RASTRELLAMENTI 16 OTTOBRE 1943

Redazione di Operai contro, ti invio un articolo del Corriere della Sera. Può rivelarsi persino fortunata, la coincidenza tra l’anniversario del 16 ottobre 1943 e la morte dell’ufficiale nazista Erich Priebke (non troppo ex, stando a quel che ha lasciato detto). Quantomeno un’occasione da non perdere. Perché rende ancor più ricca di significati la celebrazione del rastrellamento nel ghetto di Roma. Per la città e per l’intero Paese di cui Roma si sente capitale, soprattutto in simili frangenti. Settant’anni fa gli occupanti tedeschi andarono a cercare gli ebrei casa per casa, deportandone più di mille nei campi di concentramento. E […]
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Redazione di Operai contro,

ti invio un articolo del Corriere della Sera.

Può rivelarsi persino fortunata, la coincidenza tra l’anniversario del 16 ottobre 1943 e la morte dell’ufficiale nazista Erich Priebke (non troppo ex, stando a quel che ha lasciato detto). Quantomeno un’occasione da non perdere. Perché rende ancor più ricca di significati la celebrazione del rastrellamento nel ghetto di Roma. Per la città e per l’intero Paese di cui Roma si sente capitale, soprattutto in simili frangenti.

Settant’anni fa gli occupanti tedeschi andarono a cercare gli ebrei casa per casa, deportandone più di mille nei campi di concentramento. E mentre ci si prepara a commemorare un evento che evoca morte e orrore, ma anche dignità e liberazione, la non prematura scomparsa del capitano delle Ss che sei mesi dopo quel 16 ottobre partecipò al massacro delle Fosse Ardeatine ha fatto riemergere fatti ed emozioni che attribuiscono ulteriore importanza alla memoria di una turpe operazione di sterminio.

La voce di un «nipote delle Fosse Ardeatine», ad esempio, ha dato corpo all’iniquità della sorte che ha accompagnato vittime e carnefici degli eccidi nazifascisti. L’uomo aveva seppellito suo padre, morto a 83 anni d’età, due giorni prima che se ne andasse Priebke, e suo padre era figlio di una delle persone uccise dal capitano e dagli altri soldati tedeschi nella macabra rappresaglia del ‘marzo 1944. «Priebke è sopravvissuto pure ai figli delle sue vittime, e questa è la vera, grande ingiustizia», ha testimoniato quel nipote, divenuto «portatore sano» di memoria.

E poi sono spuntati i pensieri più contorti, che nell’informazione globalizzata circolano a grande velocità, come niente fosse. Così un vecchio arnese della cosiddetta «strategia della tensione» come Mario Merlino, nato proprio in quel disgraziato ‘44, un neofascista che si mescolò agli anarchici al tempo della bomba di piazza Fontana, ha potuto scrivere che «il Capitano Erich Priebke ha raggiunto i camerati che lo hanno preceduto sul campo dell’Onore», con tanto di maiuscole. Come se, in tarda età, un tale personaggio che è stato pure insegnante nelle scuole medie superiori avesse voluto dare sfogo a sentimenti che probabilmente coltivava anche quando, all’inizio degli anni Settanta, ebbe un ruolo non irrilevante nella inquietante vicenda di attentati e depistaggi che ha segnato la storia della Repubblica.

Una vergogna per l’Italia, al pari dell’evasione dall’ospedale militare dell’altro ufficiale nazista protagonista del rastrellamento al ghetto e del massacro delle Fosse Ardeatine: il colonnello Herbert Kappler, tranquillamente fuggito dalla camera del Celio in cui era detenuto e in teoria sorvegliato, nel caldo Ferragosto del 1977. Uno scandalo, un «mistero di Stato» mai del tutto svelato nelle sue complicità istituzionali, che suonò come un oltraggio agli ebrei di Roma e non solo. Mai riparato, peraltro. Tutto questo, e altro ancora, ha disseppellito la morte di Priebke. E tutto questo non va dimenticato nel giorno in cui si ricorda il 16 ottobre 1943. Perché l’esercizio della Memoria si tramuti da vizio di pochi in virtù di molti. Il più possibile.

Un cittadino italiano di religione ebraica

 

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