EGITTO: L’INSTABILITA’ FINANZIARIA SUL TAVOLO DEL FMI

L’intervento militare nella confusa e precaria situazione egiziana lo scorso 3 luglio è significativo di quanto la situazione economica e finanziaria sia fortemente instabile. Con meccanismi a noi familiari, l’Egitto sta affrontando una pericolosa fase inflazionistica.Ashraf Swelam, economista ed ex consigliere del candidato liberale Amr Moussa alle ultime elezioni che hanno decretato Morsi vincitore, ha fotografato ed analizzato la situazione del Cairo. Scrive sul Financial Times: “Il quaranta per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Un terzo è analfabeta. Un quarto dei suoi giovani è disoccupato. Inoltre, a 40 anni dalla liberalizzazione economica, l’Egitto si classifica 109 […]
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L’intervento militare nella confusa e precaria situazione egiziana lo scorso 3 luglio è significativo di quanto la situazione economica e finanziaria sia fortemente instabile. Con meccanismi a noi familiari, l’Egitto sta affrontando una pericolosa fase inflazionistica.Ashraf Swelam, economista ed ex consigliere del candidato liberale Amr Moussa alle ultime elezioni che hanno decretato Morsi vincitore, ha fotografato ed analizzato la situazione del Cairo. Scrive sul Financial Times: “Il quaranta per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Un terzo è analfabeta. Un quarto dei suoi giovani è disoccupato. Inoltre, a 40 anni dalla liberalizzazione economica, l’Egitto si classifica 109 ° su 185 paesi nella facilità di fare affari, secondo la Banca Mondiale e il 107 ° di 140 in competitività globale, secondo il World Economic Forum.”

Una situazione ulteriormente intasata dalla forte spesa per la pubblica amministrazione, se consideriamo che sono oltre 6 milioni gli egiziani alle dipendenze di enti statali o ad esso collegabili. A ciò si aggiunge la fitta pioggia di risorse erariali mirati alla politica di controllo dei prezzi, principalmente su beni di largo e primario consumo come il grano ed i derivati del petrolio e del gas naturale. La maggior parte di operai e lavoratori è scesa in Piazza Tahrir dalla prima volta proprio per la difficoltà crescente nell’acquisto di beni di prima necessità.

Il controllo economico di risorse tanto importanti per la vita del Paese, unitamente al fatto che l’approvvigionamento avviene con la bilancia nettamente orientata verso le importazioni, ha portato la Banca Centrale a stampare nuova moneta, per tentare di tenere doppiamente il passo su prezzi dei prodotti e condizioni salariali. Questo ovviamente implica l’avvio di una spirale inflazionistica, che si fa progressivamente più stringente a seguito della mancata crescita economica.

Importanti segnali sul rischio della tenuta del sistema egiziano arrivano dalle continue trattative con il Fondo Monetario Internazionale, avviate già con la presidenza di Mubarak, così come dal fatto che le riserve valutarie del Cairo siano state di recente finanziate dalla Banca Centrale libica.

Secondo lo stesso Swelam e diversi analisti, l’aiuto di istituzioni quali il FMI o da potenze come Stati Uniti o Europa, ovviamente interessate a tenere in piedi un Paese così strategicamente importante, arriverebbe in ritardo o peggio non sarebbe in grado di colmare la voragine venutasi a creare negli anni.

Una situazione familiare a diversi Paesi dell’Unione Europea come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda o Cipro. Il FMI ha preteso per un prestito da 4,8 miliardi di dollari l’attuazione di rigide misure di austerità, delle quali la più pesante riguarda l’aumento della tassazione sui consumi: una politica che potrà sì mettere costantemente sotto la lente d’ingrandimento i bilanci pubblici, ma che non va affatto a sanare il processo inflazionistico ormai saldamente avvitato su se stesso.

Il quadro politico attuale inoltre fa mancare l’apporto dato al Cairo dalla sfera dei Paesi islamisti, Qatar in testa a tutti: Doha aveva già aperto i rubinetti più volte, sino a garantire nel 2012 per quest’anno aiuti diretti per l’equivalente di 5 miliardi di dollari; era inoltre allo studio un’ipotesi di un prestito-ponte, a copertura delle condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale. Morsi lo scorso anno aveva già tentato di incrementare le imposte sulla vendita di beni e servizi nel tentativo di ottenere una tranche di quanto stabilito, ma la forte opposizione interna, politica e sociale, lo ha obbligato a desistere e tornare sui suoi passi.

Viene così più semplice spiegarsi il perchè di un Paese in continuo fermento e che non lascia intravedere alcuna uscita alla sua instabilità politica. Oltre a fornire un quadro convincente per comprendere il perchè di una nuova strada tracciata non casualmente dall’esercito, principale esponente delle lobby di potere interne al Paese e dunque pesantemente responsabili degli accadimenti politici, sociali ed economici del Cairo. Una nuova strada che vede il banchiere el-Beblawi diventare responsabile del nuovo governo, dove ideologie e fazioni della piccola e media borghesia egiziana vengono sostanzialmente cancellate: l’esecutivo appena nominato non prevede infatti personaggi di spicco nè dell’ala liberale, nè di quella nasseriana. In estrema sintesi, si può definire nel migliore dei casi, un governo tecnico, con più malizia, un governo di grande centro.

O delle larghe intese, per usare espressioni più domestiche.

A cura di M.L.

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