ILVA

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ILVA TARANTO

Ci sono cose che si rimandano. Perche’ non e’ il momento, perche’ non si ha la forza di affrontarle o perche’, semplicemente, si deve faticare enormemente per tenersi insieme affinche’ nemmeno un briciolo di energia vada sprecato. Percio’, nonostante il profondo fastidio che mi diede, non risposi al necrologio per mia madre, Paola Rivera, fatto circolare su Puglia antagonista da Margherita Calderazzi ed Ernesto Palatrasio, pur avendone voglia.
Oggi, o meglio ieri, a distanza quindi di due anni esatti, quel fastidio si rinnova per un altro scritto -questa volta anonimo- in cui, di nuovo, si parla di mia madre in termini inesatti e si “strumentali”, attaccando mia zia Annamaria Rivera, “sociologa calamitata” sul palco di Lerner, nella trasmissione “L’infedele” su Taranto.
Cominciamo pero’ da quel famoso necrologio che, per chi non l’avesse letto, cosi recitava:
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Con grande tristezza abbiamo appreso della morte di Paola Rivera. Noi siamostati i suoi compagni e compagne nel periodo migliore della sua vita, il’68/’70. (…)Paola Rivera, dolce e ferma, ironica e severa, trasgressiva e disciplinata ci ha aiutato a crescere e insieme abbiamo fatto un percorso entusiasmante ecostituito una pietra miliare, insieme ad altri giovani, in questa citta’.
Le sue idee non sono cambiate mai, la sua pratica si, ripiegata in un iniziale impegno tra le donne e in una continuita’ di frequentazione nella sinistra culturale. Oggi nel ricordarla qualcuno cerca di dare di lei solo il volto degli ultimi anni, per “adeguarla all’esistente”, altri ne fanno una sorta di icona di un passato lontano.
Non e’ cosi per noi. La Paola che ci appartiene vive nella continuita’ di quegli anni nell’impegno di oggi. E’ giusto ribellarsi! Le idee di rivolta non sono mai morte!
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Tutto falso. Per cominciare, il 68/70 non e’ stato “il periodo migliore della sua vita”. Mia madre ha vissuto pienamente TUTTA la sua vita, non certo mummificando se stessa in un Eden passato, ma trasformandosi, crescendo, spostandosi, confrontandosi con l’esistente, alla ricerca di sempre nuove chiavi di lettura senza mai chiudersi al mondo. Le sue idee sono cambiate eccome, come e’ giusto che sia. Cio’ che non e’ cambiata e’ la sua attitudine divergente e rivoluzionaria, che ha continuato ad avere anche di fronte alla malattia e, in ultimo, di fronte alla morte, affrontata con coraggio, dignita’, autodeterminazione. Non si e’ mai “ripiegata”, mai… tantomeno in un “iniziale impegno tra donne” o in una “continuita’ di frequentazione della sinistra culturale”, che francamente, peraltro, non so cosa sia.
Mia madre faceva politica tutti i giorni.
Mia madre era, essenzialmente, un educatrice. E sapeva bene che il campo in cui doveva mettere il suo impegno di trasformazione dell’esistente era quello: la scuola, dove ha continuato, con passione, amore e -ultimamente- rabbia a lavorare fino a quando il suo corpo glielo ha permesso. Odiava le semplificazioni, odiava le classificazioni facili e i meschini incasellamenti della realta’ e delle persone. E so quanto si sarebbe irritata ed arrabbiata nel sentirsi messa in queste scatoline riduttive e asfittiche in cui volete rinchiuderla.
I morti non possono rispondere, per questo lo faccio io per lei. E lo faccio a maggior ragione ora, perche’ la sento distintamente rivoltarsi nella tomba al leggere, nuovamente, delle falsita’ sul suo conto a distanza di due anni dalla sua morte.

” La sociologa Anna Maria Rivera che a Taranto non ci vive da 40 anni, era calamitata sul palco da chi e perche’ e in rappresentanza di chi e che cosa? Quando ci viveva si riteneva comunista e spesso a quelle portinerie ci veniva, quando scrive di immigrati e’ spesso lucida e precisa, ma ora tira fuori in maniera piu’ strumentale che non si puo’ la sorella Paola Rivera, una compagna sempre sulla trincea della classe operaia che mai pensiamo in vita sua ha sostenuto che l’Ilva dovesse chiudere, che e’ tragicamente scomparsa per tumore, tout court addebitato alla presenza dell’inquinamento, perche’ essendo vegetariana non poteva che morire per tumore dell’Ilva.”

Lasciando ad Annamaria -per la cronaca, antropologa e non “sociologa” e nient’affatto “calamitata” – il piacere (se lo riterra’ utile o opportuno) di rispondere ad una descrizione di se’ che io ritengo offensiva e riduttiva quanto quella di mia madre, veniamo al testo.

Per prima cosa, ci si domanda che senso abbia dubitare strumentalmente che il tumore di mia madre possa essere stato causato dall’inquinamento a Taranto. Puo’ essere, puo’ non essere. Non e’ certo. Cio’ che e’ certo, invece, e’ che di tumore a Taranto si muore piu’ che altrove ed e’ altrettanto certo che i comportamenti alimentari di mia madre tendevano al salutismo. Quindi? Che si fa? Cui prodest smentire la possibilita’ che la sua morte sia collegata alla presenza dell’ILVA? Chi stiamo difendendo? Ognuno tiri le sue somme. In fondo, il problema fondamentale non e’ questo. Il cancro a Taranto sta diventando un compagno di molti, a cui forse sempre piu’ dovremo “abituarci”. Se l’ILVA non c’entra, sara’ colpa di qualcos’altro. L’ira di dio, il buco nell’ozono, babbo natale, le cavallette…vedremo.

Ma veniamo a quello che piu’ mi preme: “Sempre sulla trincea della classe operaia”. Quanto avrebbe riso Paola di una simile frase! E quanto fa ridere me, per la sua miseria semantica, per la sua poverta’ di analisi, per la sua falsita’ da slogan… E, non da ultimo, per la sua incongruenza con quanto scritto nel “necrologio” di cui sopra. Era ripiegata o ritta in piedi sulle barricate? Chissa’. Probabilmente non lo sapremo mai… Vado ancora un po’ avanti, pero’, e leggo l’illeggibile: “una compagna che mai in vita sua ha sostenuto che l’ILVA dovesse chiudere”. E qui non si ride piu’. Perche’, qui, con questa frase, si gioca col fuoco. E si mettono in bocca frasi serissime, soprattuto in un momento come questo, ad una persona che non puo’ smentire in alcun modo.
Mia madre ha vissuto per tutta la vita a Taranto, tranne i suoi ultimi due anni. E mai, dico mai in vita sua, ha nemmeno lontanamente “difeso” l’ILVA. Ha vissuto in citta’ vecchia tra i fumi e le polveri maledicendo la fabbrica tutti i giorni. Maledicendola per gli odori acri che le arrivavano addosso nelle giornate di tramontana; per i panni stesi puliti e ritirati sporchi; per le morti sul lavoro; per il cancro degli altri e poi per il suo; per la devastazione sociale che l’ILVA ha portato in citta’; per i suoi anni di insegnamento a Paolo VI; per la palazzina LAF; per lo scenario apocalittico che dalla terrazza di via Duomo offendeva lo sguardo tutti i giorni e tutte le notti, come un insulto continuo al mare e alla bellezza. Se in questi giorni fosse stata viva, sarebbe scesa in piazza. Sarebbe, come me, orgogliosa del primo sussulto di ribellione della sua citta’. Non starebbe sulla “trincea della classe operaia”. Certamente non di una classe operaia che appare terrorizzata -anche giustamente, certo…- all’idea di perdere il posto e che per questo sembra disposta a qualunque (qualunque…) patteggiamento col padrone. Di una classe operaia che si fa dare da chi la ammazza, la sfrutta, la manipola, la rinchiude in reparti confino, panini, bibite e crostatine al cioccolato. Che si fa trasportare agli scioperi in pullman aziendali con la divisa in ordine e il kit protesta distribuito dalla direzione. Di una classe operaia che sta dimenticando la sua migliore qualita’: la dignita’.
Sarebbe stata invece sicuramente al fianco di quegli operai che, al contrario, non si prestano a questi giochi, che si oppongono e pensano con le loro teste, che chiedono cio’ che e’ dovuto a questa citta’, dopo cinquant’anni di sfruttamento e violenza legalizzati: salute, sicurezza, reddito. Senza piu’ ricatti. Senza piu’ mercanteggiamenti. E che accettano le conseguenze di cio’, pagandole sulla propria pelle. Sarebbe stata al fianco, infine, di una citta’ -donne, uomini, bambini, anziani, sani e malati- che si scopre esasperata. E che non accetta piu’ di morire come agnello sacrificale sull’altare del profitto e di una disumana, presunta “politica industriale”. Insomma, di certo non si sarebbe foderata gli occhi di operaismo acritico e muffito, impedendosi di vedere quanto complessa sia la situazione attuale o leggendo cio’ che accade con lenti totalmente inadatte che, alla fine, senza accorgersene – o almeno, questo spero- fanno si che ci si metta pericolosamente dalla parte dei Riva. Mia madre era si, rivoluzionaria. Ma in un senso cosi arioso, libero, totalizzante, antiautoritario, irriverente, mutevole e vivo che nulla ha a che vedere con il vostro.
Non tiratela dalla vostra parte.
Non ci stava comoda da viva, non ci sta comoda da morta.
Un saluto,
Francesca Esposito

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