Magistratura ed operai. La sentenza del tribunale di Nola chiarisce, dopo tante illusioni, da che parte stanno i giudici.

Redazione Il tribunale di Nola ha confermato i licenziamenti dei cinque operai FIAT di Pomigliano, Mimmo Mignano, Antonio Montella, Marco Cusano, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore. I cinque operai inscenarono un finto suicidio di Marchionne per protestare contro la miseria della cassa integrazione, il “confino” a Nola degli operai ribelli e dei malati, per i suicidi veri di tre loro compagni di lavoro che la fecero finita disperati per le loro condizioni economiche ed esistenziali. Il giudice ha stabilito che quella iniziativa fu un atto lesivo “dell’immagine della società e del suo vertice aziendale” e come tale punibile con […]
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Redazione

Il tribunale di Nola ha confermato i licenziamenti dei cinque operai FIAT di Pomigliano, Mimmo Mignano, Antonio Montella, Marco Cusano, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore.

I cinque operai inscenarono un finto suicidio di Marchionne per protestare contro la miseria della cassa integrazione, il “confino” a Nola degli operai ribelli e dei malati, per i suicidi veri di tre loro compagni di lavoro che la fecero finita disperati per le loro condizioni economiche ed esistenziali.

Il giudice ha stabilito che quella iniziativa fu un atto lesivo “dell’immagine della società e del suo vertice aziendale” e come tale punibile con il licenziamento.

Di fronte alla azione satirica, il padrone licenzia e il giudice gli dà ragione.

Gli stessi, padrone e giudice, sono stati in prima fila nel dare la solidarietà alla rivista satirica francese Charlie Hebdo per l’attentato degli islamisti.

Il padrone è più importante di Maometto!

La libertà di satira può arrivare anche alla caricatura delle religioni delle minoranze arabe dell’Europa ed essere sacrosanta, ma non può avere come oggetto la dirigenza FIAT.

La sentenza del giudice del tribunale di Nola è vergognosa.

L’atto lesivo evidentemente ha creato danno all’azienda. E’ per questa conseguenza che è scattato il licenziamento. Noi ricordiamo al giudice di Nola che la FIAT mentre ordinava le “comandate “ straordinarie il sabato, teneva migliaia di operai in cassa integrazione a carico dell’Inps, cioè formalmente della collettività. E quando gli operai tentavano i picchetti per contrastare l’entrata in fabbrica, la polizia, pagata sempre formalmente dalla collettività, interveniva massicciamente e sistematicamente per impedirlo. Non era questo un danno?

Ricordiamo ancora che quando ci furono le proteste sacrosante contro il trasferimento forzato degli operai al reparto “confino” di Nola, la magistratura ci mise meno di 24 ore per emettere un “settecento” che permise alla polizia di attaccare gli operai ai picchetti all’ingresso delle merci a Pomigliano e “liberare” l’ingresso. Per Mimmo e i suoi compagni ci ha messo un anno per arrivare al dibattimento pur essendo, per le stesse regole della magistratura, un procedimento da sbrigare entro pochi giorni. E la causa si è tenuta perché i cinque licenziati hanno cominciato a pressare con una serie di azioni eclatanti, ultima la salita di Mimmo Mignano sulla gru a piazza Municipio a Napoli.

L’iniziativa di Mimmo e degli altri è stata una protesta non violenta, all’esterno della fabbrica, attuata da operai militanti da anni nei sindacati non filo aziendali che non ha creato in realtà nessun danno tangibile all’azienda, non intaccando la produzione. Ciò nonostante il giudice ha confermato i licenziamenti.

Era nell’aria.

La FIAT ha fatto seguire il processo da undici avvocati. “intellettuali” che vanno per la maggiore nelle facoltà e nei salotti della borghesia.  hanno individuato il caso dei cinque operai di Pomigliano come esemplare per i rapporti tra servi e padroni per il futuro. Gli organi di stampa, sistematicamente, negando l’evidenza, hanno sempre parlato di “impiccagione” di Marchionne e non di “suicidio”.

Industriali, magistratura, giornalisti, tutti uniti nella lotta contro gli operai.

Questa società è una schifezza. Spesso lo dimentichiamo. A volte pensiamo che la magistratura sia “indipendente”. Che i giornalisti siano testimoni veritieri della realtà.

E’ in questi casi, in cui operai e padroni sono schierati uno contro l’altro, che l’appartenenza alla stessa classe di tutti costoro esce fuori.

Industriali, giudici e giornalisti dei giornali “oggettivi e indipendenti” stanno dalla stessa parte. Frequentano spesso anche gli stessi ambienti, lo stesso circolo del tennis. Si sposano tra loro. I loro figli vanno nelle stesse scuole e faranno sicuramente le stesse carriere dei padri. Sono una classe. La pensano allo stesso modo. Pur con redditi diversi vivono una condizione di privilegio.

Quando gli operai sono forti, questa complicità non appare platealmente. Gli operai fanno paura, meglio fargli credere all’indipendenza delle istituzioni “democratiche” rispetto ai padroni.

Quando c’è la crisi e non c’è spazio per le mediazioni e gli operai sono disorganizzati e deboli, allora l’appartenenza alla stessa classe diventa lampante.

Il caso dei cinque operai licenziati è un caso esemplare. Si colpisce loro per dare un segnale agli altri.

“Accettate i ritmi impossibili, i turni che annullano i rapporti familiari e la vita privata. Accettate che le fabbriche diventino un carcere a lavoro forzato, accettate tutto questo senza fiatare altrimenti fate la fine di Mimmo e dei suoi compagni”.

I borghesi fanno dei cinque licenziati di Nola un simbolo. Gli operai devono accettare la sfida.

I cinque licenziati di Nola devono diventare un simbolo anche per noi.

La loro battaglia deve essere anche la nostra battaglia.

Massima solidarietà a Mimmo e ai suoi compagni.

 

La Sezione AsLO – Operai Contro di Napoli

 

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1 Comment

  1. alanza53

    Operai, basta lamentarsi e sperare nella giustizia borghese. La magistratura borghese è funzionale al sistema di sfruttamento e applica la legge fatta da politicanti corrotti e asserviti ai padroni. L’ultima è il Jobs Act, e la stessa costituzione che tutti da Dx e da Sx, i sindacati, definiscono la più bella al mondo prevede la sottomissione degli operai alla schiavitù del lavoro salariato. Art.1- Art 42. Operai, ricorrere alla giustizia borghese è una pratica illusoria e controproducente, chiedere clemenza agli aguzzini non serve a un cazzo, e legittima i nemici di classe. I padroni, ci licenziano, ci danno salari da fame, ci ammazzano sul lavoro, ci rendono mutilati, inquinano il territorio e le falde acquifere e sono innocenti, siamo noi i veri criminali che ci ribelliamo alla schiavitù e alla vita di merda che i padroni ci fanno fare. Tutti parlano di coesistenza sociale, noi che produciamo la ricchezza del paese siamo schiavi e viviamo una vita fatta di miseria e loro fanno la vita da nababbi. Operai, solo creando un rapporto di forza, possiamo spezzare le catene della schiavitù. Rendiamoci politicamente indipendenti, organizziamoci in modo indipendente, costruiamo il partito OPERAIO
    PS: OPERAI SIAMO UNA FORZA CHE UNITA NESSUNO PUO’ FERMARE: SENTENZE, LEGGI, APPARATO REPRESSIVO SONO SOLO UNA TIGRE DI CARTA, NOI NON CI RENDIAMO CONTO DELLA NOSTRA FORZA E, DICIAMOCI LA VERITA’, TRANNE POCHI CASI NON CI RIBELLIAMO ALLA SCHIAVITU’, CI AFFIDIAMO ANCORA AI NOSTRI CARNEFICI,A POLITICANTI E A SINDACATI ASSERVITI.LA LOTTA DEGLI OPERAI TURCHI CON TUTTI I SUOI LIMITI E’ UNA LOTTA DI ROTTURA E VA SOSTENUTA NON CON FRASI DI CIRCOSTANZA MA LOTTANDO CONTRO I NOSTRI SFRUTTATORI.