GLI OPERAI DELLA VIO.ME. DI SALONICCO E IL PROFESSOR MONTI

Mentre il professor Monti evoca la tragedia greca (e lo spettro del fascismo), gli operai greci della Vio.Me. (Viomihaniki Metalleytiki – Biomeccanica Metallica) di Salonicco decidono di prendere in mano il proprio destino. E si sono impadroniti della fabbrica dove lavorano. E ci indicano la via. È un piccolo passo, anzi piccolissimo. Ma estremamente significativo. È un segnale che bisogna accogliere, sostenere e diffondere. Gli operai della Vio.Me. hanno rotto la pratica ormai fallimentare (e spesso disastrosa) di chiedere, delegando ai sindacati, ai partiti, alle istituzioni, allo Stato (e alla Chiesa). E hanno deciso di prendere ciò che gli […]
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Mentre il professor Monti evoca la tragedia greca (e lo spettro del fascismo), gli operai greci della Vio.Me. (Viomihaniki Metalleytiki – Biomeccanica Metallica) di Salonicco decidono di prendere in mano il proprio destino. E si sono impadroniti della fabbrica dove lavorano. E ci indicano la via.

È un piccolo passo, anzi piccolissimo.

Ma estremamente significativo.

È un segnale che bisogna accogliere, sostenere e diffondere.

Gli operai della Vio.Me. hanno rotto la pratica ormai fallimentare (e spesso disastrosa) di chiedere, delegando ai sindacati, ai partiti, alle istituzioni, allo Stato (e alla Chiesa).

E hanno deciso di prendere ciò che gli appartiene.

Per buona parte del Novecento, i proletari hanno legato le loro sorti allo Stato, strappando a caro prezzo uno straccio di benessere (il cosiddetto welfare).

E ogni volta che si sono trovati in difficoltà, i lavoratori si sono rivolti allo Stato. Giocando al ribasso.

Altrettanto hanno fatto i padroni, giocando però al rialzo, che hanno scaricato allo Stato (o meglio ai contribuenti, quindi ai lavoratori dipendenti) le loro grane, dai fallimenti (Alitalia) e dalle ristrutturazioni aziendali (Fiat) ai disastri ambientali (Ilva di Taranto).

E i padroni si sono pappati fior di quattrini.

Oggi, la festa è finita.

Siamo in una fase di declino del modo di produzione capitalistico.

I padroni e il loro Stato oggi non hanno nulla da dare, neanche le briciole.

Anzi, i padroni stanno grattando il fondo delle tasche dei proletari, per portarsi via quel poco che rimane. E poi stanno esasperando lo sfruttamento dei lavoratori, come avviene con i facchini della logistica e in tutti i grandi e piccoli luoghi di lavoro della bell’Italia.

Si ritorna alle condizioni di vita e di lavoro di un secolo fa, se non peggio.

Lo Stato si rimangia tutte le conquiste proletarie del Novecento.

E lo Stato rivela il suo vero volto di cane da guardia degli interessi della borghesia.

Di fronte a questo tragico orizzonte, il professor Monti si mette a strigliare il Grillo. Evocando la Grecia e lo spettro del fascismo. A ragion veduta.

Il professor Monti più che il fascismo teme l’esempio dei proletari greci in lotta, che mettono in discussione la proprietà privata delle fabbriche e il modo di produzione capitalistico.

Certo, ogni volta che i proletari alzano la testa, ecco i fascisti, e in Grecia ci sono, non c’è bisogno che ce lo dica il professore. Ma i fascisti non sono altro che utili idioti prezzolati (profumatamente) dalla borghesia, per fare il lavoro sporco.

È una vecchia storia. È già avvenuta in Italia nel 1922, in Germania nel 1933 e in Spagna nel 1936. E ogni volta c’è stato un professor Monti a proporre suadente il meno peggio. Con il coro di politicanti e intellettuali pronti a invocare quell’unità antifascista che ha sempre aperto la via al fascismo.

Il risultato lo conosciamo.

E non vogliamo repliche.

D.E., Milano, 13 febbraio 2013.

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