di un sindacato che si vorrebbe, spesso in un altro tempo e in un’altra dimensione. In questo contesto c’è poco da ricomporre: auspicabilmente si possono fare percorsi comuni, pezzi di strada insieme ed anche individuare obiettivi parziali da perseguire, ma la direzione è un’altra.

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