IL PARTITO OPERAIO INFORMALE

Organizzarsi ed agire come operai è già un programma, nel momento in cui gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria condizione sociale trovano già, in questa ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati. Questo partito si installa ed esprime la sua forza in un territorio che non è geografico, locale o nazionale: è un territorio sociale. La fabbrica, o qualunque luogo di lavoro dove esiste una comunità operaia è il territorio del partito […]
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Organizzarsi ed agire come operai è già un programma, nel momento in cui gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria condizione sociale trovano già, in questa
ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati.
Questo partito si installa ed esprime la sua forza in un territorio che non è geografico, locale o nazionale: è un territorio sociale. La fabbrica, o qualunque luogo di lavoro dove esiste una comunità operaia è il territorio del partito operaio, lì bisogna condurre una lotta senza quartiere ai partiti politici delle altre classi.
L’influenza politica sugli operai viene da fuori da questo territorio, i partiti politici prendono gli operai a casa, nei quartieri, cittadini fra cittadini, il partito operaio ha a sua disposizione un territorio abbandonato dalla politica. Nella divisione dei poteri tocca al padrone la gestione dei suoi uomini, direttamente, nessuna interferenza è consentita, la produzione è sacra. Il partito operaio può sfruttare a suo favore questa situazione, la comunità operaia può riempire questo spazio
vuoto, trovare in sé, in modo indipendente, un modo di agire politico che gli sia proprio.
Il partito operaio gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista. Il sindacalismo del “meglio questo che niente” viene travolto dalla crisi economica che riserva
agli operai il niente e il meno di niente.
Invece di prendere forza dalla crisi economica, come prova del fallimento del modo di produzione fondato sul profitto, i vecchi sindacalisti si accordano per gestire socialmente la miseria operaia
con gli ammortizzatori sociali, in attesa che passi la bufera. Mettiamo invece il caso che la bufera non passi velocemente, che il superamento della crisi richieda sacrifici insopportabili, mettiamo ancora
che nella resistenza agli effetti della crisi gli operai si convincano che questo modo di produzione e di scambio ha fatto il suo tempo e deve essere superato, verso quali prospettive dobbiamo muoverci? Non toccherà forse al partito operaio informale iniziare ad elaborare delle risposte?

Da Operai Contro 132 ( l’intero scritto lo trovate nella versione cartacea)

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