Melfi:Incendio in uno stabilimento dell’indotto Sata

Caro Operai Contro, il 5 marzo 2015 un violento incendio in uno stabilimento dell’indotto SATA. Il boato dell’esplosione si è sentito da lontano. Poteva essere una strage di operai. Eppure in tivù non si è visto nessun cronista mettere il microfono sotto il naso a quanti ne sono usciti indenni, per capire il perché del terrificante “incidente”. Per Fiat meglio non far sapere che alla base dell’esplosione c’è il surriscaldamento degli impianti, per l’aumento esponenziale della produzione, dovuto alla saturazione dei tempi di lavoro, per lo più applicato sul ciclo continuo 24 ore su 24. Stavolta è toccato al […]
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Caro Operai Contro,

il 5 marzo 2015 un violento incendio in uno stabilimento dell’indotto SATA. Il boato dell’esplosione si è sentito da lontano. Poteva essere una strage di operai. Eppure in tivù non si è visto nessun cronista mettere il microfono sotto il naso a quanti ne sono usciti indenni, per capire il perché del terrificante “incidente”.

Per Fiat meglio non far sapere che alla base dell’esplosione c’è il surriscaldamento degli impianti, per l’aumento esponenziale della produzione, dovuto alla saturazione dei tempi di lavoro, per lo più applicato sul ciclo continuo 24 ore su 24. Stavolta è toccato al reparto Plastica, nel 2011 al Verniciatura.

Gli impianti spinti oltre le misure di sicurezza saltano, mentre migliaia di operai rovinati fisicamente dai ritmi e carichi di lavoro, ne portano le conseguenze permanenti. Fiat grazie ai licenziamenti facili voluti da Renzi col Jobs Act, ha avviato le assunzioni “a tutele crescenti”, per rimpiazzare gli operai rovinati dalla produzione in fabbrica, che adesso potrà licenziare per ragioni economiche, perché a parità di salario, con i loro problemi fisici, non possono essere adibiti in certe mansioni. Son passati 10 giorni dall’esplosione, la “notizia“ non ha avuto spazio sulla grande stampa né in servizi televisivi. Come ricorda questo giornale, si tratta di giornalismo asservito al più forte e/o al potere dei padroni. Per gli operai di Melfi ogni giorno si conferma la necessità, di un loro personale ma collettivo impegno per resistere e respingere le condizioni infernali imposte dalla Fiat. Un sindacalismo operaio è possibile. Nessuno può fare gli interessi degli operai se non gli operai stessi. Operai di Melfi organizzate il Partito Operaio. L’articolo che segue è tratto dal “Quotidiano del Sud”. Saluti Oxervator.

PRIMA il boato, avvertito anche a distanza. Poi le fiamme che si sono propagate in buona parte dello stabilimento. Tutto questo ieri sera, alla Sata di Melfi, nel bel mezzo del turno di notte. L’incendio è scoppiato all’interno del capannone plastiche, struttura attigua alla vera e propria fabbrica Fiat. Al suo interno vengono prodotti e verniciati i paraurti, le plance e i serbatoi delle nuove 500x e della Jeep Renegade.
Precedentemente l’intero impianto era della ex Magneti Marelli. E sono proprio loro a fornire i componenti necessari per il montaggio delle auto all’interno della catena di montaggio Fiat. Ovviamente, anche qui, la produzione è a ciclo continuo, 24 ore su 24, per tenere testa alle richieste dell’azienda madre.
Due notti fa l’incendio che stando alle ricostruzioni dei carabinieri intervenuti sul posto è partito dall’esterno, da un malfunzionamento di un collettore di aspirazione. Il tutto attorno mezzanotte e mezza. Alcune voci non confermate parlano di due fiammate. Subito dopo il primo intervento dei vigili i capi dell’azienda avrebbero chiesto ai lavoratori di tornare in produzione, poi sarebbe scoppiato un secondo incendio.
Sta di fatto che l’intervento dei vigili è durato poco più di un’ora e tutti gli operai in quel momento al lavoro sono stati fatti evacuare in pochissimi minuti. Nessuno di loro è rimasto ferito. Ma dopo l’incidente Fiat vuole vederci chiaro, tanto da aprire una inchiesta interna per capire le cause della deflagrazione. Dai primi sopralluoghi sembra che il problema sia stato un surriscaldamento del collettore, che avrebbe poi fatto drasticametne aumetnare la pressione all’interno dei sistemi di verniciatura, causando lo scoppio e le conseguenti fiammate.
Se l’origine è all’esterno del capannone, l’area colpita all’interno non è uno spazio che solitamente viene occupato dagli operai, si tratta di una zona piuttosto isolata, in genere spazio per i soli manutentori. E infatti in quel momento non c’era nessuno.
Il problema adesso è sulla produzione all’interno della Sata. I sistemi sono stati bloccati quindi all’interno della fabbrica si stanno utilizzando gli accumuli di produzione in attesa che si possa riavviare la produzione nell’area incendiata. C’è carenza di paraurti ma non di plance.
A questo proposito si sta facendo un sopralluogo per capire se i sistemi di backup possano entrare in funzione in breve tempo. C’è quindi la possibilità che si ritorni a regime in breve tempo, ma l’incidente rischia di paralizzare letteralmente una parte della fabbrica. In ogni caso l’esplosione ha messo in allerta tutti gli operai dell’indotto, anche perché le fiamme ad un certo punto sembravano circondare quasi completamente il capannone.
La coincidenza, però, sta altrove. Nel 2011 fu il verniciatura a prendere fuoco dopo un blocco di manutenzione di 24 ore. In quel caso i sindacati puntarono il dito sui ritmi di produzione troppo alti, con conseguente rapida usura dei mezzi di produzione. Quell’incendio, secondo i sindacati, che in questo caso, invece, non intervengono, era dovuto a ritmi di lavoro sempre più rapidi e al conseguente surriscaldamento delle macchine. Si potrebbe pensare, oggi, alla stessa cosa. Il boom produttivo della Sata avrebbe portato ad un aumento esponenziale della produzione, con questo “effetto collaterale” da contorno che per fortuna non ha ferito nessuno.

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