ILVA DI TARANTO

di GIACOMO RIZZOTARANTO – Tra pietà e indignazione. La sua frase spiazza tutti e sintetizza alla perfezione la rabbia e il dolore di chi ha lavorato nella grande fabbrica e l’inquinamento dell’Ilva lo vive sulla propria pelle. «Io a Riva l’ho perdonato, ma non posso dimenticare». Ha gli occhi inumiditi Piero Mottolese, di 61 anni, ex operaio del Siderurgico, che il Primo maggio a Taranto ha assistito al dibattito su lavoro e ambiente girando un video, come spesso ama fare, con la sua telecamerina. Riprende in maniera quasi ossessiva luoghi e volti. Questa volta è lui l’intervistato. Commenta la […]
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di GIACOMO RIZZO

TARANTO – Tra pietà e indignazione. La sua frase spiazza tutti e sintetizza alla perfezione la rabbia e il dolore di chi ha lavorato nella grande fabbrica e l’inquinamento dell’Ilva lo vive sulla propria pelle. «Io a Riva l’ho perdonato, ma non posso dimenticare». Ha gli occhi inumiditi Piero Mottolese, di 61 anni, ex operaio del Siderurgico, che il Primo maggio a Taranto ha assistito al dibattito su lavoro e ambiente girando un video, come spesso ama fare, con la sua telecamerina. Riprende in maniera quasi ossessiva luoghi e volti. Questa volta è lui l’intervistato. Commenta la morte di Emilio Riva, il patriarca dell’acciaio che acquistò l’Italsider, e la sua espressione cambia.

«Mi sento di perdonare, ma non posso fare a meno di pensare al disastro che è stato provocato in questi anni. Io ho avuto problemi per l’esposizione all’amian – to e ho il piombo nel sangue. Non so come curarmi». Mottolese abita ai Tamburi, il quartiere a ridosso dell’Ilva. Fu lui a raccogliere un pezzo di formaggio di un amico pastore, che fu analizzato e risultò contaminato dalla diossina. Fu così che firmò l’esposto di Peacelink e iniziarono i controlli a tappeto su latte e carni.
«Sono tredici mesi – sostiene Mottolese – che l’Ilva non inquina di giorno, ma di notte. La situazione non è cambiata. Qui ci sono persone che hanno un piede sulla terra e un piede nell’aldilà. Ci sono dei morti che gridano vendetta: il discorso è che si deve fare una politica di civiltà. E in questo territorio martoriato c’è bisogno di ritrovare l’unità».

La morte di Riva, 88 anni, l’imprenditore milanese che acquistò l’ex Italsider nel 1995, ha scatenato le reazioni del popolo della rete. Continuano a susseguirsi i commenti postati sui social network. Un gruppo a Taranto si era dato addirittura appuntamento in piazza della Vittoria per festeggiare. Ma poi il sit in è stato annullato. Molti tarantino considerano Emilio Riva il principale responsabile del disastro ambientale e sanitario della città. Lui che esce di scena dall’inchiesta per l’inquinamento che approderà il 19 giugno prossimo al vaglio del giudice dell’udienza preliminare Vilma Gilli. Lui che attendeva la sentenza del processo per le morti da amianto ed altri cancerogeni (il pm aveva chiesto 4 anni e mezzo di carcere). Non sono mancati su Facebook e twitter gli insulti e le offese. Ma c’è anche chi ha fatto un passo indietro sottolineando che deve esserci «il rispetto per la morte». Che esultare in questo caso «è indegno», che quanti lo fanno si «mettono sullo stesso livello di coloro che per il profitto hanno provocato malattie e morte» e che «ci sarà una giustizia divina».

Secondo invece la presidente provinciale dell’Ail(Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma), Paola D’Andria, «la tragedia di Taranto non dipende solo da Emilio Riva, forse ci vuole un’ecatombe perché finisca un’epoca. Emilio Riva è uno dei pezzi del puzzle formato da coloro che non hanno rispettato molto questa città. C’è una città intera che langue, una città dalla quale i ragazzi vanno via, una città che non ha strutture adeguate nemmeno per curare le persone, una città che ospita una fabbrica in cui gli stessi operai si ammalano: di questo dobbiamo parlare» .

ILVAOPERAIO

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