ILVA: DOVREMO UCCIDERE LE MUCCHE CONTAMINATE. E GLI OPERAI?

Redazione di Operai Contro, le mucche di Massafra,  a 10 km dall’ILVA, saranno abbattute. Io mi chiedo che fine faremo noi operai dell’ILVA. Probabilmente ci lasceranno morire lentamente ammalati di tumore. Già avviene Operai dell’ILVA cosa aspettiamo? Un operaio dell’ILVA   di MARIA ROSARIA GIGANTE MASSAFRA – Nulla da fare. Anche le analisi effettuate sul quinto campionamento di latte prodotto nell’allevamento di Giuseppe Chiarelli (a 10 chilometri dall’Ilva), già posto sotto vincolo sanitario da settembre, confermano le preoccupazioni dei mesi scorsi. Il latte, per la prima volta il latte vaccino, continua ad essere contaminato da diossine e pcb. Gli […]
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Redazione di Operai Contro,

le mucche di Massafra,  a 10 km dall’ILVA, saranno abbattute.

Io mi chiedo che fine faremo noi operai dell’ILVA. Probabilmente ci lasceranno morire lentamente ammalati di tumore.

Già avviene

Operai dell’ILVA cosa aspettiamo?

Un operaio dell’ILVA

 

di MARIA ROSARIA GIGANTE

MASSAFRA – Nulla da fare. Anche le analisi effettuate sul quinto campionamento di latte prodotto nell’allevamento di Giuseppe Chiarelli (a 10 chilometri dall’Ilva), già posto sotto vincolo sanitario da settembre, confermano le preoccupazioni dei mesi scorsi. Il latte, per la prima volta il latte vaccino, continua ad essere contaminato da diossine e pcb. Gli ultimi prelievi del 24 marzo, analizzati dall’Istituto zooprofilattico di Teramo che ieri ha reso noti i risultati, confermano le tesi del bioaccumulo sostenuta dei veterinari dell’Asl: a risultare maggiormente contaminato è il latte delle vacche in prossimità del parto e della fase di lattazione, a dimostrazione che in questa fase si liberano più facilmente le diossine accumulate nel tempo.

La contaminazione presente nel latte prodotto anche da una sola mucca in tali condizioni fisiopatologiche è sufficiente a alterare i valori di tutto il latte prodotto quotidianamente nell’azienda. L’ipotesi era stata messa in pista dai veterinari dell’Asl – come ha già in passato spiegato il responsabile del settore, Teodoro Ripa – in considerazione della strana alternanza che si notava nell’esito delle analisi dopo l’allarme dell’aprile scorso quando, nell’ambito del monitoraggio disposto dalla Regione sugli allevamenti nel raggio di 20 chilometri dall’Ilva, erano emersi dati definiti scioccanti, con valori addirittura di 11,72 picogrammi per grammo di materia grassa. Da un certo punto in poi, quindi, si decise di procedere con un doppio e contestuale campionamento: sulle mucche gravide o puerpere e sul latte cosiddetto di massa.

La metodologia è stata conservata anche per l’ultimo campionamento. Da Teramo, ieri, l’ul – teriore conferma: il campione di latte di una singola mucca è positivo con valori di un picogrammo superiore al limite previsto (5.5 picogrammi per grammo di materia grassa). I valori registrati di 4.5 picogrammi per grammo di materia grassa sul latte di massa superano, invece, il livello di attenzione (che è di 2.5 picogrammi), ma si attestano al di sotto del limite di positività. Cosa accadrà ora?

«Inutile proseguire a questo punto con ulteriori indagini sul latte – dice Ripa -. Purtroppo, dovremo eseguire quanto deciso dal Tavolo tecnico regionale: occorre cioè abbattere un paio di capi più anziani, maschi, per capire quale livello di tossicità o meno presentano le carni e, quindi, eventualmente consentire il consumo solo delle carni».
Ma è evidente che sarà usata la massima cautela. Per cui, se le prossime indagini dovessero riferire valori al di sotto delle soglie di attenzione, si potrà procedere al macello di altri capi adulti ma sempre dopo aver analizzato un campione di muscolo di ogni singolo capo». Altrimenti? La soluzione non potrà che essere più dolorosa.

Ripa lo ammette con un filo di voce: «Dovremmo abbattere l’intero allevamento». Cinquantacinque capi di bestiame circa, un numero di fatto variabile a seguito dei continui, nuovi parti, una produzione giornaliera prima del vincolo sanitario pari a 200 litri al giorno destinati ad un caseificio massafrese, ed una produzione di carni: queste le dimensioni dell’allevamento. Alle analisi di carattere sanitario, si sono affiancate le indagini sulle matrici ambientali per scoprire la causa di tale inquinamento. E’ stata da poco scartata, però, l’ipotesi che la causa possa essere il vicino termovalorizzatore Appia Energy, alimentato a cdr e biomasse perché – nonostante le prime convinzioni dell’Arpa – la stessa Agenzia di protezione ambientale ha ora certificato che i valori di diossine sono dieci volte sotto i limiti. L’attenzione torna quindi a focalizzarsi sull’Ilva e sull’alimentazione dei capi.

 

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1 Comment

  1. piero

    chiramente i danni e i cosi saranno a carico dei contribuenti, anche degli operai e dei tatantini ammalati di cancro, mentre loro si sono messi al sicuro, da tempo, i profitti. ecco come funziona questo sistema perverso.