Lavoro, l’Fmi ci ripensa: “Liberalizzare il mercato non spinge l’economia”

Redazione di Operai Contro, dopo averci licenziato, diminuito i salari, i padroni si accorgono che la liberalizzazione del mercato del lavoro non ha portato all’aumento dell’occupazione. Quel pallone gonfiato di Renzi ha eliminato l’articolo 18 ha spacciato il suo Jobs Act come il miracolo per la ripresa dell’occupazione. Ora si scopre che sono tutte cazzate Operai facciamole rimangiare a Renzi e ai padroni Un operaio di Milano Fermi tutti, come non detto. Liberalizzare il mercato del lavoro non aiuta la crescita economica. E ad attestarlo è il Fondo monetario internazionale, che compie così una svolta a U rispetto a quanto […]
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Redazione di Operai Contro,

dopo averci licenziato, diminuito i salari, i padroni si accorgono che la liberalizzazione del mercato del lavoro non ha portato all’aumento dell’occupazione.

Quel pallone gonfiato di Renzi ha eliminato l’articolo 18 ha spacciato il suo Jobs Act come il miracolo per la ripresa dell’occupazione.

Ora si scopre che sono tutte cazzate

Operai facciamole rimangiare a Renzi e ai padroni

Un operaio di Milano

Fermi tutti, come non detto. Liberalizzare il mercato del lavoro non aiuta la crescita economica. E ad attestarlo è il Fondo monetario internazionale, che compie così una svolta a U rispetto a quanto energicamente professato per anni. La rivoluzione è contenuta in poche righe, mimetizzate a pagina 37 del capitolo 3 del prossimo World Economic Outlook che uscirà in versione integrale il 14 aprile. Vi si legge che “il livello diregolamentazione del mercato del lavoro non ha evidenziatocorrelazioni statisticamente significative con laproduttività complessiva”. Al contrario, spiega l’Fmi, a spingere la crescita sono la liberalizzazione del mercato dei beni, il livello delle competenze dei lavoratori, il livello degli investimenti e le spese per ricerca e sviluppo.

Il peso di questi quattro fattori varia a seconda dei settori produttivi. In ogni caso la palla passa sostanzialmente agliimprenditori. Le conclusioni a cui giungono i ricercatori di Washington si basano sull’analisi dei dati di 16 Paesi del G20 nell’ambito di un più ampio sforzo di ricerca che tenta di spiegare il rallentamento della crescita potenziale nei paesi sviluppati e in quelli emergenti. Ne risulta che a zavorrare l’economia sono l’invecchiamento della popolazione, la debolezza degli investimenti e appunto il basso incremento della produttività, che non dipenderebbe però dal grado di liberalizzazione del mercato del lavoro. Il Fondo tenta poi di correggere il tiro spiegando che non sempre i dati relativi ai diversi Paesi sono facilmenteconfrontabili. E in modo un po’ contraddittorio continua a suggerire agli emergenti anche la deregolamentazione del mercato del lavoro.

Negli anni recenti la tesi “meno vincoli sul lavoro uguale più crescita economica” è stata sposata con entusiasmo dalle principali istituzioni europee. Basti ricordare la lettera a firma Jean Claude Trichet e Mario Draghi inviata all’Italia il 5 agosto del 2011, in cui si chiedevano tra l’altro misure di liberalizzazione del mercato del lavoro e in particolare “una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”. Invito pienamente recepito dal governo nel Jobs Act, che secondo il presidente del Consiglio Matteo Renzi “porterà crescita e occupazione” e secondo il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan rappresenta “un successo storico”.

Interventi di forte deregolamentazione del mercato del lavoro e di riduzione delle tutele sono stati imposti da Fmi, Bce ecommissione Ue anche alla Grecia, che dopo sei anni di ferocerecessione ha chiuso il 2014 con un modestissimo +0,6%. E’ improbabile che lo studio dell’Fmi ponga fine a un dibattito che dura da tempo su una materia oggettivamente difficile da indagare, che comprensibilmente scalda gli animi e su cui esistono studi contraddittori. Tuttavia, uno dei tradizionali cavalli di battaglia degli economisti di area liberista viene azzoppato proprio da chi lo aveva cavalcato per anni. Alcune certezze, o presunte tali, iniziano a vacillare ed è possibile che anche le future politiche economiche ne vengano presto o tardi influenzate.

 

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