BOSNIA, IN PRIMA FILA GLI OPERAI

Decine di arresti in tutto il Paese. In prima linea gli operai di diverse aziende privatizzate sull’orlo del fallimento. Demolite e incendiate le sedi dei governi locali nelle 4 città principali di Redazione Il Fatto Quotidiano | 7 febbraio 2014 Esplode la protesta sociale in Bosnia e i palazzi del potere vengono dati alle fiamme. Oltre 200 feriti a fine giornata, decine gli arresti. Un anno senza stipendio e senza assicurazione sanitaria, 14 anni senza un solo giorno di contributi versati, 15 anni con 25 euro al mese: queste sono solo alcune delle storie dei partecipanti alle manifestazioni. Cominciati a Tuzla due giorni fa, i tumulti si sono man mano estesi ad altre città compresa […]
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Decine di arresti in tutto il Paese. In prima linea gli operai di diverse aziende privatizzate sull’orlo del fallimento. Demolite e incendiate le sedi dei governi locali nelle 4 città principali

Esplode la protesta sociale in Bosnia e i palazzi del potere vengono dati alle fiamme. Oltre 200 feriti a fine giornata, decine gli arresti. Un anno senza stipendio e senza assicurazione sanitaria, 14 anni senza un solo giorno di contributi versati, 15 anni con 25 euro al mese: queste sono solo alcune delle storie dei partecipanti alle manifestazioni. Cominciati a Tuzla due giorni fa, i tumulti si sono man mano estesi ad altre città compresa la capitale Sarajevo. In prima linea gli operai di diverse aziende locali che in passato davano lavoro a migliaia di persone, e che oggi, dopo sospette privatizzazioni, sono sull’orlo del fallimento.

Le manifestazioni con migliaia di persone in piazza, mai così massicce nella Bosnia del dopoguerra, oggi sono dilagate in tutta la Federazione BH (entità a maggioranza croato-musulmana di Bosnia) e sono sfociate in disordini, scontri con la polizia e distruzioni, con un bilancio ancora provvisorio di quasi duecento feriti e decine di arresti. I manifestanti, dopo lanci di sassi e uova, hanno demolito e poi incendiato le sedi dei governi locali a Tuzla, Sarajevo, Zenica e Mostar. A Sarajevo in serata è stato appiccato il fuoco anche alla sede della presidenza collegiale.

Le frustrazioni e la rabbia dei manifestanti si è rivolta contro le amministrazioni cantonali, particolarmente costose e che non esistono nell’altra entità bosniaca, la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba), poiché, secondo i manifestanti, non si fa nulla per risolvere i problemi e salvare i posti di lavoro. Una dura protesta sociale era da molti annunciata come inevitabile rivolta della gente in un Paese che, devastato dalla guerra (1992-95), non ha ancora raggiunto nemmeno il livello dello sviluppo precedente al conflitto, con la disoccupazione al 46% – solo nel cantone di Tuzla vi sono 100mila disoccupati contro gli 80mila che hanno un lavoro – e il Paese è ancora molto lontano, a differenza delle altre ex repubbliche jugoslave, dalla prospettiva di adesione all’Unione europea a causa dell’indifferenza dei leader politici verso i problemi della gente.

La violenza degli scontri con la polizia – gli agenti feriti sono più numerosi dei civili – dimostra, come dice il politologo Sacir Filandra, “che la crisi sociale è causata da una profonda crisi politica”, motivo per cui molti sperano che stia iniziando una “primavera bosniaca“.

Anche per il presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca, Zeljko Komsic, i responsabili dei “problemi che si accumulano da anni” sono i politici, nessuno dei quali ha oggi avuto il coraggio di affrontare i manifestanti. Solo il premier del cantone di Tuzla e il governo cantonale di Zenica si sono dimessi questo pomeriggio.

I disordini in alcune città continuano anche stasera: a Mostar sta bruciando il municipio e sono state date alle fiamme molte automobili; a Sarajevo vengono saccheggiati i negozi ed è stato dato l’assalto anche all’edificio sede della presidenza bosniaca, mentre il palazzo cantonale sta ancora bruciando: scene che ricordano la guerra e non certo i Giochi olimpici invernali, che si sono svolti esattamente trent’anni fa nella capitale bosniaca.

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