SUGLI ULTIMI LICENZIAMENTI ALLA FIAT DI POMIGLIANO

  Il licenziamento di cinque operai del Comitato di Lotta Cassintegrati e Licenziati FIAT di Pomigliano rappresenta un passaggio importante su come gli industriali intendono impostare i rapporti con gli operai in questa fase della crisi. Il gruppo di operai del Comitato ha il merito di aver posto il problema della rottura col vecchio sindacalismo “alternativo”, capace solo di sfornare cause legali. In modo istintivo e confuso, questi operai giunsero perfino ad esprimere la necessità della lotta politica. All’epoca delle prime avvisaglie del piano Marchionne, affermarono in termini brutali: “Non si tratta più di avvitare qualche vite in più […]
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Il licenziamento di cinque operai del Comitato di Lotta Cassintegrati e Licenziati FIAT di Pomigliano rappresenta un passaggio importante su come gli industriali intendono impostare i rapporti con gli operai in questa fase della crisi.

Il gruppo di operai del Comitato ha il merito di aver posto il problema della rottura col vecchio sindacalismo “alternativo”, capace solo di sfornare cause legali.

In modo istintivo e confuso, questi operai giunsero perfino ad esprimere la necessità della lotta politica. All’epoca delle prime avvisaglie del piano Marchionne, affermarono in termini brutali: “Non si tratta più di avvitare qualche vite in più o in meno sulle catene di montaggio, noi vogliamo il potere nella fabbrica, Marchionne e gli azionisti FIAT sulla catena e la fabbrica comandata dagli operai”.

Venivano tutti dallo SLAI COBAS da dove furono espulsi, con motivazioni palesemente false.

Nel compimento di questo passaggio, questi compagni, ingenuamente, non vollero affrontare una battaglia interna allo SLAI. Si presero le accuse, abbandonarono questo sindacato e una carica di rsu che uno di loro ricopriva dopo la delegittimazione dello SLAI, e se ne andarono.

Isolati dai sindacati alternativi e dalla FIOM, invisi ai sindacati filo aziendali furono le prime vittime del piano Marchionne attraverso il licenziamento di Mimmo Mignano (il secondo di una lunga trafila) e il “confino” a Nola degli altri. Ciononostante, tutte le lotte più significative avvenute alla FIAT di Pomigliano negli ultimi anni, hanno visto sempre in prima fila questi operai.

La loro indisponibilità alle mediazioni “a perdere” sindacali, la loro avversione istintiva ma profonda allo sfruttamento che gli operai subiscono in fabbrica, la tendenza ad azioni di lotta incruente, ma radicali, li hanno resi inconciliabili con qualsiasi tipo di politica “conciliatrice”.

Marchionne e i padroni FIAT hanno capito bene cosa questi operai potevano rappresentare, un esempio pericoloso per gli altri operai, e hanno deciso di allontanarli dallo stabilimento.

Gli operai del Comitato sono stati licenziati per aver “istigato alla violenza” attraverso la rappresentazione del suicidio per impiccagione di un manichino raffigurante Marchionne. Protestavano con questa iniziativa contro le condizioni di disagio, economico e psicologico, in cui versano i cassintegrati di Pomigliano, e quelli del polo logistico di Nola in particolare. Una condizione che ha portato già a tre suicidi e a diversi altri atti di autolesionismo tra gli operai del polo logistico.

Di fronte ai suicidi veri di operai, la stampa, i politici, i benpensanti hanno speso tre minuti per liquidare la cosa, come se non esistesse un rapporto di causa ed effetto tra le politiche padronali della FIAT tutte tese al profitto e, conseguentemente, a sfruttare il più possibile i pochi che lavorano e a tenere nel limbo dell’insicurezza i cassintegrati, e le tragedie umane che ne derivano. D’altra parte, la sociologia borghese ha innumerevoli esempi di questo rapporto tra disagio e suicidio. Nei primi anni ottanta si contarono tra i cassintegrati FIAT di Torino più di trecento suicidi, ma non furono gli unici, semplicemente, a un certo punto, smisero di contarli.

A questo suicidio “per finta” la dirigenza FIAT ha reagito nel modo più duro possibile oggi in uno stabilimento: con il licenziamento. Ha condannato cinque operai e le loro famiglie alla miseria della disoccupazione, negando loro anche il misero sussidio della cassa integrazione.

Hanno voluto eliminare sul nascere una tendenza pericolosa per i padroni. Hanno agito ancora indisturbati.

Gli operai che lavorano sulla Panda, sotto l’oggettiva pressione delle migliaia di cassintegrati, sono ancora troppo sensibili alle minacce dei capi per scioperare e ribellarsi. I cassintegrati sono divisi in sigle sindacali in concorrenza tra loro, ma innocue per il padrone.

I compagni del Comitato, senza gli altri operai alle spalle, a volte sostenuti da disoccupati, studenti e militanti esterni, non hanno mai avuto la forza di bloccare dall’esterno lo stabilimento con picchetti per la presenza massiccia e costante delle forze dell’ordine che, detto per inciso, a Napoli e circondario, dove l’illegalità prolifera ovunque, non hanno e non hanno mai avuto il “controllo” del territorio, ma quando si tratta di salvaguardare gli interessi del padronato agiscono, eccome, in modo efficiente e organizzato.

Di fronte a questa incapacità di mobilitare gli altri operai, il Comitato ha allora scelto la scorciatoia dell’azione di propaganda ad effetto. Un percorso che ha certo suscitato una maggiore attenzione dei mezzi d’informazione, ma che, ha indispettito maggiormente la FIAT e ha scatenato la sua rappresaglia.

La FIAT, ora spera di fermare questo piccolo, ma combattivo, gruppo di operai, costringendoli ad interessarsi da domani in poi sul come fare per sopravvivere, a trovare il modo di guadagnare qualcosa per loro e le loro famiglie. In questa situazione, la FIAT sa che tutto sarà delegato agli avvocati e ai giudici con il solito procedimento legale che bisognerà affrontare e che, con le lentezze strutturali della magistratura, e di quella di Nola in particolare, passerà tempo.

Nel frattempo Marchionne e i suoi azionisti, fidando sulle divisioni interne degli operai, sull’incapacità delle attuali organizzazioni sindacali di fare le lotte, sperano di continuare a spremere indisturbati quei pochi che lavorano sulle linee della Panda, ma che gli assicurano i profitti per continuare a fare la bella vita.

L’azione contro gli operai del Comitato esprime però, anche la debolezza dei padroni e dei loro servi. Essi sanno che gli “affari” potranno continuare fino a quando gli operai, in massa, non si ribelleranno. Sanno che le condizioni di estremo sfruttamento a cui stanno piegando gli operai che lavorano, e la miseria di quelli che non lavorano, o sono a cassa integrazione senza prospettive, sono elementi che in ogni momento possono scatenare la rivolta operaia e allora cercano con ogni mezzo di isolare, ridurre al silenzio, coloro che potrebbero, con il loro esempio, scatenare la reazione degli operai alla crisi.

Sezione AsLO di Napoli

 

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